CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 novembre 2019, n. 30778
Imposta di registro – Bene in comunione – Scioglimento della comunione
Fatti di causa
1.- V. F. è titolare di un bene in comunione prò indiviso con V. F.; quest’ultimo lo cita per lo scioglimento della comunione, domanda cui V. F. presta acquiescenza, chiedendo però la restituzione di alcune somme.
Il Tribunale dichiara lo scioglimento della comunione e assegna all’attore (V. F.) il bene, subordinando “l’efficacia della sentenza al versamento da parte dell’attore di euro 65.000,00” condizione che l’odierno ricorrente assume non ancora verificata al momento del ricorso per cassazione.
L’ufficio notifica quindi avviso di liquidazione che V. F. impugna, assumendo che la tassazione andava fatta in misura fissa e non al 7% perché essendo subordinata l’efficacia della sentenza al verificarsi di una condizione, che non si è ancora verificata, non vi è stato alcun trasferimento. Chiede anche il rimborso di quanto pagato.
2. – Il ricorso del contribuente è accolto in primo grado, e il primo giudice ha disposto anche il rimborso in favore dell’odierno ricorrente. L’Agenzia propone appello e la CTR della Lombardia con sentenza depositata il 7.3.2013 lo accoglie osservando: a) che il rimborso non può essere chiesto da soggetto diverso da quello che ha pagato; b) che la condizione apposta essendo meramente potestativa è ininfluente ai fini fiscali; c) che al caso di specie si applica l’imposta proporzionale al 7% ai sensi dell’art. 8 comma 1 lett. a) della tariffa, perché atto giudiziario concernente il trasferimento di immobile.
3. – Avverso la predetta sentenza propone ricorso il contribuente affidandosi a tre motivi. Resiste l’Agenzia con controricorso.
Ragioni della decisione
4. – Il primo motivo è articolato in quattro parti. In primo luogo si lamenta la violazione degli artt. 57 e 58 del D.lgs. 546/1992. L’Agenzia avrebbe evidenziato solo in appello che nessun versamento è mai stato effettuato da V. F. e quindi la CTR avrebbe dovuto dichiarare inammissibile tale eccezione perché nuova e non avrebbe dovuto ammettere le prove in merito perché tardive. Si lamenta inoltre la violazione dell’art. 1292 c.c.: la CTR avrebbe errato ad applicare le regole della obbligazione solidale perché la estinzione del debito da parte del condebitore solidale ha liberato anche lui; inoltre la CTR ha violato il divieto di doppia imposizione ex art. 67 DPR 600/1973 mentre avrebbe dovuto dichiarare la cessazione della materia del contendere; il contribuente deduce che l’Agenzia avrebbe taciuto al giudice d’appello che il debito era stato estinto dal coobbligato, e in ogni caso l’Agenzia non può chiedere anche a lui la somma di cui all’avviso perché ormai pagata dall’altro condebitore.
Le predette censure sono infondate.
Il V. dichiara che è stato egli stesso, nel ricorso introduttivo, a dedurre che la somma è stata pagata dal coobbligato V. F., il quale gliene ha chiesto la metà con atto di precetto.
Non è quindi una eccezione nuova, ma un fatto dedotto dallo stesso contribuente (in primo grado), il quale peraltro, avendo chiesto il rimborso, aveva l’onere ex art. 2697 c.c. di provare i fatti costitutivi della sua pretesa; non risulta che la parte abbia dato prova di ciò (anzi afferma che il pagamento non è stato effettuato da lui) e neppure di avere rimborsato prò quota il condebitore solidale. Di contro l’Agenzia ha fondato l’appello sui fatti dedotti dallo stesso ricorrente. Si deve poi osservare che in appello è ammessa la produzione di documenti nuovi ai sensi dell’art. 58 D.lgs. 546/1992 (Cass. 29087/2018; Cass. 3615/2019). E’ erroneo, infine, affermare che il pagamento da parte del debitore solidale determini la cessazione della materia del contendere. Al contrario, avendo il condebitore solidale esercitato l’azione di regresso è interesse del ricorrente far dichiarare quel pagamento non dovuto (Cass. 22446/2016). Questa Corte ha già affermato che “in tema di obbligazioni solidali passive, l’avvenuto pagamento determina l’estinzione ipso iure del debito anche nei confronti di tutti gli altri obbligati” (Cass. 12174/2004) ma non elimina il diritto del coobbligato solidale, che ha già effettuato un pagamento valido ed efficace a favore del creditore, di proporre l’azione di regresso ex art. 1299 cod. civ. Nel caso in cui il pagamento venga dichiarato non dovuto, il ricorrente può validamente opporsi all’azione di regresso, ma non può certo ottenere dall’Erario le somme che ha pagato un altro soggetto. Quanto al fatto che l’Agenzia non possa chiedere al ricorrente il pagamento della somma portata nell’avviso, già pagata dall’altro condebitore, è la stessa Agenzia che specifica che ha proposto appello perché era stato disposto un rimborso non dovuto e non perché intende chiedere un (altro) pagamento al ricorrente.
5. – Con il secondo motivo la parte deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della tariffa allegata al DPR 131/1986 ed espone che l’Agenzia non poteva tassare l’atto poiché la condanna è sottoposta a condizione sospensiva e comunque è stata impugnata e non è provvisoriamente esecutiva. La CTR ha invece ritenuto irrilevante l’apposizione di una condizione, qualificandola come condizione meramente potestativa. Con il terzo motivo, si denuncia sempre lo stesso errore sotto il profilo della violazione dell’art 8 tariffa, comma 1 lett. a) e degli artt. 19 e 27 DPR 131/1986. L’errore della CTR consisterebbe nell’avere equiparato ad un trasferimento la condizione sospensiva.
I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono infondati.
La circostanza che la sentenza non sia passata in giudicato è irrilevante, atteso il contenuto testuale dell’art.37 DPR n.131/1986, secondo il quale “gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili, che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere, sono soggetti all’imposta anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili, salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato” (si veda sul punto anche Cass. n. 12736/2014). Questa Corte ha anche precisato il presupposto del tributo non è dato dall’efficacia esecutiva, bensì dall’esistenza di un titolo giudiziale soggetto a registrazione, tanto che è irrilevante la eventuale sospensione della efficacia esecutiva (Cass. 12480/2018).
Quanto invece alla condizione, si tratta, come correttamente evidenziato dalla CTR, di una condizione “meramente” potestativa lecita, in quanto il trasferimento dipende esclusivamente dalla volontà del soggetto in favore del quale si verifica il trasferimento stesso: vale a dire una condizione il cui avverarsi è collegato a un complesso di motivi connessi ad apprezzabili interessi che, pur essendo rimessi all’esclusiva valutazione di una parte, agiscono sulla sua volontà determinandola in un certo senso (Cass. 11774/2007) e non dal mero arbitrio di chi trasferisce il diritto, perché diversamente si configgerebbe l’ipotesi prevista dall’art 1355 c.c. ed il trasferimento sarebbe nullo. Non a caso l’art. 27 del DPR 131/1986 distingue l’ipotesi in cui l’avverarsi della condizione dipenda dalla mera volontà dell’acquirente (comma 3), laddove per volontà mera si intende la volontà sorretta comunque da valutazione di apprezzabili interessi, atti che pertanto non si considerano sottoposti a condizione, da quella in cui l’avverarsi della condizione dipenda dalla mera volontà dell’alienante (comma 4) che invece integra l’ipotesi di mero arbitrio e quindi determina la nullità del trasferimento.
Nel caso di specie l’avversarsi della condizione dipende dalla volontà di V. F., che ha promosso il giudizio per lo scioglimento della comunione, ha avuto in assegnazione il bene ed è colui che deve pagare la somma. Trova quindi applicazione l’art. 27 comma 3 del DPR n. 131/1986, alla stregua del quale -come si è detto- non sono considerati sottoposti a condizione sospensiva gli atti i cui effetti dipendano dalla mera volontà dell’acquirente (Cass. 27902/2018; si veda anche Cass. 14470/2018; Cass. 18006/2016; 23043/2016; n.8544/2014) Ai fini che qui interessano, infatti, il condividente assegnatario del bene può essere considerato alla stregua di un acquirente, cioè di un soggetto che ottiene il trasferimento del bene in virtù di un atto che dipende esclusivamente dalla sua volontà, nell’ambito di valutazioni di convenienza già operate all’atto dell’introduzione del corrispondente giudizio (Cass. 27902/2018 cit.).
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 1.700,00 oltre rimborso spese forfetarie ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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