CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 maggio 2019, n. 14414
Prestazioni assistenziali – Assegno ordinario di invalidità – Presupposti – Rilevanza dei fattori socio-economici – Esclusione
Fatti di causa
Con sentenza del 22 maggio 2013 la Corte d’appello di Cagliari – sezione distaccata di Sassari, in riforma della sentenza del Tribunale di Sassari, rigettava la domanda proposta da G.M.C. volta al riconoscimento del diritto all’assegno ordinario di invalidità ai sensi dell’art. 1 della legge 12 giugno 1984 n. 222.
Per la cassazione di tale decisione proponeva ricorso la C. affidato ad un unico motivo; l’INPS rimaneva intimato.
La causa veniva chiamata innanzi alla sesta sezione di questa Corte cui era stata assegnata ai sensi dell’art. 376 cod. proc. civ. (nella formulazione anteriore alla novella del 31 agosto 2016 n. 168 conv. con modificazioni con legge 25 ottobre 2016 n.197) all’adunanza in camera di consiglio del 23 novembre 2016 sulla base della relazione redatta a norma dell’art. 380 bis cod. proc. civ.. La ricorrente depositava memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ. in prossimità di detta adunanza.
Con ordinanza interlocutoria n. 1941/17 del 25 gennaio 2017 la sesta sezione – rilevato che non sussistevano i presupposti per la decisione in camera di consiglio della controversia – inviava gli atti alla sezione semplice (quarta) per la decisione.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di ricorse; si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della L. n. 222/1984 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) in quanto la Corte territoriale, a differenza del Tribunale che si era discostato dalle conclusioni della espletata consulenza tecnica d’ufficio, erroneamente aveva rilevato come le malattie da cui era affetta la ricorrente (titolare di impresa artigiana e che operava a tempo pieno in qualità di pasticciera per sei giorni alla settimana) pur impedendole l’espletamento del lavoro prettamente di pasticciera, tuttavia non riducevano la sua capacità lavorativa a meno di un terzo perché non erano di ostacolo a tutte quelle attività, anch’esse manuali, quali il ricevere ordinativi, disporre l’approvvigionamento, l’incassare ed il rispondere, al telefono attinenti in genere alla organizzazione dell’attività artigianale svolta ed alla quale, nel caso in esame, erano addette oltre alla ricorrente altre quattro persone, attività che continuava senza aver risentito dell’invalidità della titolare con la cui attuale condizione era, dunque, compatibile. Si evidenzia, infatti, come l’attività rispetto alla quale avrebbe dovuto essere valutata la capacità lavorativa residua della ricorrente fosse quella “confacente” alle sue attitudini che erano quelle di pasticciera e non quelle “accessorie” a tale attività artigianale.
Orbene, la sesta sezione di questa Corte ha trasmesso gli atti alla sezione semplice dopo aver rilevato che non constavano specifici precedenti sulla questione posta nel presente giudizio, ovvero la rilevanza o meno, ai fini del riconoscimento della prestazione previdenziale azionata, della possibilità per l’imprenditore artigiano di proseguire nell’esercizio dell’impresa che, per sua natura, presuppone lo svolgimento di un lavoro anche di tipo manuale del titolare dell’impresa (nell’ordinanza interlocutoria si richiama il precedente di questa Corte Cass. n. 28431 del 22/12/2011 secondo cui «Ai fini dell’iscrizione all’albo delle imprese artigiane, è necessaria la sussistenza di un lavoro anche di tipo manuale del titolare dell’impresa, non essendo, invece, sufficiente che egli svolta unicamente attività di carattere amministrativo, alla stregua della definizione di imprenditore artigiano contenuta nell’art. 2, primo comma, della legge 8 agosto 1985, n. 443>>).
Osserva il Collegio che questa Corte ha avuto modo, anche di recente, di chiarire che ai fini del riconoscimento dell’assegno ordinario di invalidità, la sussistenza del requisito posto dall’art. 1 della l. n. 222 del 1984, concernente la riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro dell’assicurato in occupazioni confacenti alle sue attitudini, deve essere verificata operando una valutazione complessiva del quadro morboso dell’assicurato, con riferimento alla sua incidenza non solo sull’attività svolta in precedenza, ma su ogni altra che egli possa svolgere, in relazione alla sua età, capacità ed esperienza, senza esporre a ulteriore danno la propria salute. (Cass. n. 16141 del 19/06/2018 che ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva valutato l’incidenza della malattia sulla sola precedente attività di tornitore svolta dall’assicurato senza considerare altre possibili occupazioni a lui confacenti e che ha ribadito il constante indirizzo sul punto, cfr. anche Cass. n. 6443 del 13/03/2017; Cass. n. 5964 del 14/03/2011, Cass. n. 15265 del 06/07/2007). E’ stato anche chiarito che con la L. n. 222 del 1984 – sostituita la “capacità di lavoro” alla “capacità di guadagno” e fissandosi due diverse percentuali per poter beneficiare dell’assegno di invalidità e della pensione di inabilità – si è da un lato passati dalla considerazione della “potenzialità reddituale” a quella della “potenzialità energetica” e, dall’altro, si è prevista una categoria di soggetti dalla validità apprezzabilmente ridotta (a meno di un terzo) che per questo beneficiano di una prestazione compatibile, entro certi limiti, con il reddito da lavoro e destinata ad integrarlo (assegno di invalidità), ma che non possono fruire della pensione di inabilità perché non si trovano, nell’assoluta e permanente impossibilità, “a causa di infermità o difetto fisico o mentale”, di svolgere qualsiasi attività lavorativa confacente alle proprie attitudini e che consenta di conseguire un certo reddito sufficiente, da valutare in rapporto alla residua capacità lavorativa. Conseguentemente, nell’ottica di tali principi, non trovano posto i fattori socio-economici legati alla difficoltà o impossibilità per un soggetto dalla capacità lavorativa ridotta di inserirsi nel mercato del lavoro che notevole spazio avevano ricevuto nella precedente legislazione, né l’indicata disciplina può ritenersi violativa dell’art. 38 Cost., offrendo essa sostegno anche a coloro che abbiano una riduzione parziale della capacità lavorativa, conferendogli il diritto all’assegno di invalidità. (Cass. n. 30609 del 20/12/2017; Cass. n. 17159 del 10/08/2011). Tale criterio generale va considerato anche con riferimento alle attività artigiane essendo rilevante, appunto, la residua capacità lavorativa in occupazione confacenti alle proprie attitudini.
Orbene, tali principi sono stati correttamente applicati dalla Corte d’appello che ha spiegato, con la motivazione sopra riportata, le ragioni le quali la capacità lavorativa della C. non poteva considerarsi ridotta a meno di un terzo sulla scorta di una valutazione di merito non sindacabile in questa sede.
Alla luce di quanto esposto il ricorso va rigettato.
Non si provvede in ordine alle spese del presente giudizio essendo l’INPS rimasto intimato.
Sussistono i presupposti per , il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, nulla per le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto del sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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