CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 settembre 2018, n. 22942
Tributi – Accertamento – Scritture contabili – Costi non di competenza – Emissione non regolare di fatture – Ricorso per tardività della notifica
Fatti di causa
B.F. & F. Srl impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate per Iva, Irpeg ed Iva, per l’anno 2003, con cui, oltre a costi non di competenza, non integralmente deducibili ed emissione non regolare di fatture in esenzione Iva, rettificava le perdite su cambi su operazioni fuori bilancio, costituite da contratti derivati su valuta, contabilizzate dalla società in € 223.843,00 invece di € 112.424,00, importo quest’ultimo determinato dall’Ufficio come quello di effettiva competenza.
La Commissione tributaria provinciale di Avellino accoglieva il ricorso su quest’ultimo rilievo; la sentenza era poi confermata dal giudice d’appello.
L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione con due motivi, cui resiste la contribuente con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Va disattesa preliminarmente l’eccepita inammissibilità del ricorso per tardività della notifica, ritualmente avviata il 10 giugno 2011 e ricevuta dalla controparte il 16 giugno 2011, senza che rilevi, ai fini dell’individuazione del momento di perfezionamento della notifica (alla data della spedizione del piego), la circostanza che sia stata eseguita direttamente dall’Avvocato dello Stato ex art. 55, I. n. 69 del 2009, atteso che, in mancanza di previsione di specifiche modalità di esecuzione delle notifiche a mezzo servizio postale, si applica la I. n. 53 del 1994, il cui art. 3, comma 3, rinvia, per il perfezionamento della notificazione, agli artt. 4 e seguenti della I. n. 890 del 1982 (v. Cass. n. 22226 del 30/10/2015 e Cass. n. 3811 del 18/02/2014).
2. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 103 bis tuir, avendone la CTR erroneamente escluso l’applicazione.
3. Il secondo motivo denuncia omessa motivazione per non aver la CTR pronunciato sull’applicabilità del principio di coerente valutazione delle operazioni di copertura.
4. Il primo motivo non è fondato, restandone assorbito il secondo.
4.1. La vicenda in esame ha ad oggetto l’avvenuta stipula di contratti derivati su valuta (rientranti nelle cd. operazioni fuori bilancio), denominati Knock in knock out forward outperforming, costituiti, in particolare, da contratti di vendita a termine su valuta che si attivano unicamente se alla data di scadenza il cambio a pronti si colloca all’interno degli intervalli predeterminati dei tassi di cambio, mentre, in mancanza, il contratto non esplica alcuna efficacia.
Nello specifico, poi, come è incontestato, alla scadenza prefissata (nel 2003), mentre alcuni derivati si estinguevano, collocandosi il cambio all’esterno degli intervalli di validità, per altri, invece, il cambio corrente risultava all’interno degli intervalli prefissati, sicché la contribuente acquistava valuta al valore corrente (ossia, in particolare, dollari 710,589,36 al prezzo, superiore al valore di cambio, di dollari 785.919,07) e l’operazione comportava per la società una perdita, pari ad € 185.673,00;
Tale importo era, quindi, iscritto in bilancio e valutato al 31 dicembre 2003, valutazione che, secondo la prospettazione della società, era operata in conformità al disposto di cui all’art. 76, comma 3, tuir, vigente ratione temporis (di tutte le poste attive e passive denominate in valuta al cambio di fine esercizio), da cui una ulteriore perdita, per valutazione, fino ad un ammontare complessivo di € 223.843,00.
4.2. Orbene, l’Agenzia delle entrate reputa non corretta tale valutazione poiché dovevano ritenersi operanti i criteri stabiliti dall’art. 103 bis tuir, che, in relazione alla tipologia di operazione fuori bilancio in valuta, rinvia ai criteri previsti dall’art. 21, commi 2 e 3, d.lgs. n. 87 del 1992 e censura la sentenza della CTR che si è espressa in senso contrario.
4.3. Appare opportuna, preliminarmente, una disamina del quadro normativo rilevante.
4.4. L’art. 103 bis tuir, nel testo originario introdotto dal d.l. n. 554 del 1993, prevedeva:
«1. Alla formazione del reddito degli enti creditizi e finanziari indicati nell’articolo 1 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87, concorrono i componenti positivi e negativi che risultano dalla valutazione delle operazioni ‘fuori bilancio’, in corso alla data di chiusura dell’esercizio, derivanti da contratti che hanno per oggetto titoli, valute o tassi d’interesse, o che assumono come parametro di riferimento per la determinazione della prestazione la quotazione di titoli o valute ovvero l’andamento di un indice su titoli, valute o tassi d’interesse.
2. La valutazione di cui al comma 1 è effettuata secondo i criteri previsti dagli articoli 15, comma 1, lettera c), 18, comma 3, 20, comma 3, e 21, commi 2 e 3, del decreto legislativo 27 gennaio 1992 n. 87. A tal fine i componenti negativi non possono essere superiori alla differenza tra il valore del contratto o della prestazione alla data della stipula o a quella di chiusura dell’esercizio precedente e il corrispondente valore alla data di chiusura dell’esercizio. Per la determinazione di quest’ultimo valore, si assume:
a) per i contratti uniformi a termine negoziati nei mercati regolamentati italiani o esteri, l’ultima quotazione rilevata entro la chiusura dell’esercizio;
b) per i contratti di compravendita di titoli, il valore determinato ai sensi delle lettere a) e c) del comma 3 dell’articolo
c) per i contratti di compravendita di valute, il valore determinato ai sensi delle lettere a) e b) del comma 2 dell’articolo 21 del decreto legislativo 27 gennaio 1992 n. 87;
d) in tutti gli altri casi, il valore determinato secondo i criteri di cui alla lettera c) del comma 4 dell’articolo 9.
3. Se le operazioni di cui al comma 1 sono poste in essere con finalità di copertura dei rischi relativi ad attività e passività produttive di interessi, i relativi componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito, secondo lo stesso criterio di imputazione degli interessi, se le operazioni hanno finalità di copertura di rischi connessi a specifiche attività e passività, ovvero secondo la durata del contratto, se le operazioni hanno finalità di copertura di rischi connessi ad insiemi di attività e passività. A tal fine l’operazione si considera di copertura quando ha l’obiettiva funzione di ridurre o trasferire il rischio di variazione del valore di singole attività e passività o di insiemi di attività e passività»
4.5. Con l’introduzione di questa disposizione il legislatore mirava a disciplinare i criteri di concorso alla formazione del reddito imponibile, positivi e negativi, derivanti dalla valutazione delle operazioni fuori bilancio, in essere alla data di chiusura dell’esercizio, rispetto agli enti creditizi e finanziari ex art. 1, d.lgs. n. 87 del 1992, nella prospettiva di armonizzare, per tali soggetti, il reddito imponibile ai fini fiscali con quello risultante dal bilancio.
In particolare, il principio affermato con riguardo alle operazioni fuori bilancio «in corso alla data di chiusura dell’esercizio», era quello per cui concorrono alla formazione del reddito degli enti creditizi e finanziari i componenti positivi e negativi risultanti dalla “valutazione” di tali operazioni, se queste hanno per oggetto (fra l’altro, e per quanto interessa) valute o assumono come parametro di riferimento della prestazione la quotazione di valute o l’andamento di un indice su valute.
La norma, dunque, escludeva, limitatamente alla fiscalità di outrights in corso alla data di chiusura dell’esercizio, che di essa dovesse attendersi l’esito “definitivo”, ossia la scadenza del termine, e imponeva, invece, che, alla data di chiusura dell’esercizio, fosse imputato al reddito il risultato di una valutazione condotta secondo i criteri stabiliti da determinate norme del d.lgs. n. 87 del 1992 (v. sul punto anche Cass. n. 8257 del 31/03/2008).
4.6. Quanto ai criteri di valutazione, poi, il legislatore si era limitato a rinviare a quelli previsti dal d.lgs. n. 87 cit. e, in particolare, all’art. 15, comma 1, lett. c), che introduce il principio di coerenza valutativa, per cui le attività in bilancio e quelle fuori bilancio, se collegate, devono essere valutate «in modo coerente», ossia sulla base degli stessi criteri.
Con specifico riguardo alle operazioni fuori bilancio su valuta a termine, come nella specie, il rinvio era operato all’art. 21, commi 2 e 3, d.lgs. cit., con l’applicazione del cambio a termine corrente alla data di chiusura dell’esercizio per le scadenze corrispondenti a quelle delle operazioni oggetto di valutazione, con iscrizione della differenza nel conto economico tra i proventi ovvero le perdite da operazioni finanziarie.
Era previsto, infine, un tetto massimo alla deducibilità dei componenti negativi di reddito (non superiori alla differenza tra il valore del contratto o della prestazione alla data della stipula o a quella di chiusura dell’esercizio precedente – valore iniziale – ed il corrispondente valore alla data di chiusura dell’esercizio – valore finale).
4.7. Con l’art. 2 della legge n. 342 del 2000 è stato introdotto il comma 2 bis che prevede:
«2-bis. I criteri di valutazione previsti dal comma 2 si applicano anche per i soggetti, diversi dagli enti creditizi e finanziari, che nei conti annuali valutano le operazioni fuori bilancio di cui al comma.
L’intervento ha ampliato la platea soggettiva dei destinatari di questo complesso di criteri e regole – verosimilmente a fronte di un sempre più diffuso ricorso a questi strumenti finanziari da parte di altri soggetti e per le connesse problematiche di imputazione delle componenti reddituali, positive e negative, generate e, dunque, della loro rilevanza fiscale – sul presupposto, peraltro, che dette operazioni fossero state oggetto di valutazione nei «conti annuali».
Va sottolineato, sul punto, che l’espressione «conti annuali» non è meramente casuale o atecnica poiché con essa si intendono lo stato patrimoniale, il conto profitti e perdite e l’allegato, che formano un insieme inscindibile e sono disciplinati a livello europeo da una normativa che detta principi e regole per la loro elaborazione, in ispecie, le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE (sui conti consolidati), note rispettivamente come quarta e settima direttiva contabile, che disciplinano la struttura e il contenuto dei conti annuali e della relazione sulla gestione, individuando la quarta direttiva anche i metodi di valutazione e la pubblicità di tali documenti per tutte le società di capitali.
Con tale previsione, peraltro, non è stato introdotto, come pure sottolineato dalla dottrina, un obbligo di valutazione fiscale nuovo ed autonomo a prescindere da quanto previsto dalla normativa civilistica; anzi, l’esplicito riferimento alla valutazione delle operazioni fuori bilancio «nei conti annuali» porta a ritenere che la condizione per assegnare rilevanza fiscale alle componenti reddituali sia costituita solo dal ricorso ai criteri civilistici.
In conclusione, dunque, se le operazioni fuori bilancio sono valutate nei bilanci secondo le norme civilistiche in tema di redazione del bilancio, allora le componenti reddituali ad esse connesse assumono rilevanza fiscale, con applicazione dei criteri previsti dal d.lgs. n. 87 cit.
4.8. Nella vicenda in esame, il giudice d’appello ha affermato che «la valutazione delle operazioni di cui si discute … non è stata operata nei conti annuali».
La CTR, inoltre, ha confermato la sentenza di primo grado che «aveva riconosciuto quale costo detraibile per l’anno 2003 le perdite su cambi così come contabilizzate dalla società … comprensive sia di quelle provenienti dai contratti derivati di copertura … sia di quelle determinate a seguito di valutazione al 31/12/2003 delle poste di bilancio in valuta estera …».
La stessa Agenzia delle entrate, inoltre, fa discendere la propria contestazione dalla circostanza che la contribuente aveva inserito nel conto economico i risultati dell’operazione fuori bilancio, ossia in relazione all’effettivo realizzo per l’esecuzione del derivato su valuta a termine.
Il controricorrente, del resto, ha specificato che le operazioni erano state iscritte in conti d’ordine (e, dunque, ininfluenti sul patrimonio e sul risultato economico avuto riguardo al momento della loro iscrizione), salvo provvedere alla valutazione e all’iscrizione in bilancio nel momento in cui le stesse sono andate in esecuzione, generando un introito od una perdita, poi assoggettato a valutazione ai sensi dell’art. 76, comma 3, tuir..
4.9. Va dunque rilevato che:
1) l’iscrizione delle operazioni outrights nei soli conti d’ordine (o, comunque, non nei conti annuali), nella fase in cui essi rappresentavano solo potenziali rischi o vantaggi (in quanto tali ininfluenti ai fini patrimoniali), ha sicuramente determinato l’inapplicabilità dell’art. 103 bis e, dunque, l’esclusione della loro valutazione (e della loro rilevanza fiscale) prima della scadenza del 2) il raggiungimento del termine, e l’effettivo realizzo del derivato (nella specie, l’acquisto della valuta estera), con iscrizione dei risultati (le perdite) nel bilancio annuale, ha comportato, invece, che la valutazione – e la rilevanza ai fini fiscali – non ha avuto ad oggetto, in sé, le operazioni fuori bilancio, ma i risultati conseguiti, sicché esula dall’ambito dell’art. 103 bis cit., che si riferisce solo ai contratti pendenti.
Per completezza, va anche evidenziato che a tale conclusione depone non solo il portato letterale dell’art. 103 bis, comma 1, tuir (vengono in rilievo le operazioni fuori bilancio «in corso alla data di chiusura dell’esercizio»), ma anche il criterio previsto dall’art. 21, comma 2, lett. b), d.lgs. n. 87 del 1992, cui rinvia, per la fattispecie in considerazione, il comma 2 dell’art. 103 bis (le operazioni in valuta a termine sono valutate «al tasso di cambio a termine corrente alla suddetta data» ossia alla data di chiusura dell’esercizio «per scadenze corrispondenti a quelle delle operazioni oggetto di valutazione»).
4.10. Si deve sottolineare, infine, che l’inapplicabilità dell’art. 103 bis tuir non comporta l’irrilevanza, ai fini fiscali, dei risultati delle suddette operazioni.
La valutazione delle componenti reddituali, positive o negative, sorte dal rapporto, infatti, non può che avvenire in conformità alla regola generale di cui all’art. 76 tuir, secondo il quale, nel testo applicabile all’epoca dei fatti, «per la determinazione del valore normale dei beni e dei servizi e, con riferimento alla data in cui si considerano conseguiti o sostenuti, per la valutazione dei corrispettivi, proventi, spese e oneri in natura o in valuta estera, si applicano, quando non è diversamente disposto, le disposizioni dell’art. 9; tuttavia i corrispettivi, i proventi, le spese e gli oneri in valuta estera, percepiti o effettivamente sostenuti in data precedente, si valutano con riferimento a tale data … la valutazione, secondo il cambio alla data di chiusura dell’esercizio, dei crediti e dei debiti in valuta estera risultanti in bilancio, anche sotto forma di obbligazioni o titoli similari, è consentita se effettuata per la totalità di essi», imputando a conto economico i rispettivi proventi ed oneri di conversione.
5. Va quindi affermato il seguente principio di diritto:
«le operazioni fuori bilancio (nella specie, contratti derivati su valuta a termine) poste in essere da soggetti diversi dagli enti creditizi o finanziari concorrono alla determinazione del reddito ai sensi dell’art. 103 bis, comma 2 bis, tuir, ratione temporis vigente, solamente se siano state oggetto di valutazione, secondo l’ordinaria disciplina civilistica, nei conti annuali, mentre ove siano iscritte in conti d’ordine la valutazione dei risultati conseguiti, ossia delle componenti reddituali, positive o negative, sorte dal rapporto, va operata in conformità all’art. 76 tuir, nel testo ratione temporis vigente»
6. Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese, attesa la particolarità e novità della questione, vanno compensate.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese.
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