CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 aprile 2018, n. 10281
Trattamento pensionistico – Architetto – Sospensione disciplinare – Cancellazione temporanea dalla Cassa
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 622 pubblicata il 26.7.2012, in riforma della sentenza del Tribunale di Monza, ha condannato la Cassa nazionale di Previdenza e Assistenza per gli Ingegneri e Architetti Liberi Professionisti a riconoscere, ai fini del trattamento pensionistico del sig. B.G., anche il periodo dal 16.11.2000 al 17.5.2001 durante il quale il predetto era stato sospeso dall’esercizio della professione, e a pagare le relative differenze, oltre interessi dal dovuto al saldo.
2. La Corte territoriale ha ritenuto sussistenti, anche nel periodo di sospensione disciplinare, gli elementi che, secondo l’art. 7 dello Statuto Inarcassa, integrano il requisito dell’esercizio della professione con carattere di continuità, vale a dire l’iscrizione all’Albo, la mancata iscrizione a forme di previdenza obbligatoria in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altre attività esercitate e il possesso della partita Iva.
3. Ha rilevato come, peraltro, il periodo di sospensione fosse stato breve e come l’architetto avesse lavorato per undici mesi nel 2010 e per sette mesi nel 2011, così mantenendo la capacità reddituale a fronte della quale Inarcassa aveva richiesto il versamento dei contributi per entrambi gli anni.
4. Ha sottolineato come l’art. 45 del R.D. n. 2537 del 1925 distingua, nell’ambito delle sanzioni disciplinari, la sospensione dall’esercizio della professione per un massimo di sei mesi, dalla cancellazione dall’Albo e non colleghi in alcun modo alla sospensione disciplinare la cancellazione dall’Albo.
5. Ha escluso che a diverse conclusioni potesse condurre l’art. 21 della L. n. 6 del 1981 che, nel porre le condizioni per l’iscrizione alla Cassa, non fa alcun riferimento agli effetti dei provvedimenti di sospensione o cancellazione dall’Albo.
6. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Inarcassa – Cassa nazionale di Previdenza e Assistenza per gli Ingegneri e Architetti Liberi Professionisti – affidato ad un unico articolato motivo, cui ha resistito con controricorso il sig. B.
7. Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso Inarcassa ha dedotto violazione dell’art. 21 L. n. 6 del 1981, come applicato dall’art. 7 dello Statuto Inarcassa, in combinato disposto con l’art. 45 R.D. n. 2537 del 1925, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.
2. Ha censurato la sentenza impugnata per aver considerato sufficiente, ai fini del requisito della continuità dell’esercizio della professione, la sussistenza degli indici formali di cui all’art. 7 dello Statuto.
3. Ha rilevato come, al contrario, una lettura sistematica dell’art. 21, L. n. 6 del 1981, e dell’art. 7 dello Statuto, impedisse di presumere l’esercizio professionale con carattere di continuità ove questo fosse, come nel caso di specie, vietato per effetto di un provvedimento disciplinare.
4. Né potrebbe aver rilievo il fatto che l’art. 21 citato non preveda la cancellazione dai ruoli previdenziali per effetto dei provvedimenti disciplinari di sospensione, posto che la norma è chiara nel fissare come essenziale il requisito della continuità che, ove esclusa da elementi di segno univoco, come nella specie, priva di valore gli indici formali sopra richiamati.
5. Allo stesso modo, la permanenza dell’iscrizione all’Albo durante il periodo di sospensione disciplinare è spiegabile per l’esigenza di vincolare il professionista all’osservanza dei doveri deontologici, non necessariamente legati all’esercizio attuale dell’attività, come il dovere di riservatezza o il divieto di accaparramento di clientela.
6. Parimenti irrilevante dovrebbe considerarsi l’avvenuto incasso dei contributi per gli anni 2000 e 2001, versati dal B. in base al reddito prodotto nelle due porzioni di anno rilevanti e quindi non afferenti al periodo di sospensione disciplinare.
7. I motivi di ricorso sono infondati.
8. L’art. 21 della L. n. 6 del 1981, al comma 1, individua quale requisito fondante l’obbligo di tutti gli ingegneri e architetti di iscrizione alla Cassa, l’esercizio della libera professione con carattere di continuità. Il successivo comma terzo prevede che “Il Comitato nazionale dei delegati provvede ogni cinque anni, e per la prima volta nel secondo anno successivo all’entrata in vigore della presente legge, ad adeguare, se necessario, i criteri per accertare l’esercizio della libera professione”.
9. Con delibera del 2.5.1981 il Comitato dei delegati ha stabilito che “Ai fini dell’iscrizione ad Inarcassa il requisito dell’esercizio professionale con carattere di continuità ricorre, nei confronti degli ingegneri e degli architetti che siano ad un tempo: a) iscritti all’Albo ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di ordinamento professionale; b) non iscritti a forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque altra attività esercitata; c) in possesso di partita I.V.A.”, (Statuto Inarcassa, art. 7, comma 3).
10. Deve premettersi che lo Statuto in esame è censurabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. “poiché i criteri per l’accertamento del requisito dell’esercizio della libera professione … sono stabiliti da un organo (Comitato dei Delegati) della Cassa [nazionale di previdenza e di/assistenza a favore degli avvocati e dei procuratori] nell’ambito di un potere regolamentare che è ad esso direttamente conferito dalla legge; ne deriva che la delibera assunta al riguardo dal Comitato dei Delegati costituisce un provvedimento normativo rientrante tra le fonti secondarie del diritto oggettivo, che viene ad integrare la norma di legge delegante e la cui violazione o falsa applicazione è denunciabile in sede di legittimità, comportando anche la violazione o la falsa applicazione della norma di legge delegante” (Cass. n. 4263 del 1987, in motivazione).
11. Negli ordinamenti previdenziali l’esercizio continuativo della professione costituisce, di regola, un requisito costitutivo dell’obbligo di iscrizione alle relative Casse. Gli Enti previdenziali hanno il potere di fissare i parametri in presenza dei quali deve ritenersi sussistere la continuità nell’esercizio della professione (in alcuni ordinamenti la continuità è desunta dal quantum dei redditi prodotti e dal volume di affari) e di accertarne poi la sussistenza, potendo annullare l’anzianità contributiva maturata in assenza del requisito suddetto, come accade, ad esempio, a seguito revisione e nei limiti temporali in cui la stessa è consentita (cfr. Cass., S.U., n. 13289 del 2005).
12. In una precedente pronuncia (sentenza n. 1300 del 1997, richiamata dalla stessa Cassa ricorrente) questa Corte ha sottolineato la differenza tra i requisiti per l’iscrizione alla Cassa ed i criteri di accertamento della loro sussistenza.
13. In particolare, ha rilevato come, ai fini dell’iscrizione alla Cassa, fosse “necessario l’esercizio effettivo della libera professione in modo continuativo, cioè sistematico e non soltanto saltuario ed occasionale, il quale sia pertanto indicativo di una reale capacità contributiva che giustifichi l’obbligatoria partecipazione alla solidarietà dì categoria, da cui è caratterizzata, al pari degli altri sistemi previdenziali dei liberi professionisti, la particolare forma di previdenza gestita dalla Cassa”, (cfr. Cass., S.U., n. 6638 del 1986, in motivazione).
14. Ha precisato come agli indici di cui alle lettere a, b, c, dell’art. 7, comma 3, dello Statuto Inarcassa, potesse essere riconosciuta solo una funzione strumentale all’accertamento della sussistenza dei requisiti sostanziali. Con la conseguenza che, pur in presenza degli indici suddetti, non potesse essere precluso alle parti, sia al professionista e sia alla Cassa, di provare la inesistenza dell’esercizio della libera professione con carattere di continuità.
15. Ciò posto, deve ritenersi che la Corte territoriale abbia interpretato ed applicato correttamente le disposizioni sopra richiamate, attenendosi ai principi enunciati in sede di legittimità.
16. Difatti, la sentenza d’appello ha attribuito mero valore strumentale agli indici di cui all’art. 7, comma 3, dello Statuto, ha preso in esame altri elementi, in particolare, la breve durata della sospensione e l’esercizio dell’attività lavorativa per la maggior parte dei mesi degli anni 2010 e 2011 e, all’esito di una valutazione globale, ha escluso che fosse dimostrato, da parte della Cassa onerata, il difetto del requisito sostanziale della continuità nell’esercizio della libera professione.
17. Tale interpretazione è del tutto coerente ad una lettura del requisito della continuità quale esercizio sistematico e non solo saltuario ed occasionale, della professione e, in tale ottica, la Corte territoriale ha opportunamente valorizzato l’ampiezza temporale di svolgimento del lavoro di architetto da parte del sig. B., che ha occupato la maggior parte dei mesi del 2010 e del 2011.
18. D’altra parte, dal punto di vista logico, il fatto che per alcuni mesi sia vietato lo svolgimento delle attività tipiche della professione di architetto non costituisce elemento atto, di per sé, a incidere sulla caratteristica della continuità della professione, si da rendere l’esercizio della stessa solo occasionale o saltuario. Nella fattispecie in esame deve ritenersi realizzato, piuttosto, un intervallo o una parentesi, al pari di quanto accade in caso di astensione volontaria dall’attività o di impedimento di altra natura, ad esempio, per malattia, in cui l’esercizio dell’attività riprende il suo corso appena la causa ostativa viene meno.
19. L’interpretazione adottata nella sentenza d’appello è la sola coerente, dal punto di vista sistematico, con il principio di autonomia dei due ordinamenti, quello previdenziale e quello dell’Ordine professionale, recentemente ribadito dalle Sezioni Unite (sentenze nn. 2612 e 2613 del 2017), e con le previsioni sopra richiamate.
20. Difatti, né la legge n. 6 del 1981, né lo Statuto Inarcassa e neanche il R.D. n. 2537 del 1925 collegano alla sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per la durata massima di sei mesi l’effetto di far venire meno la continuità, quale requisito sostanziale necessario ai fini dell’iscrizione alla Cassa, oppure uno degli indici sintomatici della stessa.
21. Non solo, se si seguisse la tesi della Cassa si finirebbe per introdurre nell’ordinamento una sanzione non prevista, attribuendosi di fatto alla sospensione disciplinare dall’esercizio della professione per sei mesi, l’effetto ulteriore di cancellazione temporanea dalla Cassa.
22. Inoltre, si arriverebbe ad equiparare negli effetti la sospensione dall’esercizio della professione ad una cancellazione temporanea dall’Albo, laddove l’art. 45 del R.D. n. 2537 del 1925 prevede due distinte sanzioni disciplinari, la sospensione dall’esercizio della professione e la cancellazione dall’Albo, potendosi collegare solo a quest’ultima l’effetto ulteriore di cancellazione dalla Cassa di previdenza.
23. Nessun rilievo può attribuirsi alla delibera del Consiglio di amministrazione di Inarcassa n. 4285 del 1994, richiamata nel ricorso in esame, in mancanza di trascrizione della stessa o di indicazioni sulla relativa collocazione negli atti processuali.
24. Infine, nonostante il riferimento, nel motivo di ricorso, all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., deve rilevarsi come la sola censura mossa da Inarcassa investa l’erronea interpretazione ed applicazione delle disposizioni sopra esaminate.
25. Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
26. Ricorrono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, poiché il ricorso è stato notificato in data successiva al 30.1.2013.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis del medesimo art. 13.
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