CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 dicembre 2021, n. 41586
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Impossibilità di ripescaggio – Chiusura del cantiere edile – Prova del datore di lavoro
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Nola, con la sentenza n. 2954/2016, pronunciando a seguito della riassunzione del giudizio nei confronti della Società I. spa in amministrazione straordinaria, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a G.C. il 5.4.2011 e ha condannato la società datrice di lavoro alla sua reintegra in servizio e al pagamento delle spese del grado, dichiarando, invece, la improcedibilità delle domande di risarcimento del danno formulate dall’originario ricorrente.
2. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza n. 5980/2018, ha confermato la decisione di prime cure sottolineando, in sintesi, che: a) correttamente era stato statuito che era improcedibile la sola domanda di risarcimento ex art. 18 legge n. 300/1970, mentre quella di invalidità o inefficacia del licenziamento e di reintegra restavano proponibili e conoscibili da parte dei giudice del lavoro; b) non era stata fornita la prova, che incombeva sul datore di lavoro, dell’impossibilità di ripescaggio del C. all’epoca del licenziamento (determinato dalia chiusura del cantiere edile C. C15, a cui era stato addetto il dipendente, che svolgeva mansioni di topografo, dopo che era stato sottoposto a sequestro il cantiere A30 Vallo di Lauro al quale era precedentemente adibito), non potendo avere alcuna rilevanza, a tal fine, i fatti sopravvenuti al recesso.
3. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la Società I. spa in amministrazione straordinaria affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso G.C.
4. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
5. Le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 24 L.F. nonché 13 e 53 di cui al d.lgs. n. 270/1999, sull’improcedibilità per incompetenza funzionale del giudice del lavoro in favore de! Tribunale fallimentare, per non avere considerato la Corte di merito che, avendo il lavoratore chiesto anche il pagamento di somme di denaro, la domanda di accertamento sulla illegittimità del licenziamento aveva natura meramente strumentale con la conseguenza che, competente a conoscere la complessiva domanda era il Tribunale fallimentare e non il giudice del lavoro; deduce, poi, che con motivazione erronea era stata ritenuta la ammissibilità della tutela reale nei confronti di una società sottoposta a procedura concorsuale meramente liquidatoria tanto è che in data 3.1.2017 il C. era stato nuovamente licenziato, per giustificato motivo oggettivo costituito dalla totale cessazione dell’attività di I. e dalle commesse in precedenza gestite dalla società, ed il relativo recesso non era stato impugnato.
3. Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 3 e 5 della legge n. 604/1966 e dell’art. 2697 cc, per avere la Corte territoriale, con una motivazione contraddittoria, configurato gli oneri probatori gravanti in capo al datore in merito all’obbligo di repechage in modo difforme rispetto al consolidato orientamento giurisprudenziale sviluppatosi sul punto e per non avere tenuto conto del complessivo quadro probatorio, offerto da I. spa, proprio sul rispetto dell’obbligo di repechage.
4. Il primo motivo è infondato.
5. Infatti, non è ravvisabile alcuna violazione del disposto di cui all’art. 24 I. fallimentare.
6. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del consolidato principio secondo cui anche nell’ipotesi di sottoposizione della società datrice alla procedura di amministrazione straordinaria sussiste la perdurante competenza del giudice del lavoro in relazione alla domanda di mero accertamento, come la domanda in oggetto volta all’annullamento del licenziamento. (Cass. n. 13877/2004; Cass. n. 19271/2013; Cass. n. 15066/2017).
7. È stata, inoltre, effettuata la distinzione tra domande del lavoratore che mirano a pronunce di mero accertamento oppure costitutive (ad esempio, domanda di annullamento del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro) e domande dirette alla condanna al pagamento di somme di denaro (anche se accompagnate da domande di accertamento o costitutive aventi funzione strumentale). Per le prime va, infatti, riconosciuta la perdurante competenza del giudice del lavoro, mentre per le seconde opera (diversamente dal caso del fallimento, in cui si rinviene l’attrazione del foro fallimentare) la regola della improcedibilità o improseguibilità della domanda, per difetto temporaneo di giurisdizione per tutta la durata della fase amministrativa di accertamento dello stato passivo dinanzi ai competenti organi della procedura.
8. Peraltro, giova segnalare che la censura avente ad oggetto la violazione dell’art. 24 l. fallimentare risulta anche inconferente.
9. Tale disposizione prevede che “il Tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore”. Nel caso di specie, tuttavia, l’azione volta all’accertamento del licenziamento non è in alcun modo riconducibile alla categoria delle azioni che hanno origine o fondamento dall’inizio di una procedura concorsuale o che subiscono una modifica dall’apertura di quest’ultima.
10. Tutte queste azioni si caratterizzano per la loro medesima finalità, in quanto tendono alla ricostruzione del patrimonio del soggetto sottoposto a procedura concorsuale, presentando, quindi, caratteri marcatamente recuperatori (Cass. n. 13496/2004; Cass. n. 14844/2015)
11. Al contrario, l’azione volta all’accertamento del licenziamento non nasce dall’apertura della procedura di amministrazione straordinaria e, dunque, sfugge alla regola di cui all’art. 24 legge fall, e alla ratio ad essa sottesa.
12. Infine, deve essere altresì disatteso l’ulteriore profilo di censura veicolato con il primo motivo di ricorso. Esso insiste nel censurare l’ammissibilità della tutela reale accordata al lavoratore, sebbene la società datrice fosse stata sottoposta a procedura concorsuale meramente liquidatoria e quest’ultima avesse condotto ad un nuovo licenziamento.
13. Infatti, deve essere ribadito il principio secondo cui nell’ipotesi in cui il lavoratore abbia agito in giudizio chiedendo, con la dichiarazione di illegittimità o inefficacia del licenziamento, la reintegrazione nel posto di lavoro nei confronti del datore di lavoro dichiarato fallito, permane la competenza funzionale del giudice del lavoro, in quanto la domanda proposta non è configurabile soltanto come mero strumento di tutela di diritti patrimoniali da far valere sul patrimonio del fallito, ma si fonda anche sull’interesse del lavoratore a tutelare la sua posizione all’interno dell’I. fallita, sia per l’eventualità della ripresa dell’attività lavorativa (conseguente all’esercizio provvisorio ovvero alla cessione dell’azienda, o a un concordato fallimentare), sia per tutelare i connessi diritti non patrimoniali, ed i diritti previdenziali, estranei all’esigenza della par condicio creditorum. (Cass. n. 7129/2011; Cass. n. 23418/2017).
14. Anche il secondo motivo è infondato.
15. Appare opportuno preliminarmente ribadire che, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è sufficiente, per la legittimità del recesso, che le addotte ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette a una migliore efficienza gestionale ovvero a un incremento di redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa: non essendo la scelta imprenditoriale, che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro, sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, in ossequio al disposto dell’art. 41 Cost. (Cass. n. 25201/2016; Cass. n. 10699/20117); a condizione che le predette ragioni incidano, in termini di causa efficiente, sulla posizione lavorativa ricoperta dal lavoratore licenziato, soltanto così non risultando il recesso pretestuoso.
16. Nel caso di specie, i Giudici di seconde cure si sono uniformati al più recente orientamento di questa Suprema Corte in tema di riparto dell’onere della prova relativamente all’assolvimento dell’obbligo di repechage secondo cui, ai fini dell’accertamento della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggetti, è necessario che ai sensi dell’art. 3 della I. 604/1966 siano ravvisabili cumulativamente tre requisiti: a) la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di tutte le mansioni in precedenza attribuite allo stesso; b) la riferibilità della soppressione a progetti o scelte datoriali – insindacabili dal giudice quanto ai profili di congruità e opportunità, purché effettivi e non simulati – diretti ad incidere sulla struttura e sull’organizzazione dell’I., ovvero sui suoi processi produttivi, compresi quelli finalizzati ad una migliore efficienza ovvero ad incremento di redditività; c) l’impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, elemento che, sebbene privo di espressa previsione normativa, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere in alcun modo condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore. L’onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti è a carico del datore di lavoro, che può assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili. (Cass. 1201/2016; Cass. n. 5592/2016; Cass. n. 24882/2017; Cass. n. 23789/2019; Cass. n. 29099/2019).
17. Il motivo di doglianza presenta altresì profili di inammissibilità in fatto, in quanto la Corte territoriale ha svolto un’indagine in concreto, mediante l’esame delle risultanze istruttorie, in ordine alla possibilità di utilizzare la figura professionale del topografo anche in altri cantieri e sulla mancata dimostrazione, da parte del datore di lavoro, di fatti ostativi a tale eventualità.
18. Alla stregua di quanto esposto il ricorso va rigettato.
19. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
20. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controrìcorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura dei 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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