CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 luglio 2022, n. 23499

Lavoro – Contratti di somministrazione a tempo determinato – Illegittimità – Art. 5.5 Direttiva 2008/104/CE – Ricorso abusivo al lavoro interinale – Accertamento

Fatti di causa

1. H.Z. ha agito in giudizio per far accertare l’illegittimità di plurimi contratti di somministrazione a tempo determinato conclusi nel periodo compreso tra il 21 giugno 2011 e il 29 febbraio 2016 e l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, a tempo indeterminato, alle dipendenze della società utilizzatrice O.P.S. (d’ora in avanti, O.P.S. s.r.l.), con condanna di quest’ultima al risarcimento del danno.

2. Il Tribunale ha dichiarato la decadenza dell’attore, ai sensi dell’art. 32, comma 4, lett. d) della l. n. 183 del 2010, riguardo a tutti i contratti di somministrazione, eccetto gli ultimi due (sottoscritti il 22/2/2016 e il 29/2/2016), per essere stata la prima impugnativa stragiudiziale proposta soltanto il 21.4.2016, oltre il termine di sessanta giorni dalla cessazione dei precedenti contratti; nel merito ha escluso rispetto a questi ultimi che dovessero essere indicate le ragioni che giustificassero le ragioni del ricorso al contratto a tempo determinato.

3. La Corte di Appello di Brescia ha respinto l’impugnazione del lavoratore. Ha confermato la pronuncia di primo grado quanto alla decadenza dall’impugnativa di tutti i contratti, eccetto gli ultimi due, dovendo i precedenti “ritenersi legittimi non essendo più suscettibili di alcuna impugnazione”.

“Dato tale presupposto”, la Corte non ha condiviso l’assunto dell’appellante secondo cui la società “avrebbe posto in essere un comportamento in frode alla legge per il superamento di tutti i presunti limiti della somministrazione, essendosi appunto in presenza di due contratti durati soltanto pochi giorni”. Ha richiamato poi la tesi secondo cui la Direttiva 2008/104/CE non avrebbe di mira la prevenzione degli abusi del ricorso alla somministrazione in quanto l’impiego tramite agenzia interinale è apprezzato come forma di impiego flessibile, che può concorrere “efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di forme di lavoro flessibili” sulla base dell’art. 4 della Direttiva stessa.

4. Avverso tale sentenza il soccombente ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo, assistito da memoria. La O.P.S. s.r.l. ha resistito con controricorso, illustrato anche da memoria.

Il Pubblico Ministero ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Ragioni della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 5.5 della Direttiva 2008/104/CE sul lavoro tramite agenzia interinale. Si evidenzia come nei pregressi gradi di giudizio era stato rilevato che la successione dei contratti intercorsi tra le parti rappresentasse una forma di elusione delle norme sia interne che comunitarie che qualificano il rapporto di lavoro a tempo indeterminato quale forma ordinaria del contratto di lavoro, rispetto alla quale i rapporti precari si pongono in termini di eccezione rispetto alla regola.

Si aggiunge che, anche a voler restringere la considerazione della legittimità dei rapporti intercorsi all’ultimo di essi, in considerazione della maturata decadenza, lo stesso andrebbe valutato nell’ambito di un complessivo quadro di utilizzo del lavoratore tramite somministrazione di manodopera di durata ben superiore a quella che sarebbe stata ritenuta ammissibile dalla Corte di giustizia investita dell’interpretazione della Direttiva 2008/104/CE.

2. Va preliminarmente disattesa la eccezione di inammissibilità del motivo di ricorso formulata da parte controricorrente in quanto proposto in relazione al combinato disposto degli artt. 117 Cost. e 5.5. della Direttiva 2008/104/CE.

Invero, la piana lettura della formulazione del motivo induce ad affermare, con tranquillante certezza, che l’oggetto della censura concerne la attuazione nazionale della normativa dell’Unione e l’interpretazione di essa alla luce delle disposizioni rilevanti del diritto europeo.

L’utilizzazione dello strumento del parametro interposto trova, invero, il proprio ubi consistam nella normativa europea invocata, in particolare nell’art. 5 della Direttiva sul lavoro tramite agenzia interinale, in relazione al quale deve essere valutata la corretta trasposizione interna e, nella specie, segnatamente, la congruità della interpretazione offerta di tale trasposizione, in conformità con l’ordinamento dell’Unione, da parte del giudice di secondo grado.

Oggetto di verifica, quindi, sulla base dell’art. 117 Cost. deve ritenersi la disciplina di diritto interno sulla somministrazione di lavoro, ratione temporis applicabile, in relazione a quanto previsto dall’art. 5.5. della Direttiva 2008/104/CE sul lavoro tramite agenzia interinale.

3. Tanto premesso, il motivo di ricorso deve ritenersi fondato nei termini che seguono.

Ricostruzione del quadro normativo

3.1. L’art. 20 del d.lgs. n. 276 del 10 settembre 2003 disciplina le “condizioni di liceità” del contratto di somministrazione, concluso tra un soggetto utilizzatore ed un soggetto somministratore. Il comma 4 prevede che “la somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore. La individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi in conformità alla disciplina di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368”.

3.2. L’art. 21 elenca gli elementi che il contratto di somministrazione, da stipulare in forma scritta, deve contenere e alla lett. c) indica “i casi e le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo, di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 20”.

3.3. L’art. 22 disciplina i rapporti di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro e, al comma 2, per l’ipotesi di somministrazione a tempo determinato, estende al rapporto tra agenzia di somministrazione e lavoratore la disciplina di cui al d.lgs. n. 368 del 2001 “per quanto compatibile, e in ogni caso con esclusione delle disposizioni di cui all’articolo 5, commi 3 e seguenti”, che riguardano la successione dei contratti. Prevede, inoltre, che “il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata prevista dal contratto collettivo applicato dal somministratore”.

3.4. L’art. 27 concerne la somministrazione irregolare, avvenuta cioè “al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 20 e 21, comma 1, lettere a), b), c), d) ed e)”, e prevede tra l’altro che “il lavoratore p(ossa) chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione”.

3.5. Ai sensi del successivo art. 28, relativo alla somministrazione fraudolenta, “Ferme restando le sanzioni di cui all’articolo 18, quando la somministrazione di lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore, somministratore e utilizzatore sono puniti con una ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e ciascun giorno di somministrazione”.

3.6. La legge n. 92 del 28 giugno 2012, che (art. 1, comma 9) ha aggiunto il comma 1 bis all’art. 1 del d. lgs. n. 368 del 2001: «Il requisito di cui al comma 1 non è richiesto nell’ipotesi del primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a dodici mesi, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nel caso di prima missione di un lavoratore nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. I contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere, in via diretta a livello interconfederale o di categoria ovvero in via delegata ai livelli decentrati, che in luogo dell’ipotesi di cui al precedente periodo il requisito di cui al comma 1 non sia richiesto nei casi in cui l’assunzione a tempo determinato o la missione nell’ambito del contratto di somministrazione a tempo determinato avvenga nell’ambito di un processo organizzativo determinato dalle ragioni di cui all’articolo 5, comma 3, nel limite complessivo del 6 per cento del totale dei lavoratori occupati nell’ambito dell’unità produttiva»; ha inoltre modificato l’art. 20, comma 4, d. lgs. n. 276 del 2003, inserendo dopo il primo periodo, la seguente statuizione: “E’ fatta salva la previsione di cui al comma 1-bis dell’articolo 1 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368”.

3.7. Il d.l. n. 34 del 2014, convertito dalla legge n. 78 del 2014, è intervenuto sull’art. 20, comma 4, d.lgs. n. 276 del 2003 ed ha soppresso i primi due periodi della disposizione (il testo del comma 4, dopo le modifiche apportate dal decreto legge citato, è il seguente: “La individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione di lavoro a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi in conformità alla disciplina di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368”).

3.8. Il d.l. n. 34 del 2014 ha eliminato del tutto, per il contratto di somministrazione a tempo determinato, il requisito delle causali giustificative, che già la legge n. 92 del 2012 aveva escluso con riferimento alla prima missione.

3.9. Il d. lgs. n. 81 del 15 giugno 2015 ha abrogato le disposizioni finora richiamate del d. lgs. n. 276 del 2003 ed ha ridisegnato la disciplina della somministrazione di lavoro nel capo IV, artt. 30 e seguenti.

3.10. L’art. 31, comma 2, a proposito della somministrazione di lavoro a tempo determinato, prevede: “La somministrazione di lavoro a tempo determinato è utilizzata nei limiti quantitativi individuati dai contratti collettivi applicati dall’utilizzatore. È in ogni caso esente da limiti quantitativi la somministrazione a tempo determinato di lavoratori di cui all’articolo 8, comma 2, della legge n. 223 del 1991, di soggetti disoccupati che godono, da almeno sei mesi, di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali, e di lavoratori «svantaggiati» o «molto svantaggiati» ai sensi dei numeri 4) e 99) dell’articolo 2 del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, come individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali”.

3.11. Ai sensi dell’art. 34, comma 2, “In caso di assunzione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina di cui al capo III per quanto compatibile, con esclusione delle disposizioni di cui agli articoli 19, commi 1, 2 e 3, 21, 23 e 24. Il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore”.

3.12. La somministrazione irregolare è disciplinata dall’art. 38 del d.lgs. n. 81 del 2015 che, ai primi due commi, stabilisce: “1. In mancanza di forma scritta il contratto di somministrazione di lavoro è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore. 2. Quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 31, commi 1 e 2, 32 e 33, comma 1, lettere a), b), c) e d), il lavoratore può chiedere, anche soltanto nei confronti dell’utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione”.

3.13. Nella fattispecie oggetto di causa è accertato che il lavoratore sia stato inviato in missione presso la stessa società utilizzatrice in base a plurimi contratti di somministrazione e di lavoro conclusi a partire dal 21.6.2011 e fino al 29.2.2016.

3.14. L’attuale ricorrente non ha impugnato la sentenza d’appello nella parte in cui ha confermato la statuizione di decadenza, ai sensi dell’art. 32, comma 4, lett. d), della legge n. 183 del 2010, dall’azione di costituzione o accertamento di un rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore, in relazione ai contratti conclusi anteriormente agli ultimi due del febbraio 2016. Su questo capo della sentenza d’appello, conforme peraltro ai precedenti di legittimità (v. Cass. n. 24356 del 2019; Cass. n. 30134 del 2018) deve ritenersi formato il giudicato.

3.15. Il motivo di ricorso investe la decisione d’appello resa in relazione agli ultimi due rapporti di lavoro somministrato, disciplinati, ratione temporis, dal d.lgs. n. 81 del 2015. Non rilevano le modifiche normative successivamente intervenute, tra cui quella introdotta dal d.l. n. 78 del 2018, convertito dalla l. n. 96 del 2018, perché successive alla conclusione del rapporto.

3.16. In tema di somministrazione di lavoro a tempo determinato, il d. lgs. n. 81 del 2015, in continuità con la l. n 92 del 2012 e con il d.l. n. 34 del 2014, ha eliminato ogni limite espresso all’utilizzo in missioni successive dello stesso lavoratore presso la medesima impresa utilizzatrice. La normativa del 2015 non subordina la legittimità della somministrazione di lavoro a tempo determinato all’esistenza di causali giustificative, non individua un termine di durata massima delle missioni (contrariamente a quanto stabilito dall’art. 19 per il contratto di lavoro a tempo determinato), non pone limiti alle proroghe e ai rinnovi (previsti invece per il contratto a tempo determinato dall’articolo 21), ma prevede unicamente limiti quantitativi di utilizzazione (art. 31, comma 2), la cui individuazione è rimessa ai contratti collettivi applicati dall’utilizzatore.

Il diritto dell’Unione europea sul lavoro tramite agenzia interinale.

3.17. La Direttiva 2008/104 sul lavoro tramite agenzia interinale all’articolo 1 definisce il proprio ambito di applicazione come relativo ai “lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale e che sono assegnati a imprese utilizzatrici per lavorare temporaneamente e sotto il controllo e la direzione delle stesse”. Il termine «temporaneamente» è utilizzato anche all’articolo 3, paragrafo 1, lettere da b) a e), della Direttiva 2008/104, che definisce le nozioni di «agenzia interinale», di «lavoratore tramite agenzia interinale», di «impresa utilizzatrice» e di «missione» ponendo in risalto la temporaneità del lavoro prestato presso l’utilizzatore.

3.18. Come osservato dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 14 ottobre 2020, JH c. KG, C-681/2018 (punto 61) e nella successiva sentenza del 17 marzo 2022, Daimler AG, Mercedes-Benz Werk Berlin, C-232/20 (punti 31, 34), dalla formulazione di tali disposizioni risulta che il termine “temporaneamente” non abbia lo scopo di limitare l’applicazione del lavoro interinale a posti non previsti come permanenti o che dovrebbero essere occupati per sostituzione, poiché tale termine caratterizza non il posto di lavoro che deve essere occupato all’interno dell’impresa utilizzatrice, bensì le modalità della messa a disposizione di un lavoratore presso tale impresa. È il rapporto di lavoro con un’impresa utilizzatrice ad avere, per sua natura, carattere temporaneo.

3.19. In coerenza con tali premesse, l’articolo 5, paragrafo 5, prima frase, della Direttiva 2008/104 prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie, conformemente alla legislazione e/o alle pratiche nazionali, per evitare il ricorso abusivo al lavoro interinale e, in particolare, per prevenire missioni successive aventi lo scopo di eludere le disposizioni della Direttiva.

3.20. L’art. 5, par. 5 cit. non impone, dunque, agli Stati membri di limitare il numero di missioni successive di un medesimo lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice o di subordinare il ricorso a detta forma di lavoro a tempo determinato all’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Inoltre, la suddetta disposizione non definisce, come del resto neppure le altre disposizioni della Direttiva, alcuna misura specifica che gli Stati membri debbano adottare a tal fine (v. Corte di Giustizia, C-681/18 cit., punto 42). Nessuna disposizione di tale Direttiva fissa una durata oltre la quale una messa a disposizione non può più essere qualificata come avvenuta «temporaneamente» o impone agli Stati membri l’obbligo di prevedere, nel diritto nazionale, una siffatta durata (v. Corte di Giustizia, C- 232/20 cit., punto 53).

3.21. Nondimeno, come osservato dalla Corte di giustizia nella sentenza del 14 ottobre 2020, C-681/2018, la Direttiva mira a conciliare l’obiettivo di flessibilità perseguito dalle imprese con l’obiettivo di sicurezza che risponde alla tutela dei lavoratori.

3.22. Questo duplice obiettivo risponde così alla volontà del legislatore dell’Unione di ravvicinare le condizioni del lavoro tramite agenzia interinale ai rapporti di lavoro «normali», tanto più che, al considerando 15 della Direttiva 2008/104, il medesimo legislatore ha esplicitamente precisato che la forma comune dei rapporti di lavoro è il contratto a tempo indeterminato. La Direttiva in argomento mira, di conseguenza, anche ad incoraggiare l’accesso dei lavoratori tramite agenzia interinale ad un impiego permanente presso l’impresa utilizzatrice, un obiettivo che trova una particolare risonanza al suo articolo 6, paragrafi 1 e 2 (v. Corte di Giustizia, C-681/18 cit., punto 51; Corte di Giustizia C-232/20 cit., punto 34).Un lavoratore temporaneo può quindi essere messo a disposizione di un’impresa utilizzatrice al fine di coprire, temporaneamente, un posto di natura permanente, che egli potrebbe continuare ad occupare stabilmente (Corte di Giustizia, C-232/20 cit., punto 37).

3.23. Infatti, ancorché la Direttiva riguardi rapporti di lavoro temporanei, transitori o limitati nel tempo, e non rapporti di lavoro permanenti, essa tuttavia precisa, al considerando 15 nonché all’articolo 6, paragrafi 1 e 2, che i «contratti di lavoro a tempo indeterminato», vale a dire i rapporti di lavoro permanenti, rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e che i lavoratori tramite agenzia interinale devono essere informati dei posti vacanti nell’impresa utilizzatrice, affinché possano aspirare, al pari degli altri dipendenti dell’impresa, a ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato.

3.24. Se è vero, in base a quanto detto, che le disposizioni della Direttiva 2008/104 non impongono agli Stati membri l’adozione di una determinata normativa in materia, resta il fatto che, come ricordato dalla Corte di Giustizia, l’articolo 5, paragrafo 5, prima frase, impone agli Stati membri, in termini chiari, precisi ed incondizionati, di adottare le misure necessarie per prevenire l’assegnazione di missioni successive a un lavoratore tramite agenzia interinale aventi lo scopo di eludere le disposizioni di tale Direttiva nel suo insieme. Ciò comporta che gli Stati membri debbano adoperarsi affinché il lavoro tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice non diventi una situazione permanente per un lavoratore tramite agenzia interinale (v. Corte di Giustizia, C-681/18 cit., punti 55, 60).

3.25. Nella sentenza del 14 ottobre 2020, nella causa C-681/18, la Corte di Giustizia ha quindi dichiarato che l’articolo 5, paragrafo 5, prima frase, della Direttiva 2008/104 deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa nazionale che non limita il numero di missioni successive che un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale può svolgere presso la stessa impresa utilizzatrice e che non subordina la legittimità del ricorso al lavoro tramite agenzia interinale all’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustifichino tale ricorso. Per contro, tale disposizione deve essere interpretata nel senso che essa osta a che uno Stato membro non adotti alcuna misura al fine di preservare la natura temporanea del lavoro tramite agenzia interinale, nonché ad una normativa nazionale che non preveda alcuna misura al fine di evitare l’assegnazione ad un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale di missioni successive presso la stessa impresa utilizzatrice con lo scopo di eludere le disposizioni della Direttiva 2008/104 nel suo insieme.

3.26. Nella più recente sentenza del 17 marzo 2022, nella causa C- 232/20, la Corte di giustizia ha aggiunto un ulteriore tassello alla valutazione del giudice, evidenziando come missioni successive del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice, ove conducano a una durata dell’attività presso tale impresa più lunga di quella che “possa ragionevolmente qualificarsi «temporanea», alla luce di tutte le circostanze pertinenti, che comprendono in particolare le specificità del settore”, potrebbero denotare un ricorso abusivo a tale forma di lavoro, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 5, prima frase, della Direttiva 2008/104.

3.27. Nella sentenza appena citata, la Corte di Giustizia ha considerato che gli Stati membri possono stabilire, nel diritto nazionale, una durata precisa oltre la quale una messa a disposizione non può più essere considerata temporanea, in particolare quando rinnovi successivi della messa a disposizione di un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice si protraggano nel tempo. Una siffatta durata, in conformità all’articolo 1, paragrafo 1, della Direttiva 2008/104, deve necessariamente avere natura temporanea, vale a dire, secondo il significato di tale termine nel linguaggio corrente, essere limitata nel tempo (Corte di Giustizia, C-232/20 cit. punto 57).

3.28. Nell’ipotesi in cui la normativa applicabile di uno Stato membro non abbia previsto una durata determinata, è compito dei giudici nazionali stabilirla caso per caso, alla luce di tutte le circostanze pertinenti, che comprendono in particolare le specificità del settore (v., in tal senso, sentenza del 18 dicembre 2008, A., C-306/07, punto 52) e garantire che l’assegnazione di missioni successive a un lavoratore temporaneo non sia volta a eludere gli obiettivi della Direttiva 2008/104, in particolare la temporaneità del lavoro tramite agenzia interinale (v. Corte di Giustizia, C-232/20 cit. punto 58). La necessaria temporaneità delle missioni deve essere in ogni caso assicurata, a prescindere da una previsione normativa in tal senso nei singoli ordinamenti nazionali.

3.29. Sulla base di tali considerazioni, la sentenza del 17 marzo 2022 ha stabilito che l’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 5, paragrafo 5, della Direttiva 2008/104 debbano essere interpretati nel senso che costituisce un ricorso abusivo all’assegnazione di missioni successive a un lavoratore tramite agenzia interinale il rinnovo di tali missioni su uno stesso posto presso un’impresa utilizzatrice, nell’ipotesi in cui le missioni successive dello stesso lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice conducano a una durata dell’attività, presso quest’ultima impresa, più lunga di quella che può essere ragionevolmente qualificata «temporanea», alla luce di tutte le circostanze pertinenti, che comprendono in particolare le specificità del settore, e nel contesto del quadro normativo nazionale, senza che sia fornita alcuna spiegazione obiettiva al fatto che l’impresa utilizzatrice interessata ricorre a una serie di contratti di lavoro tramite agenzia interinale successivi, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

Conformità del diritto interno sul lavoro somministrato con il diritto dell’Unione

3.30. Da una costante giurisprudenza della Corte di giustizia risulta che l’obbligo degli Stati membri, derivante da una Direttiva, di raggiungere il risultato ivi previsto, nonché il loro dovere, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE e dell’articolo 288 TFUE, di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi di tali Stati, compresi, nell’ambito della loro competenza, quelli giurisdizionali (v., in particolare, sentenza del 19 settembre 2019, R.p.L. C-467/18, e giurisprudenza ivi citata).

3.31. Ne consegue che, pur di fronte ad una disposizione non dotata di effetto diretto, il carattere vincolante della stessa comporta in capo alle autorità nazionali un obbligo di interpretazione conforme del loro diritto interno a partire dalla data di scadenza del termine di recepimento (si veda sul punto, sentenza dell’8 novembre 2016, O., C-554/14).

3.32. Secondo l’interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 24 giugno 2019 nella causa P. II, C-573/17, l’interpretazione delle norme nazionali il più possibile conforme al diritto eurounitario è la vera chiave di volta del sistema, il principio che obbliga il giudice a fare tutto ciò che rientra nelle proprie possibilità, in virtù dell’obbligo di leale cooperazione, che su di lui grava ai sensi dell’art. 4 TUE, per pervenire ad una applicazione del diritto interno coerente con il diritto dell’Unione.

3.33. L’interpretazione conforme, come già chiaro nella pronunzia D.(Corte di Giustizia del 24 gennaio 2012, C-282/10), diventa preliminare e pregiudiziale e viene estesa fino alle sue estreme conseguenze; l’ordine, pertanto, non è ricerca dell’effetto diretto (con conseguente disapplicazione) ed eventuale successiva interpretazione conforme qualora la norma non sia dotata di effetto diretto.

3.34. L’ordine è, invece, opposto: di fronte ad una potenziale incongruità del sistema si impone al giudice la previa ricerca dell’interpretazione compatibile fra diritto interno e diritto dell’Unione, nell’ottica della compatibilità; solo qualora tale interpretazione risulti impossibile ci si muoverà alla ricerca della norma dotata di effetto diretto.

3.35. Per attuare tale obbligo, il principio d’interpretazione conforme esige che i giudici nazionali si adoperino al meglio, nei limiti delle loro competenze, prendendo in considerazione il diritto interno nel suo insieme e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, al fine di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione e di pervenire a una soluzione conforme allo scopo perseguito da quest’ultimo (sentenza del 19 settembre 2019, R.p.L., C-467/18, e giurisprudenza ivi citata).

3.36. Nella sentenza P. (Corte di giustizia del 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a C-403/01), la Grande Sezione ha fornito utili indicazioni ai giudici nazionali chiarendo che, «[s] e è vero che il principio di interpretazione conforme del diritto nazionale, così imposto dal diritto [dell’Unione], riguarda in primo luogo le norme interne introdotte per recepire la Direttiva in questione, esso non si limita, tuttavia, all’esegesi di tali norme, bensì esige che il giudice nazionale prenda in considerazione tutto il diritto nazionale per valutare in quale misura possa essere applicato in modo tale da non addivenire ad un risultato contrario a quello cui mira la Direttiva». In sostanza, «il principio dell’interpretazione conforme esige quindi che il giudice del rinvio faccia tutto ciò che rientra nella sua competenza, prendendo in considerazione tutte le norme del diritto nazionale, per garantire la piena efficacia [della direttiva in questione]».

3.37. È noto, poi, che tale principio d’interpretazione conforme del diritto nazionale è soggetto a limiti.

L’obbligo, per il giudice nazionale, di fare riferimento al contenuto del diritto dell’Unione nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme pertinenti del diritto interno trova un limite nei principi generali del diritto e non può servire a fondare un’interpretazione contra legem del diritto nazionale.

3.38. Il canone esegetico dell’interpretazione conforme del diritto interno al diritto dell’Unione costituisce patrimonio ormai acquisito nella giurisprudenza di questa Corte (di recente v. Cass. n. 10414 del 2020; Cass. n. 24325 del 2020).

3.39. Pertanto la normativa nazionale va esaminata conformemente alla normativa europea, tenuto conto che le indicazioni della Corte di Giustizia, in un caso che rientra nella sfera applicativa dell’articolo 5, paragrafo 5, della Direttiva 2008/104, implicano: a) nell’ambito dei parametri della Direttiva 2008/104, spetta a uno Stato membro garantire che il proprio ordinamento giuridico nazionale contenga misure idonee a garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione al fine di prevenire il ricorso a missioni successive con lo scopo di eludere la natura interinale dei rapporti di lavoro disciplinati dalla Direttiva 2008/104; b) il principio di interpretazione conforme al diritto dell’Unione impone al giudice del rinvio di fare tutto ciò che rientra nella sua competenza, prendendo in considerazione tutte le norme del diritto nazionale, per garantire la piena efficacia della Direttiva 2008/104 sanzionando l’abuso in questione ed eliminando le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione (in questi termini le conclusioni dell’Avvocato G.S. depositate il 23 aprile 2020 nella causa JH c. KG, C-681/18).

3.40. La Corte di Giustizia, nelle sentenze del 14 ottobre 2020 e del 17 marzo 2022 più volte citate, ha interpretato la Direttiva 2008/104 mettendo in risalto, quale requisito immanente e strutturale del lavoro tramite agenzia interinale, il carattere di temporaneità e segnalando il rischio di un ricorso abusivo a tale forma di lavoro in presenza di missioni successive che si protraggano per una durata che non possa, secondo canoni di ragionevolezza, considerarsi temporanea, avuto riguardo alla specificità del settore e alla esistenza di spiegazioni obiettive del ricorso reiterato a questa forma di lavoro.

3.41. In tale contesto, l’obbligo imposto agli Stati membri dall’art. 5, par. 5, prima frase, di adottare le misure necessarie per impedire il ricorso abusivo ad una successione di missioni di lavoro tramite agenzia interinale, in contrasto con le finalità della Direttiva, è chiaro, preciso e incondizionato.

3.42. Posto che l’art. 5, par. 5, cit. non può essere direttamente invocato dal lavoratore in rapporti orizzontali, cioè tra soggetti privati, la possibilità di una interpretazione conforme delle disposizioni nazionali in grado di garantire l’effetto utile alle disposizioni del diritto dell’Unione deve basarsi anche sulle disposizioni interne che disciplinano gli effetti di condotte elusive di norme imperative, e tra queste l’art. 1344 cod. civ., in combinato disposto con l’art. 1418 cod. civ.

3.43. Non vi è dubbio che le disposizioni della Direttiva assumano carattere di norme precettive e che le stesse, come interpretate dalla Corte di Giustizia con le citate sentenze del 2020 e del 2022, contemplino quale requisito immanente e strutturale del lavoro tramite agenzia interinale la temporaneità della prestazione presso l’utilizzatore, intesa nel senso di durata complessiva delle missioni per un tempo che possa ragionevolmente considerarsi temporaneo, tenuto conto anche delle caratteristiche del settore produttivo.

3.44. Già in passato questa Corte, nell’interpretare le disposizioni di cui alla legge n. 196 del 1997 in materia di fornitura di lavoro temporaneo, ha avuto modo di affermare che, poiché la regola della temporaneità dell’occasione di lavoro connota la disciplina del rapporto di lavoro interinale di cui alla citata legge, deve configurarsi un’ipotesi di contratto in frode alla legge allorché la reiterazione dei contratti interinali costituisca il mezzo, anche attraverso intese, esplicite o implicite, tra impresa fornitrice e impresa utilizzatrice concernenti la medesima persona del prestatore, per eludere la regola della temporaneità (v. in tal senso Cass. n. 7702 del 2018; Cass. n. 23684 del 2010; Cass. n. 15515 del 2009).

3.45. Più di recente il Giudice di legittimità, esaminando la somministrazione di lavoro, quale forma flessibile di lavoro richiamata dall’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione alla disciplina prima prevista dagli artt. 20 e ss. del d.lgs n. 276 del 2003 e, poi, dal d.lgs. n. 81 del 2015, proprio alla luce dello scopo della Direttiva 2008/104 finalizzato a fare sì che gli Stati membri si adoperino affinché il lavoro tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice non diventi una situazione permanente per uno stesso lavoratore, ha affermato come “la somministrazione a tempo determinato sia legittima anche nell’ambito della pubblica amministrazione, quando non sia tale da eludere la natura temporanea del lavoro tramite agenzia”, aggiungendo che “l’interpretazione delle norme sulla somministrazione nel senso della temporaneità è l’unica conforme al diritto dell’Unione perché evita una contrarietà alla Direttiva sulla somministrazione come interpretata dalla Corte di Giustizia” e demandando al giudice del merito tale verifica in concreto, non potendo questi arrestarsi “all’affermazione dell’inesistenza di un limite temporale formalmente previsto” (Cass. n. 13982 del 2022; in precedenza v. Cass. n. 446 del 2021).

3.46. Inoltre l’art. 1344 c.c. è già stato evocato come strumento utile per evitare che, attraverso ripetute assunzioni a tempo determinato, sia possibile porre in essere una condotta che integri una frode alla legge, e quindi quale misura adeguata e idonea a prevenire abusi nel susseguirsi di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, affidando al giudice del merito il compito di desumere da “elementi quali il numero dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati, l’arco temporale complessivo in cui si sono succeduti e ogni altra circostanza fattuale che emerga dagli atti, l’uso deviato e fraudolento del contratto a termine” (v. Cass. n. 59 del 2015; Cass. n. 14828 del 2018).

3.47. Il fatto che il d.lgs. n. 81 del 2015, e prima ancora il d. lgs. n. 276 del 2003, non contenga alcuna previsione esplicita sulla durata temporanea del lavoro tramite agenzia interinale non impedisce di considerare tale requisito come implicito ed immanente del lavoro tramite agenzia interinale, in conformità agli obblighi imposti dal diritto dell’Unione, non comportando una simile lettura una interpretazione contra legem.

3.48. È compito del giudice di merito stabilire caso per caso, alla luce di tutte le circostanze pertinenti, se la reiterazione delle missioni del lavoratore presso l’impresa utilizzatrice abbia oltrepassato il limite di una durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea, sì da realizzare una elusione delle norme imperative ai sensi dell’art. 1344 cod. civ. e, specificamente, degli obblighi e delle finalità imposti dalla Direttiva, da cui discende, secondo l’ordinamento interno, la nullità dei contratti.

3.49. In tale compito il giudice nazionale può avvalersi delle indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia che nella sentenza C-681/2018 cit., pronunciata proprio su rinvio pregiudiziale del Tribunale di Brescia in analoga vicenda, ha rimesso al giudice di rinvio di controllare, alla luce dell’obbligo di interpretazione conforme, la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, tenendo conto sia della Direttiva 2008/104 stessa, sia del diritto nazionale che la traspone nell’ordinamento giuridico italiano, in modo da verificare se possa configurarsi un rapporto di lavoro a tempo indeterminato al quale è stata artificiosamente attribuita la forma di una successione di contratti di lavoro tramite agenzia interinale con lo scopo di eludere gli obiettivi della Direttiva 2008/104, ed in particolare la natura temporanea del lavoro interinale (punto 67).

3.50. La Corte di giustizia ha, quindi, nella richiamata sentenza del 14 ottobre 2020, indicato alcuni indici rivelatori dell’eventuale ricorrenza di un abusivo ricorso al lavoro tramite agenzia interinale volto ad eludere la finalità della Direttiva di circoscriverne la portata in termini di temporaneità che, con la più recente decisione del 17 marzo scorso, vengono confermati e ulteriormente precisati.

3.51. In particolare, la Corte ha ritenuto rilevante verificare se le missioni successive del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice conducano a una durata dell’attività presso tale impresa più lunga di quanto possa essere ragionevolmente qualificato come «temporaneo»: da ciò potrebbe, infatti, evincersi un ricorso abusivo a missioni successive, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 5, prima frase, della Direttiva 2008/104.

3.52. Analogamente, missioni successive assegnate al medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice possono eludere l’essenza stessa delle disposizioni della Direttiva 2008/104 e possono costituire un abuso di tale forma di rapporto di lavoro, in quanto idonee a compromettere l’equilibrio realizzato da tale Direttiva tra la flessibilità per i datori di lavoro e la sicurezza per i lavoratori, a discapito di quest’ultima.

3.53. Infine, quando, in un caso concreto, non viene fornita alcuna spiegazione oggettiva al fatto che l’impresa utilizzatrice interessata ricorra ad una successione di contratti di lavoro tramite agenzia interinale, spetta al giudice nazionale verificare, nel contesto del quadro normativo nazionale e tenendo conto delle circostanze di specie, se una delle disposizioni della Direttiva 2008/104 venga aggirata, a maggior ragione laddove ad essere assegnato all’impresa utilizzatrice in forza dei contratti successivi in questione sia sempre lo stesso lavoratore tramite agenzia interinale.

3.54. Orbene, nel caso di specie nessuna di tali valutazioni è stata compiuta dal giudice di merito il quale, limitandosi a constatare la decadenza dall’impugnativa dei singoli contratti di somministrazione, non ha adeguatamente affrontato l’ulteriore questione dell’eventuale elusione del combinato disposto della normativa interna e sovranazionale da cui si evince, alla luce dei più recenti arresti della Corte di giustizia dianzi citati, il carattere “strutturalmente” temporaneo del ricorso alla somministrazione pur nell’assenza dei limiti legislativamente previsti.

3.55. Invero, non osta a tale accertamento la decadenza maturata ai sensi dell’art. 32, comma 4, lett. d), della legge n. 183 del 2010, dall’azione di costituzione o accertamento di un rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore.

3.56. In generale, la decadenza è istituto preordinato a realizzare una preclusione all’esercizio di un’azione, in mancanza del compimento di un atto previsto dalla legge o dal contratto entro un certo termine, allo scopo di sollecitare il soggetto onerato ad eliminare lo stato di incertezza derivante dall’inerzia, in situazioni ritenuti meritevoli di pronta definizione dal legislatore.

3.57. Per le conseguenze che ne derivano, che, in tempi brevi e tassativi, precludono al giudice ogni ulteriore indagine in ordine al merito dei rapporti controversi, la decadenza non può verificarsi al di fuori di una espressa e specifica previsione legale – a differenza della prescrizione che ha carattere generale – mediante disposizioni di stretta interpretazione insuscettibili di interpretazione estensiva o analogica (Cass. n. 3579 del 1995; Cass. n. 8700 del 2000; Cass. n. 2853 del 2006; Cass. n. 26845 del 2020; proprio in tema di decadenze introdotte dalla l. n. 183 del 2010 v., tra le altre, Cass. n. 30490 del 28/10/2021; Cass. n. 14236 del 2022).

3.58. Dall’art. 32, comma 4, lett. d), della legge n. 183 del 2010, si ricava che le disposizioni di cui all’art. 6 della l. n. 604 del 1966, come modificato dall’art. 32, comma 1, si applicano anche in ogni altro caso in cui, compresa l’ipotesi prevista dall’ art. 27 del d. lgs. n. 276 del 2003, “si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto”, evidentemente in relazione alla costituzione o all’accertamento che sia l’effetto direttamente conseguente all’impugnazione di quello specifico contratto o rapporto.

3.59. Ciò non impedisce che la vicenda contrattuale insuscettibile di poter costituire fonte di azione diretta nei confronti dell’utilizzatore per la intervenuta decadenza possa, invece, rilevare fattualmente ad altri fini: in particolare, come antecedente storico che entra a fare parte di una sequenza di rapporti e che può essere valutato, in via incidentale, dal giudice, al fine di verificare se la reiterazione delle missioni del lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice abbia oltrepassato il limite di una durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea, sì da realizzare una elusione degli obiettivi della Direttiva 2008/104.

3.60. Così come la decadenza dall’impugnativa di un licenziamento non preclude un’azione giudiziale volta a far accertare, ad esempio, profili di danno che siano diversi da quelli previsti dalla normativa speciale sui licenziamenti e che si traducano quindi in un comportamento illecito ulteriore del datore di lavoro, come il carattere ingiurioso del recesso (v. Cass. n. 18732 del 2013).

3.61. L’accolta interpretazione è, peraltro, coerente con la sentenza della Corte di giustizia 17 marzo 2022, C- 232/20, D., cit., secondo cui la Direttiva 2008/104 deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale che stabilisce una durata massima di messa a disposizione del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice, nell’ipotesi in cui tale normativa escluda, mediante una disposizione transitoria, ai fini del calcolo di tale durata, il computo dei periodi precedenti l’entrata in vigore di una siffatta normativa, non consentendo al giudice nazionale di prendere in considerazione la durata effettiva della messa a disposizione di un lavoratore tramite agenzia interinale al fine di determinare se tale messa a disposizione abbia avuto luogo «temporaneamente», ai sensi di tale Direttiva (punto 83).

3.62. Ne discende, coerentemente, che l’art. 32, comma 4, lett. d), della legge n. 183 del 2010, si porrebbe in contrasto con la Direttiva laddove venisse interpretato nel senso di precludere al giudice nazionale di prendere in considerazione il rapporto di lavoro somministrato per il quale è maturata la decadenza al diverso fine di verificare se anche detta messa a disposizione per l’utilizzatore si inserisca in una sequenza reiterata di missioni che oltrepassi il limite di una durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea.

3.63. Pertanto può essere rilevante per il giudice di merito verificare il numero di contratti succedutisi ed il tempo complessivamente trascorso, potendo inserirsi l’utilizzazione del medesimo lavoratore mediante agenzia interinale entro un quadro complessivo di durata di utilizzo del lavoratore tramite somministrazione superiore a quello ammissibile alla luce di una interpretazione della normativa nazionale che possa definirsi conforme al diritto dell’Unione europea.

3.64. Qualora tale verifica non venga effettuata e ci si arresti a considerare l’intervenuta decadenza dall’impugnativa dei singoli contratti di somministrazione considerati, si potrebbe legittimare il ricorso ad una successione di contratti di somministrazione a tempo determinato senza alcuna soluzione di continuità e senza alcun limite temporale.

3.65. Una interpretazione conforme della normativa interna impone, quindi, di verificare se, nel caso concreto, anche sulla base degli indici rivelatori indicati dalla Corte di giustizia, nonostante l’intervenuta decadenza dall’impugnativa del singolo contratto, il successivo e continuo invio mediante missioni del medesimo lavoratore possa condurre ad un abusivo ricorso all’istituto della somministrazione.

4. Tale complessiva valutazione non è stata compiuta nel caso che qui ne occupa e dovrà invece essere svolta dal giudice del rinvio, che procederà a nuovo esame uniformandosi a quanto statuito, tenendo conto delle indicazioni offerte dalla Corte di giustizia nonché dei principi dinanzi enunciati.

Alla stregua delle esposte argomentazioni, il ricorso deve essere accolto nei sensi espressi dalla presente motivazione, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice indicato in dispositivo che provvederà anche sulle spese relative al giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano, anche in ordine alle spese.