CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 aprile 2018, n. 10221
Tributi – Accertamento – Indagini bancarie – Redditi derivanti da lavoro autonomo – Presunzione ex art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 – Versamenti non giustificati – Imputazione a ricavi imponibili conseguiti nella propria attività, salvo idonea prova contraria
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle Entrate ricorre con sei motivi avverso A. D’O., A. D’O., J. D’O., nella qualità di eredi di P. D’O., per la cassazione della sentenza n. 04/03/2011 della Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria dell’1/12/2010, depositata il 21/1/2011 e non notificata, che, in controversia concernente l’impugnativa di alcuni avvisi di accertamento per maggiori IRPEF, IVA ed IRAP per gli anni dal 2000 al 2005, scaturiti a seguito di verifica fiscale delle scritture contabili di P. D’O. e di indagini finanziarie e bancarie, ha accolto l’appello degli eredi avverso la sentenza della C.T.P. di Perugia, che, a sua volta, previa riunione, aveva rigettato i ricorsi introduttivi dei contribuenti.
3. Con la sentenza impugnata, la C.T.R. dell’Umbria ha ritenuto che gli avvisi di accertamento non fossero sorretti da sufficienti prove, che dall’analisi della contabilità e dalle indagini bancarie non fossero emersi elementi gravi, precisi e concordanti a supporto degli accertamenti presuntivi dell’Amministrazione, che non vi fosse la prova “dell’autonoma organizzazione” ai fini dell’assoggettabilità all’IRAP; di contro il giudice di appello ha ritenuto convincenti ed “apparentemente logiche” le motivazioni addotte dagli appellanti.
4. A seguito del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, i signori D’O. si costituivano e resistevano con controricorso notificato il 4/6/2011; inoltre depositavano memorie ex art. 378 c.p.c..
Ragioni della decisione
1.1. Primo motivo – Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art.18 D.Lgs. n.546/92 e dell’art.112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.. Secondo la ricorrente, la C.T.R. dell’Umbria sarebbe incorsa nel vizio di extrapetizione, annullando completamente gli avvisi di accertamento, a fronte di un’impugnazione parziale, limitata ai periodi di imposta 2003 e 2004.
1.2. Il motivo è inammissibile.
1.3. Ed invero “l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale” (Cass. sent. n. 19410/2015).
Nel caso di specie, nell’esposizione del motivo, l’Agenzia ricorrente omette di riportare integralmente il contenuto del ricorso in appello dei contribuenti e quello degli avvisi di accertamento, non consentendo alla Corte di verificare, sulla base delle allegazioni, l’individuazione, nei suoi termini esatti, della censura di non corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.
2.1. Secondo motivo – Violazione e falsa applicazione dell’art.32 D.P.R. n. 600/73 e dell’art. 51 D.P.R. n. 633/72, nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n.3, c.p.c.
Secondo la ricorrente il giudice di appello ha violato le norme sulla distribuzione dell’onere probatorio, essendo l’accertamento basato sulla comparazione tra le dichiarazioni, le scritture contabili ed i risultati delle indagini bancarie, ai sensi degli artt. 32, n. 7, D.P.R. n.600/73 e 51, n.7, D.P.R. n. 633/72.
Terzo motivo – Insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art.360, comma 1, n.5, c.p.c., quanto al ritenuto raggiungimento della prova contraria dei contribuenti.
Quarto motivo – Con specifico riferimento all’avviso di accertamento n. 87301AC01908/2007, relativo all’anno d’imposta 2004 ed all’operazione non contabilizzata riguardante un’esportazione e reimportazione dagli U.S.A., violazione e falsa applicazione dell’art.39, comma 1, lett. d), D.P.R. n.600/73 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art.360, comma 1, n. 3, c.p.c., nonché insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art.360, comma 1, n.5, c.p.c.
2.2. I motivi vanno esaminati insieme, perché connessi, sono fondati e vanno accolti.
2.3. Invero, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, “la presunzione ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 consente all’Amministrazione finanziaria di riferire “de plano” ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente, salva la prova contraria da parte di costui” (Cass. sent. n.10249/2017).
La Corte Costituzionale (sent. n.228/2014) ha, inoltre, chiarito che, in caso di redditi derivanti da lavoro autonomo, la presunzione a favore del fisco è valevole solo per i versamenti e non per i prelevamenti, per la prevalenza del lavoro del professionista, il marginale apparato organizzativo, la diversa imputazione temporale del reddito, nonché, in generale, la disciplina contabile semplificata, in cui possono sovrapporsi spese ed entrate di carattere personale e professionale.
In tema di lavoro autonomo, deve, quindi, ritenersi applicabile la presunzione secondo cui i versamenti operati sui conti correnti bancari vanno imputati ai ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività, se questi non dimostra di averne tenuto conto nella base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito.
Nella fattispecie in esame il giudice di appello, in violazione degli artt. 32 D.P.R. n. 600/73 e dell’art. 51 D.P.R. n. 633/72, nonché dell’art. 2697 c.c., ha, invece, ritenuto che l’accertamento dell’Amministrazione non fosse supportato da idonea prova, senza tener conto dell’inversione dell’onere probatorio in favore del fisco per i versamenti effettuati sul conto corrente del contribuente.
Inoltre, la C.T.R. dell’Umbria, limitandosi a sottolineare la particolare natura dell’attività artistica, con una motivazione insufficiente a chiarire l’iter logico seguito, ha ritenuto che l’accertamento analitico induttivo, condotto dall’Amministrazione sulla base dell’esame della contabilità, non fosse fondato su elementi gravi, precisi e concordanti.
La C.T.R. è poi passata, contraddittoriamente, ad esaminare comunque la prova contraria fornita dai contribuenti, ritenendo che questi ultimi avessero “fornito motivazioni convincenti ed apparentemente logiche, anche se alcune non sorrette da documentazione e prove, aspetto quest’ultimo causato dalle difficoltà del reperimento, quali semplici eredi del de cuius accertato, in continuo spostamento, con frequenti soggiorni all’estero per lunghi periodi, sia per motivi personali che come artista”.
La genericità delle affermazioni contenute nella sentenza impugnata non consente di comprendere i motivi per i quali i giudici di appello hanno ritenuto fondate le doglianze degli appellanti, né chiarisce in che modo, nonostante la carenza probatoria rilevata dagli stessi giudici di appello, le affermazioni di parte abbiano consentito di superare la presunzione legale in favore del fisco in materia di versamenti bancari ed abbiano costituito l’idonea prova contraria, richiesta dalla legge.
In particolare, la C.T.R. si è limitata ad affermare apoditticamente che la frequente permanenza all’estero di P. D’O. avrebbe giustificato le ingenti movimentazioni bancarie, che gli accrediti fatti in suo favore dalla convivente costituivano la restituzione di un prestito, che le giustificazioni addotte dalle parti, pur in presenza di “qualche aspetto di incertezza e carenza”, erano comunque da accogliere.
Appare evidente che la motivazione dei giudici di appello sia insufficiente, quanto all’eventuale raggiungimento della prova contraria da parte dei contribuenti rispetto alla valenza reddituale della movimentazione bancaria riferibile al maestro D’O., mentre risulta contraddittoria, allorché riconosce che le motivazioni “convincenti ed apparentemente logiche” dei contribuenti presentino “qualche aspetto di incertezza e carenza”.
Anche con riguardo all’accertamento relativo all’operazione di trasferimento di merce per limitati periodi di tempo ex artt.214 e ss. T.U.L.D. n.43/1973, non è censurabile il comportamento dell’Ufficio, che, sulla base della documentazione doganale relativa all’operazione, ha ritenuto che costituisse elemento indiziario di reddito, prodotto e non dichiarato, la differenza di peso e di valore delle merci importate negli U.S.A. e successivamente reimportate. I giudici di appello risultano aver motivato in maniera insufficiente in ordine agli elementi indiziari valutati dall’Amministrazione ai sensi dell’art.39 lett. d) D.P.R. n.600/73, che consistevano nella differenza di peso e di valore (e non solo di peso) delle merci; inoltre, hanno motivato in maniera insufficiente e contraddittoria in ordine al rilievo probatorio delle giustificazione parziali fornite dai contribuenti, relative al diverso peso degli imballaggi, omettendo un qualsiasi esame sull’eventuale sussistenza di elementi di riscontro delle stesse.
3.1. Quinto motivo – Con specifico riferimento agli avvisi di accertamento n. 87307AC01909/2007 e n. 87307AC01910/2007 (anni 2003 e 2004), afferenti il recupero di ritenute fiscali non operate e non versate in relazione al rapporto di lavoro intercorso con i sigg. A. R. e R. R., insufficiente motivazione circa fatti decisivi e controversi, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
Deduce la ricorrente che la sentenza impugnata non spiega con sufficiente chiarezza come, a fronte degli importi pagati annualmente ai sigg. R. e R. nel 2003 e nel 2004, quali risultano dai movimenti bancari, e le attività concretamente svolte dagli stessi, come precisate dagli stessi contribuenti (secondo cui la sig. R. faceva commissioni per il Maestro e il sig. R. frequentava lo studio quotidianamente e sostituiva l’artista anche nelle operazioni di pagamento e riscossione), possa escludersi la ricorrenza di un rapporto di lavoro, sulla base della saltuarietà e materialità delle attività dei collaboratori.
Sesto motivo – Con specifico riguardo ai recuperi fiscali dell’IRAP, violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 D.Lgs. n. 447/1996, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3, c.p.c., nonché insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e controverso , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.5, c.p.c.
Secondo la ricorrente il giudice di appello avrebbe ritenuto, in violazione di legge, la non assoggettabilità ad IRAP dei redditi derivanti dall’attività artistica ed inoltre, con motivazione, incongrua, avrebbe ritenuto non dimostrata la sussistenza dell’autonoma organizzazione, presupposto dell’applicazione dell’IRAP.
3.2. I due motivi vanno esaminati insieme, perché connessi, sono fondati e vanno accolti.
3.3. Ed invero, appare indubitabile che “in tema di IRAP, l’attività artistica costituisce un elemento presuntivo idoneo a sorreggere l’apprezzamento, congruamente motivato, del giudice tributario, secondo cui il contribuente risulta contare esclusivamente sulle proprie capacità professionali, con conseguente assenza di elementi di organizzazione anche minima, sicché, nonostante la produzione di un reddito cospicuo, non è assoggettato all’imposta” (Cass. sent. n. 13471/2015).
Deve, però, convenirsi che, ove vi siano i requisiti minimi dell’autonoma organizzazione, anche all’attività artistica sia applicabile l’IRAP.
Secondo la nota sentenza delle Sezioni Unite “Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’”id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.” (Cass. S.U. sent. n.12108/09).
Inoltre “in tema di imposta regionale sulle attività produttive, il presupposto dell’autonoma organizzazione” richiesto dall’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997 non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive.” (Cass. S.U. sent. n.9451/2016).
Nel caso in esame, la sentenza impugnata sembra escludere l’assoggettabilità ad IRAP per la natura dell’attività, in ciò violando le norme di cui agli artt. 2 e 3 D.Lgs. n.447/1996, ma esamina anche la sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione, escludendolo sul presupposto che la collaborazione dei sigg. R. e Reginaldo fosse “saltuaria” e di carattere meramente materiale.
La sentenza, quindi, non è sufficientemente motivata perché non chiarisce in base a quali elementi possa escludersi la sussistenza di un rapporto di lavoro dell’artista con i sigg. R. e R. ai fini dell’IRAP e delle ritenute fiscali, a fronte delle chiare risultanze documentali (versamenti periodici per importi non irrisori in favore dei due collaboratori), quanto meno per gli anni 2003 e 2004.
4.1. Per quanto fin qui detto, dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso, in accoglimento dei successivi motivi, la Corte cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. dell’Umbria in diversa composizione, affinché, decidendo anche sulle spese del giudizio di legittimità, in applicazione dei principi enunciati in materia di poteri istruttori dell’Ufficio e di ripartizione dell’onere probatorio, motivi in maniera sufficiente e logicamente coerente sulle questioni oggetto dei motivi accolti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il primo motivo; accoglie i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti; rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla C.T.R. dell’Umbria in diversa composizione.
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