CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 ottobre 2018, n. 27239
Professionisti – Avvocato – Dipendente Inps – Tassa di iscrizione all’Albo speciale dell’Ordine degli avvocati – Rimborso
Fatti di causa
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Napoli ha respinto l’impugnazione proposta dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale avverso la sentenza di primo grado che aveva condannato l’Istituto a rimborsare all’Avv. S. C. la tassa di iscrizione all’Albo speciale dell’Ordine degli avvocati di Napoli, che il ricorrente, dipendente dell’INPS, aveva dovuto versare dal 1989 al 2002.
2. Avverso questa sentenza l’INPS ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi al quale ha resistito con controricorso l’Avvocato S. C., il quale ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
3. L’INPS denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 nn. 3 e 5 cod.proc.civ, violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 17, del D.P.R. n. 43 del 13 gennaio 1990 e manifesta contraddittorietà ed insufficienza della motivazione (primo motivo) e, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. (secondo motivo).
4. Sostiene che: la indennità di toga, pur essendo soggetta ad imposizione fiscale e contributiva, ha natura mista e, quindi, comprende anche le spese affrontate dal dipendente per svolgere l’attività di avvocato nell’interesse del datore di lavoro (primo motivo); la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare che l’iscrizione all’Albo costituisce condizione necessaria per la partecipazione alla procedura concorsuale finalizzata alla assunzione e che le spese conseguenti, pertanto, rispondono ad un interesse del lavoratore il quale, tra l’altro, al momento della conclusione del contratto ben avrebbe potuto considerare che la retribuzione pattuita era finalizzata a compensare i costi necessari per l’esercizio dell’attività (secondo motivo).
5. Il ricorrente, inoltre, addebita alla Corte territoriale di non avere svolto argomentazioni motivazionali sulle contestazioni formulate da esso ricorrente in relazione alle tesi dell’Avvocato C. secondo cui, pur in assenza di specifiche norme regolamentari e contrattuali, il datore di lavoro è tenuto al rimborso della quota annuale di iscrizione all’Albo degli Avvocati per i dipendenti pubblici.
6. I motivi, che possono esaminarsi congiuntamente in considerazione dell’intima connessione delle censure svolte, sono infondati nella parte in cui addebitano alla sentenza la violazione e la falsa applicazione dell’art. 14, comma 17, del D.P.R. n. 43 del 13 gennaio 1990 e dell’art. 1362 c.c.
7. Questa Corte ha, infatti, consolidato il principio secondo cui il pagamento della quota annuale di iscrizione all’elenco speciale annesso all’Albo degli Avvocati per l’esercizio della professione forense nell’interesse esclusivo del datore di lavoro è senz’altro rimborsabile dal datore di lavoro (Cass. nn. 2285/2018, 2507/2017, 2285/2018, 7775/2015, 6878/2015, 6877/2015).
8. Nelle sentenze innanzi richiamate è stato affermato che la quota annuale di iscrizione all’elenco speciale annesso all’Albo degli Avvocati non è compresa nella disciplina dell’indennità di toga (art. 14, comma 17, d.P.R. n. 43 del 1990), avente funzione retributiva e un regime tributario incompatibile con il rimborso spese, e non attiene a spese nell’interesse della persona, quali quelle sostenute per gli studi universitari e per l’acquisizione dell’abilitazione alla professione forense
9. Il Collegio ritiene di dare continuità ai principi affermati nelle sentenze sopra richiamate, condividendone le ragioni esposte, da intendersi qui richiamate ex art. 118 i disp. att. cod.proc.civ.
10. Il ricorrente non apporta, infatti, argomenti decisivi che impongano la rimeditazione dell’orientamento giurisprudenziale innanzi richiamato, rispetto al quale possa ritenersi giustificato l’esonero di questa Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti, sul quale si fonda, per larga parte, l’assolvimento della funzione (assegnatale dall’art. 65 dell’ordinamento giudiziario di cui al r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 e succ. modificazioni, ma di rilevanza costituzionale, essendo anche strumentale al suo espletamento il principio, sancito dall’art. 111 Cost., dell’indeclinabilità del controllo di legittimità delle sentenze) di assicurare l’esatta osservanza, l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale.
11. Le censure che addebitano alla sentenza vizi motivazionali (primo motivo) sono inammissibili perché estranee al vizio denunciarle ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 cod.proc.civ., come sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. b), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile “ratione temporis”.
12. Il ricorrente, infatti, si limita a dolersi della mancanza di argomentazioni motivazionali in ordine alle prospettazioni giuridiche formulate per contrastare la pretesa dell’odierno ricorrente, ma non denuncia T’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.
13. Il ricorso, in conclusione, va rigettato.
14. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
15. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura pari al 15%, oltre IVA e CPA.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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