CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 ottobre 2018, n. 27218
Professionisti – Avvocato – Credito contributivo – Notifica della cartella esattoriale – Decorrenza – Prescrizione
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 8483/2012, ha respinto il gravame proposto dalla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto l’azione di accertamento dell’intervenuta prescrizione del credito previdenziale, inerente contribuzione degli anni 1997, 1999 e degli anni dal 2000 al 2003, proposta dall’avv. R. C.. Al contempo la Corte, previa affermazione della sussistenza della giurisdizione ordinaria in luogo di quella della Corte dei Conti, ha respinto nel merito la domanda con cui la Cassa aveva chiesto che Equitalia Gerit s.p.a., quale concessionaria della riscossione, fosse condannata, in caso di accertamento di ritardi o irregolarità nell’azione esattoriale, al risarcimento del danno in favore dell’ente previdenziale. La Corte sosteneva in proposito che l’interruzione della prescrizione fosse onere dell’ente creditore, che non poteva quindi imputare al concessionario la relativa mancanza.
2. La Cassa ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, poi illustrati da memoria e resistiti con controricorso dalla C. e da Equitalia Sud, già Equitalia Gerit.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso la Cassa adduce, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 26 del d.p.r. 602/1973 e dell’art. 139 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente dubitato della validità della notifica della cartella esattoriale.
Il secondo motivo di ricorso, rubricato sempre in base all’art. 360 n. 3 c.p.c., afferma, con riferimento alla contribuzione del 2003, la violazione dell’art. 19 L. 576/1980, secondo cui la prescrizione del credito contributivo decorrerebbe dalla data della comunicazione dei redditi da parte del professionista.
2. Tali motivi non possono trovare accoglimento.
2.1 Il primo è in particolare inammissibile, in quanto la Cassa è priva di interesse rispetto ad esso.
La Corte territoriale, con ragionamento rimasto privo di censure, pur richiamando i dubbi manifestati dal Tribunale rispetto alla validità della notifica delle cartelle, non ha poi deciso sul punto, rilevando come già il Tribunale avesse in realtà fondato la decisione sul fatto che tali cartelle fossero state notificate nel 2001, nel 2002 e nel 2003, sicché al momento della lettera di sollecito di Equitalia Gerit, ricevuta il 16.2.2009, il termine prescrizionale quinquennale (applicabile anche al periodo successivo alla notificazione della cartella: così ora Cass., S.U., 17 novembre 2016, n. 23397) era comunque decorso, risultando pertanto inutile, come resta inutile in questa sede e per quanto attiene alla prescrizione del diritto verso la C., interrogarsi sulla validità o meno della pregressa notificazione delle cartelle stesse.
2.2 Il secondo motivo è infondato.
Esso riguarda la sola contribuzione inerente all’anno 2003, ma si tratta, come è pacifico, di contribuzione minima, dovuta a prescindere dal reddito.
Va in proposito ritenuta corretta la valutazione della Corte territoriale, secondo cui, rispetto a tale contribuzione e proprio per l’autonomia di essa rispetto ai redditi, non vale il disposto dell’art. 19 L. 576/1980, secondo cui «per i contributi, gli accessori e le sanzioni dovuti o da pagare ai sensi della presente legge, la prescrizione decorre dalla data di trasmissione alla cassa, da parte dell’obbligato, della dichiarazione di cui agli articoli 17 e 23», ovverosia, in sostanza, dalla trasmissione della dichiarazione dei redditi.
Proprio perché la contribuzione minima non dipende dai redditi, non ha senso, rispetto ad essa, non applicare la norma generale di cui all’art. 2935 c.c., in quanto il diritto della Cassa può essere esercitato a prescindere dalla trasmissione delle dichiarazioni dei redditi, dovendosi riferire la norma speciale alle contribuzioni percentuali.
Non a caso, si osserva ad colorandum, la cartella esattoriale contenente la pretesa ancora in discussione fu posta in notifica già nel corso del 2003, allorquando la dichiarazione dei redditi per quell’anno avrebbe dovuto essere formata nel 2004.
In sostanza, la contribuzione minima può essere pretesa in concomitanza con le annate in cui vi è già stata iscrizione dell’assicurato alla Cassa e identica decorrenza va riconosciuta rispetto alla corrispondente prescrizione.
2.3 Né può trovare accoglimento la difesa, contenuta nel ricorso per cassazione, in ordine ad un preteso effetto interruttivo della prescrizione che deriverebbe dalla comunicazione (c.d. mod. 5) dei dati inerenti i redditi, con indicazione di minimi ed eccedenze.
Non è infatti neppure affermato nel ricorso che nei precedenti gradi fosse risultata la presentazione di tale comunicazione, né l’avvenuta produzione di essa, sicché mancano elementi per affermare che i giudici di merito, trascurandone in ipotesi gli effetti, abbiano errato nel giudicare. Ciò senza contare che neppure nel ricorso per cassazione è trascritto il contenuto di tale (ipotetico) documento, sicché si determina un ulteriore difetto di specificità, sotto il profilo dell’autosufficienza, che impedisce, per violazione dell’art. 366 n. 4 c.p.c., una valutazione favorevole del profilo in esame.
3. Il rigetto dei motivi che riguardano la controversia tra la C. e la Cassa comporta la definizione del giudizio tra le predette parti e quindi deve procedersi alla statuizione sulle spese legali tra le medesime, in relazione al giudizio di legittimità, da regolare secondo soccombenza e nei termini di cui al dispositivo.
4. E’ invece fondato il terzo motivo di ricorso, con cui la Cassa lamenta che sia stata respinta la domanda di risarcimento dei danni dispiegata nei riguardi di Equitalia Sud s.p.a., già Equitalia Gerit s.p.a., per avere determinato, con i propri ritardi, la prescrizione dei crediti affidati in riscossione.
4.1 Preliminarmente va tuttavia affrontata la questione di giurisdizione, di cui è ancora menzione nelle difese di Equitalia, ove si sostiene che la controversia dovrebbe essere trattata presso la Corte dei Conti.
In fatto risulta che l’eccezione non fu sollevata in primo grado, ma solo in appello.
La sentenza di appello l’ha quindi risolta affermando positivamente la sussistenza della giurisdizione ordinaria.
In proposito si deve ritenere che, sul punto attinente la giurisdizione, così positivamente risolto, la parte interessata, onde riaprire la questione, avrebbe dovuto proporre ricorso per cassazione, stante la potenziale idoneità al giudicato esterno della pronuncia sulla giurisdizione, e non limitarsi a riproporre l’eccezione nel controricorso: in questo senso, per quanto nel rapporto – del tutto analogo – tra sentenza di primo grado e giudizio di appello, v. C. 2 febbraio 2018, n. 2605; Cass. S.U. 28 gennaio 2011, n. 2067; Cass., S.U., 16 ottobre 2008, n. 25246 e, per un principio ancor più generale, Cass. S.U. 16 ottobre 2017, n. 11799.
E’ poi vero che «un controricorso ben può valere come ricorso incidentale, ma, a tal fine, per il principio della strumentalità delle forme – secondo cui ciascun atto deve avere quel contenuto minimo sufficiente al raggiungimento dello scopo
– occorre che esso contenga i requisiti prescritti dall’art. 371 c.p.c. in relazione ai precedenti artt. 365, 366 e 369, e, in particolare, la richiesta, anche implicita, di cassazione della sentenza, specificamente prevista dal n. 4 dell’art. 366 c.p.c.» (v. da ultimo Cass. S.U. 7 dicembre 2016, n. 25045 e, in tema di giurisdizione, Cass. S.U. 23 febbraio 2012, n. 2752).
Tali requisiti tuttavia non ricorrono nel caso di specie, in quanto le conclusioni assunte da Equitalia nel controricorso, richiedono di «rigettare» il ricorso della Cassa e di «confermare la sentenza» impugnata, ovverosia l’opposto rispetto a quanto si richiederebbe per un ricorso incidentale.
4.2 Nel merito si osserva che l’affidamento in riscossione, ai sensi di legge e secondo le modalità previste per le imposte dirette (art. 18, co. 5, seconda parte L. 576/1980, in relazione al d.p.r. 602/1973) comporta, per un verso, la preposizione del concessionario quale adiectus solutionis causa (art. 1188 c.c.) e per altro verso assume i contenuti propri del mandato, con rappresentanza ex lege, a compiere quanto necessario perché il pagamento possa avvenire, in forma spontanea, oppure anche a dare corso alle azioni esecutive secondo la disciplina propria dell’esecuzione forzata speciale.
Il diligente e tempestivo compimento degli atti esecutivi di tale complesso mandato è in sé in grado di comportare la salvaguardia del diritto rispetto all’estinzione per prescrizione e dunque anche l’assicurazione di tale effetto rientra a pieno titolo, ai sensi dell’art. 1710 c.c., nell’ambito della responsabilità del concessionario incaricato.
Non potendosi in alcun modo dubitare che gli atti posti in essere dal mandatario, rappresentante ex lege, rispetto alla riscossione del credito, siano idonei al perseguimento degli effetti di cui agli artt. 2943 e 2945 c.c.
Non può pertanto affermarsi a priori, come ha fatto la Corte territoriale, che il determinarsi, dopo l’affidamento in riscossione, della prescrizione non possa essere addebitata ad Equitalia e che solo il titolare del credito possa ritenersi legittimato ad interrompere il relativo termine.
Semmai il giudice del rinvio potrà valutare, ricostruendo in toto la vicenda inerente l’incarico di riscossione, se ricorrano o meno elementi di colpa concorrente, rilevanti ex art. 1227 c.c., in capo all’ente mandante.
5. In definitiva l’accoglimento del terzo motivo comporta la cassazione della sentenza, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, per la nuova disamina di merito relativamente all’azione di responsabilità proposta dalla Cassa, in ragione del maturare della prescrizione dei crediti, verso il concessionario della riscossione.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta i primi due, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità rispetto alla lite tra la Cassa ed Equitalia. Condanna la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense a rifondere a R. C. le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, in misura del 15% ed accessori di legge.
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