CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 dicembre 2018, n. 33372
Rapporto di lavoro – Demansionamento – Condotta di mobbing – Risarcimento del danno biologico
Fatti di causa
Il Tribunale di Bologna, con sentenza nr. 548 del 2008, condannava l’A. S.p.A. al risarcimento del danno da demansionamento nonché al pagamento dell’indennità di trasferta, in favore di L.S.; respingeva, invece, la domanda di risarcimento del danno biologico e riteneva non dimostrata la condotta di mobbing.
La Corte di Appello di Bologna, con sentenza nr. 1260 del 2014, in accoglimento dell’appello di A. SpA, respinto quello incidentale, rigettava tutte le domande del lavoratore.
Per quanto solo rileva in questa sede, la Corte territoriale osservava come avesse rilievo assorbente la considerazione che il lavoratore non avesse allegato e, quindi provato, i danni derivanti dalla asserita condotta di demansionamento e di mobbing. Al riguardo, osservava come il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado descrivesse danni in via astratta ma non concretamente riferibili alla vicenda personale del dipendente.
Avverso la decisione, ha proposto ricorso in cassazione L.S., affidato a due motivi.
Ha resistito, con controricorso, A. S.p.A.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, è dedotta violazione ed omessa applicazione di norme di diritto (artt. 2087 e 2103 cod. civ).
1.1. La parte ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale avrebbe omesso qualsiasi accertamento in merito alla condotta aziendale di demansionamento e di mobbing.
2. Con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – è dedotto l’omesso esame, l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
2.1. La critica riguarda l’omessa valutazione dei fatti che avrebbero portato al demansionamento del lavoratore ed alla forzata inoperosità e comunque la statuizione di omessa allegazione e prova dei fatti, laddove il lavoratore aveva dimostrato, attraverso la documentazione medica di una struttura pubblica, di aver subito, per il periodo di inoperosità ed a causa ed a causa dei comportamenti discriminatori, un danno psico-fisico per un periodo di un anno ed otto mesi.
3. I due motivi, presentando profili di stratta connessione, vanno congiuntamente trattati.
3.1. Essi sono inammissibili.
3.2. Le censure non si confrontano in alcun modo con il decisum della Corte di Appello.
3.3. La sentenza impugnata chiarisce, in premessa, che «ove anche fosse (stato) dimostrato il demansionamento (e/o il mobbing) la domanda risarcitoria del ricorrente (id est: del lavoratore) sarebbe (stata) comunque infondata perché priva delle necessarie allegazioni e prove sul danno subito».
3.4. Tali affermazioni dovevano dunque indurre il ricorrente a modulare diversamente le censure in modo, eventualmente, da incrinare il fondamento giustificativo delle argomentazioni svolte dai giudici di merito ( deducendo, in primo luogo, la puntuale allegazione dei pregiudizi subiti e dei mezzi di prova, a tale riguardo, richiesti); l’accenno, in proposito contenuto nel secondo motivo, è carente di specificità, poiché il motivo non trascrive l’atto introduttivo di primo grado, quanto meno nei suoi passaggi salienti, onde consentite alla Corte la verifica di effettività della deduzione e di fondatezza del rilievo.
4. Le medesime considerazioni si impongono anche in relazione alla deduzione di omessa valutazione della prova documentale; alle stesse, deve aggiungersi che la parte, quando lamenta l’omessa valutazione di un documento ad opera del giudice di merito, ha l’onere (imposto dall’art. 366 nr 6 cod. proc. civ.) di produrlo unitamente al ricorso in cassazione (ovvero l’onere di indicare esattamente in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione), sempre trascrivendo o riassumendo il contenuto; diversamente, incorre nel rilievo di inammissibilità (Cass. n. 19048 del 2016).
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. nr. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso art. 13.
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