CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 dicembre 2021, n. 41585
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Chiusura dell’unità operativa – Impossibilità di adibire la lavoratrice in mansioni diverse – Prova
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Milano, con la pronuncia n. 643/2018, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato dalla M. srl a M. E. V., con lettera del 17.11.2016, per l’infondatezza del giustificato motivo oggettivo determinato dalla soppressione della sua posizione lavorativa di B. M.- M. presso la sede di Milano; ha condannato, altresì, la società a corrispondere alla dipendente, ai sensi dell’art. 3 co. 1 d.lgs. n. 23/2015, una indennità pari a quattro mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, pari all’importo mensile netto di euro 4.100,00 con interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data del licenziamento al saldo.
2. La Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 192/2018, ha confermato la decisione di prime cure evidenziando che: a) la società non aveva offerto la prova della chiusura dell’unità operativa di Milano; b) la prova testimoniale articolata, sul punto, era generica; c) la datrice dì lavoro non aveva neppure dimostrato, in modo esauriente, l’asserita impossibilità di adibire la V. in mansioni diverse da quelle di B. M.- M. e non rilevava il fatto che la dipendente non avesse dato la propria preventiva disponibilità al trasferimento presso altra sede perché comunque l’azienda avrebbe potuto esercitare legittimamente il proprio ius variandi; d) lo “straordinario forfetizzato”, non essendo incluso tra gli elementi aggiuntivi della retribuzione nazionale e costituendo una componente stabile della retribuzione percepita dalla lavoratrice, andava posto a base del calcolo degli istituti retributivi indiretti e della indennità sostitutiva di preavviso.
3. Per la cassazione ricorre M. srl in concordato preventivo con due motivi.
4. Resiste con controricorso M. E. V..
5. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 legge n. 604/66, degli artt. 115, 116, 420, 421 e 437cpc e dell’art. 2103 cc, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5 cpc. Deduce che la chiusura del punto vendita di Milano era stata documentata con l’atto di risoluzione del rapporto locativo in essere e che la Corte territoriale non aveva ben valutato le articolate richieste di prova testimoniale nonché le risultanze processuali non contestate; lamenta che i giudici di secondo grado non avevano attivato í propri poteri officiosi ex art. 421 e 437 cpc essendo stati offerti spunti di indagine da approfondire; si duole, poi, che non era stato considerato l’assolvimento dell’onere del repéchage essendo stato offerto alla dipendente, in data 16.10.2016, il trasferimento alla sede di Spello, con diverse mansioni, che però era stato rifiutato.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione o falsa applicazione degli artt. 44, 96, 97 e 107 del CCNL tessili Abbigliamento Moda Industria, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per avere ritenuto la Corte di merito, in contrasto con le disposizioni collettive sopra richiamate, che lo straordinario forfetízzato non fosse una componente stabile della retribuzione.
4. Il primo profilo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
5. Sono inammissibili tutte le doglianze, sebbene articolate come violazioni di legge, dirette ad una rivalutazione delle risultanze probatorie connesse ad un riesame degli atti di causa, non consentita in sede di legittimità se non nei limiti di cui all’art. 360 n. 5 cpc, ratione temporis applicabile, nella fattispecie, peraltro, inapplicabile vertendosi in una ipotesi di cd. “doppia conforme” ex art. 348 ter u.c. cpc, su questioni di fatto valutate in modo analogo dai giudici di merito (Cass. n. 24434/2016; Cass. n. 23940/2017; Cass. n. 20867/2020).
6. E’, altresì, inammissibile la denunciata violazione degli artt. 421 e 437 cpc in quanto l’uso de poteri istruttori da parte del giudice non ha carattere discrezionale, ma costituisce un potere-dovere del cui esercizio il giudice è tenuto a dare conto; tuttavia, per idoneamente censurare in sede di ricorso per cassazione l’insussistenza o la lacunosità della motivazione sul punto della mancata attivazione di tali poteri, occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio, in quanto diversamente sì introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito (Cass. n. 14731/2006; Cass. n. 25374/2017; Cass. 22534/2014).
7. Nel caso in esame, la prova di tale sollecitazione non vi è stata fronte di una valutazione dei giudici dei merito che hanno ritenuto privo di qualsiasi capacità dimostrativa il documento prodotto (risoluzione del contratto locativo) e inammissibile la prova testimoniale articolata perché generica.
8. A ciò va aggiunto che la valutazione sulla mancata contestazione specifica, o non, di circostanze di fatto spetta al giudice di merito ed è sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (Cass n. 27940/2019), nei limiti, però, sopra evidenziati.
9. E’, infine, infondata la dedotta violazione circa la non considerazione dell’assolvimento dell’onere di repéchage in quanto alla dipendente, un mese prima del licenziamento, era stato offerto il trasferimento presso la sede di Spello, con diverse mansioni, che però era stato rifiutato.
10. Premesso che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cc si configura solo nella ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma e non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova (sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cpc, cfr. Cass. n. 17313/2020), nella fattispecie la Corte territoriale ha fornito sul punto una adeguata e congrua motivazione logico-giuridica.
11. Invero, i giudici di seconde cure hanno evidenziato, in primo luogo, conformemente a quanto dedotto dal Tribunale, che non era stata dimostrata in modo esauriente l’asserita impossibilità di adibire la V. in mansioni diverse da quelle di B. M.- M. svolte presso la sede di Milano; hanno, poi, ritenuto, in secondo luogo, che la mancata disponibilità della lavoratrice, manifestata un mese prima del licenziamento, a trasferirsi a Spello, fosse irrilevante atteso che l’azienda era comunque nelle condizioni di esercitare legittimamente il proprio ius variandi.
12. La statuizione è conforme all’orientamento espresso in sede di legittimità secondo cui, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo a causa della soppressione del posto cui era addetto il lavoratore, il datore di lavoro ha l’onere di provare non solo che al momento del licenziamento non sussistesse alcuna posizione di lavoro analogo a quella soppressa per l’espletamento di mansioni equivalenti, ma anche, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, di avere prospettato al dipendente, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale (Cass. n. 29099/2019).
13. Nel caso de quo, come sopra evidenziato, è mancata pregiudizialmente la prova che al momento del licenziamento non sussistesse altra posizione lavorativa, e ciò rende superflua ogni altra considerazione.
14. Anche il secondo motivo è inammissibile.
15. Esso, infatti, non si confronta con il nucleo centrale della ratio decidendi adottata sul punto della gravata sentenza secondo cui, con un accertamento in fatto compiuto dai giudici del merito non adeguatamente censurato, nella fattispecie “lo straordinario forfettizzato” costituiva una componente stabile della retribuzione percepita dalla V..
16. In presenza di tale statuizione, è chiaro che il suddetto “straordinario” non rientra tra gli elementi aggiuntivi della retribuzione ma, in quanto componente stabile della stessa, deve essere inclusa nella base del calcolo degli istituti indiretti, non ostandovi l’art. 44 del CCNL che stabilisce che unicamente “gli elementi aggiuntivi della retribuzione nazionale non si calcolano su nessun istituto indiretto o differito, in quanto tali importi e/o maggiorazioni sono comprensivi di eventuali effetti sulla retribuzione indiretta e differita, incluso il trattamento di fine rapporto”: articolo di cui, peraltro, non risulta prodotto neanche il testo integrale dell’intero contratto ove è contenuto.
17. Alla stregua di quanto esposto il ricorso va rigettato.
18. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
19. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso, Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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