CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 ottobre 2022, n. 31642
Professionista – Commercialista in quiescenza – Contributo di solidarietà -Trattenute illegittime – Azione di restituzione – Prescrizione – Termine decennale – Interessi legali – Decorrenza
Fatti di causa
Con sentenza nr. 1602 del 2019, la Corte di appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado che aveva condannato la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei dottore commercialisti (d’ora in avanti Cassa) a restituire all’attuale controricorrente, dottore commercialista in quiescenza, il contributo di solidarietà trattenuto dal 2009 al 2006 (recte 2016), sul trattamento pensionistico, dichiarando illegittime le trattenute operate sulla pensione e non prescritta l’azione di restituzione perché soggetta al termine decennale, non essendo i ratei trattenuti liquidi ed esigibili.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Cassa, affidandolo a quattro motivi, ulteriormente illustrati con memoria, cui ha resistito, con controricorso, il pensionato.
La Sesta sezione di questa Corte di cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 5309/2022, ha rimesso alla sezione ordinaria la questione relativa al terzo motivo.
Ragioni della decisione
I primi due motivi del ricorso, che investono la denuncia di plurime violazioni di leggi – D. Lgs. n. 509 del 1994, art. 2, in combinato disposto con il Reg. di disciplina del regime previdenziale della Cassa del 2008, art. 22 e con le delibere del 28.10.2008 e del 27.6.2013; L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12; L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763; L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 488; L. n. 201 del 2011, art. 24 (ndr:D.Lgs. n. 201 del 2011, art.24); artt. 3 e 38 Cost.; L. n. 147 del 2013, art. 1,L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 2, in combinato disposto con il Regolamento della Cassa, art. 22 e con le delibere citate – vanno trattati congiuntamente in quanto attinenti alla natura del contributo di solidarietà ed alla sua ritenuta legittimità anche in relazione alla realizzazione di equilibri di bilancio.
1.A tale riguardo, la Corte non intende mettere in discussione il consolidato orientamento, confermato anche da recentissime decisioni (fra tante, Cass. nn. 603 e 982 del 2019; nr. 28054 del 2020, nr. 6897 del 2022), in base al quale si è chiarito che gli enti previdenziali privatizzati (come, nella specie, la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti) non possono adottare, sia pure in funzione dell’obbiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità della gestione, atti o provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano una trattenuta (nella specie, un contributo di solidarietà) su un trattamento che sia già determinato in base ai criteri ad esso applicabili, dovendosi ritenere che tali atti siano incompatibili con il rispetto del principio del pro rata e diano luogo a un prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali ex art. 23 Cost., la cui imposizione è riservata al legislatore (così, da ult., Cass. nn. 27340, 28055, 28054 del 2020).
2. In particolare, con la pronuncia nr. 603 del 2019, la Corte, nel confermare l’estraneità del contributo di solidarietà, per natura e funzione, ai criteri di determinazione del trattamento pensionistico e conseguentemente anche al principio del necessario rispetto del pro rata, ha richiamato, altresì, la sentenza della Corte Costituzionale nr. 173 del 2016 che, nel valutare l’analogo prelievo disposto dalla legge nr. 147 del 2013, art. 1, comma 486, ha affermato che si è in presenza di un prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte dalla legge, ai sensi dell’art. 23 Cost., avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale (sentenza nr. 178 del 2000; ordinanza nr. 22 del 2003).
3. Sulla base delle considerazioni che precedono, deve, dunque, ribadirsi che esula dai poteri riconosciuti dalla normativa la possibilità per le Casse di emanare un contributo di solidarietà in quanto, come si è detto, esso, al di là del suo nome, non può essere ricondotto ad un criterio di determinazione del trattamento pensionistico, ma costituisce un prelievo che può essere introdotto solo dal Legislatore
4. Le ulteriori argomentazioni svolte in seno alla memoria depositata dalla Cassa non pongono elementi di valutazione effettivamente nuovi o non considerati in occasione delle molteplici occasioni in cui questa Corte si è pronunciata, per cui l’orientamento formatosi va mantenuto fermo ed i motivi devono essere rigettati, con assorbimento di ogni ulteriore censura.
5. Con il terzo motivo di ricorso, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione della L. n. 147 del 2013, art. 1, degli artt. 2946 e 2948 c.c., del R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 129, e del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 bis, la Cassa ricorrente deduce la non conformità a diritto della pronunzia resa dalla Corte territoriale in punto di prescrizione del diritto azionato dall’assicurato, assumendo l’erroneità della ritenuta applicazione del termine decennale in luogo di quello quinquennale giacché, non applicando al caso di specie la stessa normativa applicabile all’INPS, si determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento.
6. L’ordinanza interlocutoria richiama, a sua volta, l’ordinanza nr.33380 del 2021 che, nel rimettere analoga questione alla sezione ordinaria, ha individuato nei caratteri della certezza e liquidità del credito il dato decisivo da utilizzare, per rispettare i principi espressi da Cass., sez. un., nr. 17742 del 2015, citata anche dalla sentenza impugnata, e quindi appurare se, nel caso di specie, possa farsi applicazione del termine quinquennale di prescrizione, in applicazione delle disposizioni denunciate ed in particolare dell’art. 47 bis d.p.r. n. 639 del 1970; in particolare, il tema della liquidità ed esigibilità delle somme dovute, ricorda l’ordinanza, risulta posto anche a base delle pronunce che hanno affrontato la questione della prescrizione del diritto alla rivalutazione dell’indennità per danni dovute alle vittime del dovere ( in dette pronunce – osserva l’ordinanza nr. 33380 cit.- la nozione di «liquidità» del credito è intesa nell’accezione del tutto peculiare di «effetto del completamento del procedimento amministrativo di liquidazione», lontana, dunque, dalla nozione comune desumibile dall’art. 1282 cod.civ.).
7.A motivo del dubbio interpretativo, si indica, però, Cass. nr. 11655 del 2020, relativa alle obbligazioni pecuniarie dello Stato, che, in discontinuità con i precedenti ricordati dalla stessa ordinanza, ritiene che i debiti dello Stato e degli altri enti pubblici diventano liquidi ed esigibili e perciò produttivi di interessi corrispettivi, ai sensi dell’art. 1282 cod.civ., quando ne sia determinato l’ammontare e se ne possa ottenere alla scadenza il puntuale adempimento, a prescindere dal procedimento contabile di impegno e ordinazione della spesa (cd. titolo di spesa).
8.Il Collegio reputa il motivo infondato.
9. Questa Corte di legittimità (Cass. nr.41320 del 2021) ha già avuto modo di confermare, in fattispecie analoga alla presente, l’orientamento accolto dalla sentenza impugnata ed ancor prima dalle Sezioni unite di questa Corte nr. 17742 del 2015, secondo cui in materia di previdenza obbligatoria quale quella gestita dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del D.Lgs. nr. 509 del 1994 la prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2948 nr. 4 cod.civ. – così come dal R.D.L. nr. 1827 del 1935, art. 129 – richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, sicché, ove vi sia in contestazione l’ammontare del trattamento pensionistico, il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 cod.civ.
10. In tali occasioni si è precisato che il rapporto assicurativo che lega la Cassa ai propri iscritti ha natura obbligatoria, dato che la CNRP è a tutti gli effetti una persona giuridica privata che gestisce una forma di previdenza e assistenza, cui è obbligatoria l’iscrizione e la contribuzione da parte degli appartenenti delle categorie interessate; inoltre, l’applicazione dell’art. 2948 nr. 4, allo stesso modo che il R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 129, richiede la liquidità e l’esigibilità del credito, che deve essere «pagabile», ovvero messo a disposizione del creditore, il quale deve essere posto nella condizione di poterlo riscuotere. Non basta, quindi, ai fini, sia dell’art. 129 che dell’art. 2948, la mera idoneità del credito ad essere determinato nel suo ammontare, tanto che entrambe le norme non trovano applicazione nelle ipotesi di ratei di pensione la cui debenza sia in contestazione (v. Cass. n. 16388 del 2004 e nr. 1787 del 1997, in motivazione, nonché sez.un. nr . 10955 del 2002).
11. Se, dunque, il pensionato è stato in condizione di riscuotere solo i ratei della pensione nella misura decurtata del contributo di solidarietà, e non anche nel superiore importo spettante senza l’applicazione del medesimo, che è oggetto della controversia ora in esame, la differenza tra l’importo liquidato e quello superiore richiesto non può ritenersi «pagabile» e, quindi, non può applicarsi la prescrizione quinquennale dell’art. 2948 cod.civ., ma quella decennale ordinaria dell’art. 2946 cod.civ.
12. Tale orientamento va confermato, potendo aggiungersi che non induce a diversa soluzione l’art. 47 bis d.p.r. nr. 639 del 1970 (Attuazione delle deleghe conferite al Governo con gli artt. 27 e 29 della L. 30 aprile 1969, n. 153, concernente revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), secondo cui si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni, nel testo introdotto dal numero 2) della lettera d) del comma 1 dell’art. 38, D.L. 6 luglio 2011, nr. 98.
13. Risulta decisiva la considerazione che la fattispecie in esame non è classificabile quale ipotesi di riliquidazione di trattamenti pensionistici, ma quale credito consequenziale all’indebita ritenuta derivante dalla applicazione di una misura patrimoniale illegittima, frutto di trattenute operate sui singoli ratei di pensione, ma che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata.
14. La Cassa ha esercitato unilateralmente un potere di prelievo che si è sovrapposto al diritto del pensionato, ma non si è confuso con l’obbligazione pensionistica a cui pretendeva di applicarsi. Il termine di prescrizione dell’azione di recupero delle somme indebitamente trattenute non può che essere quello ordinario decennale.
15. Con il quarto motivo, la Cassa denuncia la violazione degli artt. 112 e 429 cod.proc.civ. nonché della L. n. 412 del 1991, art. 16 e degli artt. 1224 e 2033 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riguardo alla decorrenza degli interessi legali.
16. Assume che la Corte di appello avrebbe omesso di pronunciare sul motivo di gravame con cui era stata chiesta la riforma della decisione di primo grado in punto di decorrenza degli interessi, da fissarsi al momento della «domanda» e non della «maturazione del diritto» (id est: dal momento dei singoli prelievi effettuati dalla Cassa).
17. Il Collegio reputa infondato anche l’ultimo motivo.
18. Pure a prescindere dalla configurabilità di un implicito rigetto del motivo di gravame, avendo la Corte di appello riportato espressamente la statuizione di primo grado in punto di accessori (v. pag. 3 della pronuncia impugnata: «oltre interessi legali dalle singole trattenute al saldo») e poi confermato integralmente il decisum, la questione che si assume omessa è, in diritto, infondata e ciò determina, comunque, l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito.
19. Soccorre, invero, il principio della Corte in base al quale la mancanza di motivazione su una questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 cod. proc. civ., di correggere la motivazione anche a fronte di un error in procedendo, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta ( ex plurimis, Cass. nr. 28663 del 2013; Cass. nr. 21257 del 2014; Cass. nr. 21968 del 2015).
20. Nel caso di specie, la decisione del giudice di appello, di conferma della sentenza di primo grado, anche in punto di decorrenza degli accessori, è conforme a diritto.
21. Al pensionato, infatti, per effetto dell’accoglimento della domanda, competono gli interessi legali dalla data di maturazione del diritto (coincidente con i prelievi effettuati dalla Cassa) fino al momento dell’effettivo pagamento, in base ad un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte che, con riguardo agli accessori, afferma che i crediti previdenziali hanno natura unitaria; gli accessori costituiscono componenti essenziali di un’unica prestazione nel senso che il credito «maggiorato di tali elementi, rappresenta, nel tempo, l’originario credito nel suo reale valore man mano aggiornato» (Cass. nr. 12023 del 2003; conf. Cass. nr. 18558 del 2014; Cass. nr. 2563 del 2016).
22. La Corte ha, peraltro, già esaminato analoghe fattispecie (v. Cass. nn. 16813 e 16814 del 2019) e richiamato, a fondamento della correttezza del decisum dei giudici di merito, anche un più recente arresto delle sezioni unite (Cass., sez.un., nr. 6928 del 2018) le quali, occupandosi di prestazioni di natura previdenziale, per quel che qui rileva, hanno nuovamente ribadito che «[…] Dalla affermata natura previdenziale (del credito) […] deriva […] che agli accessori da cumulare non si applica il regime giuridico proprio delle obbligazioni pecuniarie, sicché il pagamento del solo credito originario si configura come adempimento parziale di una prestazione unitaria […] consegue che gli interessi devono essere calcolati sul capitale rivalutato con scadenza periodica, dal momento dell’inadempimento al soddisfacimento del credito[…]».
23. Il ricorso va, dunque, rigettato.
24. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo con distrazione in favore dell’avvocato A.Z. che si è dichiarato antistatario.
25. Sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento del doppio contributo, ove risulti dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00, per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv.to A.Z..
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1, se dovuto.
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