CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 aprile 2021, n. 11116
Infortunio – Risarcimento del danno – Appalto dei lavori di facchinaggio e movimentazione merci – Violazione di specifica norma antinfortunistica – Configurabilità di un rischio elettivo da parte dell’infortunato
Fatti di causa
1. L.C. convenne davanti al giudice del lavoro F.S. s.a.s. di D.V. & C. e D.V., legale rappresentante e socio accomandatario della medesima, chiedendone la condanna al risarcimento del danno per l’infortunio verificatosi in data 13 ottobre 2008; la pretesa fu fondata sull’essere la società F.S. committente dell’appalto conferito alla C.L. di Chiugiana di Cordano, datrice di lavoro del C.; nel corso del giudizio intervenne l’INAIL con domanda di surroga ai sensi degli artt. 10 e 11 d. P.R. n. 1124/1965 nei confronti della committente e del socio accomandatario della stessa, D.V., per l’importo di € 94.710/79 oltre accessori e salva la richiesta del maggior costo dell’infortunio ai sensi dell’art. 116 d. P.R cit.
2. Il Tribunale respinse entrambe le domande.
3. La Corte di appello di Perugia, in riforma della sentenza di
primo grado, condannò F.S. s.r.l., già F.S. s.a.s. di D.V. & C., e D.V., socio accomandatario di quest’ultima, al pagamento in solido in favore del C., della somma di € 27.633,89, oltre accessori; in accoglimento della domanda spiegata dall’INAIL, intervenuto nel giudizio di primo grado, condannò la F.S. s.r.l. e D.V. al pagamento in solido in favore dell’istituto assicuratore dell’importo di € 106.824, 11 oltre interessi legali.
3.1. La sentenza di appello accertò che il C. – dipendente della società cooperativa C.L., alla quale la società in accomandita, F.S. di D.V. & C aveva affidato in appalto dei lavori di facchinaggio e movimentazione merci da eseguirsi all’interno dell’immobile nel quale la committente svolgeva la sua attività produttiva – mentre era intento a sistemare la merce in entrata sul soppalco del magazzino della società committente, soppalco costituito da un ballatoio sospeso a circa tre metri da terra, con una balaustra posta ad un’ altezza di novanta centimetri, lungo il quale si trovavano gli scaffali, era stato avvicinato da A.R., dipendente dell’A.U. s.p.a. e impiegato presso la società F.S. in virtù di un contratto di somministrazione; il R., con l’intenzione di scherzare, aveva preso il C. per le spalle e lo aveva spinto verso il parapetto della passerella; il C. aveva tentato di aggrapparsi alla balaustra la quale, tuttavia, per l’urto, era uscita dal suo alloggiamento; il lavoratore aveva perso l’equilibrio e, dopo essere rimasto qualche secondo sospeso nel vuoto con un piede incastrato tra la tavola fermapiede era precipitato sul pavimento sottostante riportando plurime lesioni.
3.2. La Corte di appello, per quel che ancora rileva fondò l’affermazione della responsabilità della società committente sulla considerazione che la caduta del C. non era stata dovuta solo alla spinta del R. ma determinata anche dalle caratteristiche della balaustra la quale, in violazione di specifica norma antinfortunistica, era risultata di altezza inferiore ad un metro e non assicurata saldamente ai montanti della corsia essendo, al contrario, risultata amovibile per consentire il carico e lo scarico della merce; la condotta sconsiderata del R. non elideva, pertanto, la responsabilità della società committente che trovava il suo fondamento nell’art. 26, comma 4, d. Igs n. 81/2008 in tema di obblighi di sicurezza a carico del soggetto committente per l’ipotesi di appalto cd. endoaziendale. Il giudice di appello rilevò, inoltre, che quando si era verificato l’infortunio il C. non stava compiendo attività estranee alle mansioni assegnategli dall’azienda appaltatrice mentre l’esorbitanza dall’attività lavorativa riguardava soltanto la condotta del R. vale a dire un soggetto terzo; tanto escludeva la configurabilità di un rischio elettivo da parte dell’infortunato, rischio idoneo ad interrompere il nesso causale tra la violazione dell’obbligo di sicurezza da parte della committente e l’evento.
3.3. La Corte di merito ritenne fondata l’azione di recupero delle somme corrisposte per l’infortunio avanzata dall’INAIL, che qualificò azione surrogatoria ai sensi dell’art. 1916 cod. civ. e non azione di regresso, esperibile dall’istituto assicuratore nei confronti del solo datore di lavoro nella cui condotta sia ravvisabile una responsabilità penale; respinse la richiesta della F.S., di chiamata in causa del R.
4. Per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso F.S. s.r.l. già F.S. s.a.s. di V.D. & C. e D.V. sulla base di cinque motivi; l’INAIL ha resistito con tempestivo controricorso; l’intimato L.C. non ha svolto attività difensiva.
5. L’INAIL ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa e/o errata applicazione dell’art. 2697 cod. civ.- anche in relazione alla mancata ammissione delle richieste istruttorie decisive -, degli artt. 420, comma 5, 437 commi 2 e 3, cod. proc. civ. e degli artt. 40 e 41 cod. pen. e, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., insufficiente motivazione per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Critica la sentenza impugnata sul presupposto che la stessa, in contrasto con le emergenze istruttorie, alla stregua delle quali l’infortunio si era verificato allorquando il C. e il R. stavano ( entrambi ) scherzando, aveva ritenuto che in realtà il primo stesse espletando la propria attività lavorativa e riferito al solo R. l’esorbitanza dalle proprie mansioni in relazione al ruolo avuto dallo stesso nel verificarsi dell’infortunio; lamenta, inoltre, la mancata, adeguata considerazione della dinamica dell’incidente con riferimento al fatto che il corrente del parapetto aveva ricevuto una sollecitazione del tutto anomala e che il C. aveva ricevuto una seconda spinta dal R.; in questa prospettiva sostiene il carattere anomalo ed assolutamente abnorme della condotta del R., tale da recidere qualsiasi collegamento causale con l’espletamento dell’attività lavorativa; ciò anche in ragione dell’assoluta imprevedibilità della relativa condotta.
Lamenta, quindi, la mancata ammissione delle prove testimoniali reiterata in seconde cure.
2. Con il secondo motivo di ricorso deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. violazione e/o falsa e/o errata applicazione degli artt. 10 e 11 d.P.R. n. 1124/1965, dell’art. 63, commi 1, 2, 3, dell’art. 64, comma 1, lett. a) dell’allegato IV, punto 1.7.3. d. Igs n. 81/2008, degli artt. 40 e 41 cod. pen. Nonché, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
Premesso che la Corte di merito aveva dichiarato la società Ferramenta V. esclusiva responsabile del sinistro, ritenendo come la ” causa” o, quantomeno la ” concausa” del sinistro fosse da rinvenire nel cedimento della balaustra, deduce che la domanda del C. di condanna della società al danno differenziale e la domanda di surroga proposta dall’INAIL richiedevano l’accertamento dei presupposti previsti dagli artt. 10 e 11 d.P.R n. 1124/ 1965, vale a dire la esistenza di un sinistro ricollegabile a responsabilità del datore di lavoro, “rappresentativa” di un reato procedibile di ufficio; la Corte di merito aveva eluso tale indagine ed omesso la necessaria delibazione della eventuale sussistenza di un fatto – reato; non era stata dimostrata alcuna relazione causale tra infortunio e violazione delle norme antinfortunistiche contestata dalla USL la quale, anzi, nel verbale, aveva radicalmente escluso la sussistenza di profili di reato ascrivibili al datore di lavoro; evidenzia che il procedimento penale a carico del legale rappresentante della società F.S. era stato archiviato; l’infortunio si era verificato per cause estranee alle anomalie tecniche contestate alla società committente; in particolare le prescrizioni relative al parapetto, ai sensi dell’art. 1.2.2.1.4. dell’allegato IV d. lgs n. 81/2008, non specificamente contestate alla società F.S., imponevano di tenere conto della specifica funzione cui tale parapetto era adibito, funzione che era quella di evitare cadute accidentali e non certo quella di resistere ad una forza anomala volontariamente impressa da un soggetto che afferri la balaustra nel corso di una “colluttazione”, sia pure giustificata da finalità ludiche.
3. Con il terzo motivo di ricorso deduce ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. violazione e/o falsa e/o errata applicazione dell’art. 2697 cod. civ., degli artt. 2049 e 2087 cod. civ. dell’art. 26, comma 4, d. Igs n. 81/2008 nonché, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ,, omessa e/o insufficiente/contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
Censura, in sintesi, la sentenza di appello sotto il profilo della omessa verifica del ruolo concreto del C., se socio della cooperativa appaltatrice o dipendente, e della configurabilità o meno, ai sensi dell’art. 26, comma 4, d. lgs n. 81/2008, di un rischio specifico proprio dell’attività dell’appaltatrice; la Corte di merito aveva errato in quanto non aveva verificato le condizioni per l’esercizio dell’azione diretta ex art. 26 d. lgs n. n. 81/2008 nei confronti del committente.
4. Con il quarto motivo di ricorso deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa e/o errata applicazione degli artt. 40 e 41 cod. pen. nonché, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ,. omessa e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
La Corte, pur affermando che la caduta del C. era avvenuta non solo a causa della spinta del R. ma perché la balaustra del parapetto aveva ceduto e che la violazione di specifica norma antinfortunistica era stata causa o comunque concausa dell’evento aveva, incomprensibilmente, assegnato alla società F.S. la totale responsabilità dell’accaduto avendola condannata all’integrale risarcimento del danno, sia a titolo di rimborso dell’ammontare versato dall’INAIL sia a titolo di danno differenziale.
5. Con il quinto motivo di ricorso deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa e/o errata applicazione degli artt. 106, 343, 346, 416 e 420, comma 9, cod. proc. civ., violazione dell’art. 2055 cod. civ., nonché, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., carenza di motivazione su un punto decisivo della controversia, censurando il rigetto della domanda di chiamata in garanzia nei confronti del R.
6. Il primo motivo di ricorso presenta un profilo di inammissibilità con riguardo alla deduzione di violazione di norme di diritto la quale non risulta incentrata sul significato e la portata applicativa delle norme delle quali è denunziata violazione e falsa applicazione, ma sulla ricognizione della concreta fattispecie a mezzo delle risultanze di causa, invocando una diversa ed a sé più favorevole ricostruzione dei fatti di causa.
Tale modalità di articolazione del motivo non è pertanto conforme all’insegnamento di questa Corte secondo il quale il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 n. 3 cod. prov. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass.. 05/08/2020, n. 16700; Cass. 29/11/2016, n. 24298; Cass. 08/03/2007 n. 5353; Cass. 17/05/2006 n. 11501).
6.1. Quanto alla denunzia del vizio di motivazione, che alla stregua del novellato art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., è consentita solo laddove si deduca omesso esame di un fatto controverso e decisivo, oggetto di discussione tra le parti, evocato nel rispetto delle previsioni di cui all’art. 366, comma 1, n. 6 cod.proc, civ. (tra le altre, Cass. SS.UU. 07/04/2014, n. 8053), si rileva che dei fatti dei quali parte ricorrente asserisce omesso esame , alcuni sono privi di decisività mentre altri risultano comunque presi in considerazione dal giudice di appello.
Tra i primi si annovera l’affermazione, rese in sede ispettiva agli Ufficiali di PG del Dipartimento Prevenzione della USL, dall’unica persona presente all’episodio la quale ha riferito che al momento dell’accaduto, il R. e il C. “stavano scherzando in prossimità della balaustra”; tale affermazione, infatti, per la intrinseca genericità di contenuto, non si presta, come vorrebbe parte ricorrente, ad essere indicativa del fatto che il C. al momento dell’accaduto non stava lavorando ma era impegnato in attività del tutto esorbitante rispetto alle proprie mansioni, sì da escludere ogni nesso di causalità con la violazione delle misure antinfortunistiche da parte del soggetto committente; ciò tanto più tenuto conto di quanto immediatamente dopo, nel medesimo contesto, puntualizzato dalla persona presente all’accaduto circa il fatto che il R. aveva afferrato per le spalle il collega e che a causa della spinta il C. aveva allungato le mani verso la sbarra superiore che era fuoriuscita dall’alloggio; ciò depone nel senso di collegare all’esclusiva iniziativa del R., senza coinvolgimento del C., la responsabilità della caduta.
6.2. Quanto al fatto dell’anomala sollecitazione della balaustra, si tratta di circostanza tenuta in considerazione dalla Corte di merito nella ricostruzione dell’accaduto (v. sentenza, pag. 5,) e da questo implicitamente valutata allorquando, facendo riferimento alle constatazioni degli operatori del Dipartimento di Prevenzione della USL circa la non conformità della balaustra alle prescrizioni contenute nel DL. 81/2008, sia in ordine all’altezza sia in ordine alla mancata stabile fissazione, ha ritenuto che l’infortunio si ponesse in relazione causale con la violazione delle prescrizioni antinfortunistiche.
L’accertamento in concreto, poi, del prospettato rapporto occasionale tra attività lavorativa ed infortunio costituisce accertamento di fatto, come tale riservato al giudice di merito – secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 06/08/2003, n. 11885; Cass. 04/12/2001. 15311; Cass. 01/07/1998 n. 6449; Cass. 19/01/1998, n. 447) – e sindacabile, in sede di legittimità, soltanto per vizio di motivazione che non può consistere, tuttavia, in una diversa ricostruzione dei medesimi fatti (vedi, per tutte, Cass 28/10/2003, n. 16213).
6.3. Infine è inammissibile la denunzia riferita alla mancata ammissione della prova testimoniale stante la genericità del riferimento alle circostanze oggetto di prova ritenute superflue dal giudice di merito( v. ricorso, pag. 17) laddove, al fine della valida censura della decisione sul punto, si richiedeva la indicazione in ricorso dei capitoli di prova non ammessi ed asseritamente concludenti e decisivi al fine di pervenire a soluzioni diverse da quelle raggiunte nell’impugnata sentenza (Cass. 10/08/2017, n. 19985; Cass. 30/07/2010, n. 17915; Cass. 19/03/2007, n. 6440). Il motivo va dunque considerato complessivamente infondato.
7. Il secondo motivo di ricorso è pure infondato.
Premesso che la denunzia di omessa verifica della esistenza di un fatto reato deve intendersi riferita non al soggetto datore di lavoro di lavoro del C., come impropriamente dedotto, ma alla committente società Ferramenta V., come coerente con l’obbligo di sicurezza sulla stessa gravante (per il quale v. Cass. 18/05/2017, n. 12561), si rileva che la censura non trova riscontro nella sentenza impugnata la quale ha espressamente delibato sulla astratta configurabilità di un fatto reato a carico dell’appaltante per il reato di lesioni colpose gravissime “l’elemento soggettivo consistendo nella negligente predisposizione del parapetto della corsia sopraelevata” (sentenza pag. 8, primo capoverso).
7.1. Le ulteriori deduzioni articolate con il motivo in esame, al di là della formale enunciazione della violazione e falsa applicazione di norme di diritto, oltre che del vizio di motivazione, deduzioni complessivamente intese a contestare il nesso di causalità tra la violazione delle norme antinfortunistiche e l’infortunio, risultano inammissibili in quanto intese in concreto ad un riesame nel merito di risultanze di causa, non veicolato, peraltro dalla corretta deduzione di omesso esame di un fatto controverso e decisivo, come prescritto.
8. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Premesso che la decisione non contiene alcuna affermazione in contrasto con l’onere probatorio ricadente sul lavoratore ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., per cui non è ravvisabile la denunziata violazione della norma richiamata, si rileva che la sentenza impugnata ha accertato che il C. era dipendente dalla C.L., che questa aveva stipulato con la F.S. un contratto di appalto per la esecuzione dell’attività di facchinaggio e movimentazione delle merci e che operava con i suoi dipendenti nell’immobile in cui la committente svolgeva la sua attività produttiva; in particolare, la esistenza del contratto di appalto è stata desunta dalla mancata tempestiva contestazione della circostanza da parte degli (all’epoca) appellati.
Tale accertamento poteva essere incrinato solo alla deduzione di omesso esame di un fatto controverso e decisivo oggetto di discussione fra le parti ed evocato nel rispetto dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., deduzione che non risulta in concreto formulata; da tanto deriva che le doglianze di parte ricorrente, che assumono in sintesi un difetto di indagine in ordine al ruolo del C. ed alle ragioni della sua presenza all’interno dell’immobile dove la committente espletava la propria attività, come pure in ordine alla mancata acquisizione del contratto di appalto, si rivelano del tutto inidonee alla valida censura della decisione, dovendo ulteriormente rilevarsi che, secondo quanto emergente dal ricorso medesimo erano stati gli originari resistenti, odierni ricorrenti, a dare atto della esistenza dell’appalto e del fatto che il C. fosse dipendente della società appaltatrice (ricorso, pag. 6, in fine).
9. Il quarto motivo di ricorso è infondato.
La condanna per l’intero degli odierni ricorrenti, pur in presenza di un accertamento che riconosce quale concausa dell’evento la condotta di un soggetto terzo, è coerente con la natura solidale del vincolo esistente tra tutti coloro che sono chiamati a rispondere dell’evento. Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di infortuni sul lavoro, quando un danno di cui si chiede il risarcimento è determinato da più soggetti, ciascuno dei quali con la propria condotta contribuisce alla produzione dell’evento dannoso, si configura una responsabilità solidale ai sensi dell’art. 1294 cod. civ. fra tutti costoro, qualunque sia il titolo per il quale ciascuno di essi è chiamato a rispondere, dal momento che, sia in tema di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, se un unico evento dannoso è ricollegabile eziologicamente a più persone, è sufficiente, ai fini della responsabilità solidale, che tutte le singole azioni od omissioni abbiano concorso in modo efficiente a produrlo, alla luce dei principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dei danni (patrimoniali e non) da risarcire (Cass. 09/04/2014, n. 8372); la natura solidale del vincolo tra i responsabili comporta ai sensi dell’art. 1299 cod. civ., la possibilità per il debitore che ha pagato l’intero credito di agire in regresso nei confronti dei condebitori per la quota di pertinenza degli stessi.
10. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile in quanto per consolidato orientamento di questa Corte il provvedimento con il quale il giudice autorizza o nega la chiamata in causa di un terzo ad istanza di parte coinvolge valutazioni assolutamente discrezionali, che, come tali, non possono formare oggetto di impugnazione (Cass. 28/03/2014, n. 7406; Cass. 20/12/2005, n. 28227; Cass. 22/05/1997, n. 4568).
11. Al rigetto del ricorso consegue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza.
12. Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dell’art.13 d. P.R. n. 115/2002 (Cass. Sez. Un. 20/09/2019 n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore dell’INAIL che liquida in € 6.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.