CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 marzo 2019, n. 8515
Condono fiscale – Art. 16 della legge n. 289 del 2002 – Definizione delle liti pendenti – L’Ufficio non è tenuto ad adottare un provvedimento esplicito di diniego qualora ritenga l’istanza invalida
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle Entrate ricorre con quattro motivi avverso la U. 2000 s.r.l. per la cassazione della sentenza n.6 della Commissione Tributaria Regionale della Liguria, sezione n.13, emessa il 23 marzo 2010, depositata il 24 febbraio 2012 e non notificata, che, in controversia relativa all’impugnativa del diniego di condono richiesto dalla società in relazione agli anni dal 1997 al 2002, ha rigettato l’appello dell’Ufficio.
2. Con la sentenza impugnata la C.T.R. della Liguria riteneva che correttamente la C.T.P. di Savona aveva affermato l’illegittimità del diniego di condono, poiché, da un lato, la Corte Costituzionale aveva riconosciuto la condonabilità dell’anno di imposta 2001, mentre, dall’altro, l’errore nella quantificazione dell’importo dovuto per l’anno di imposta 1999 doveva considerarsi scusabile, per la sua esiguità (euro 500,00, invece di euro 700,00 effettivamente dovuti) e per la difficoltà di calcolo, dimostrata anche dalle contestazioni generiche dell’Agenzia delle Entrate.
3. L’Agenzia ricorrente censura la decisione della C.T.R., deducendo che la sentenza non avrebbe rilevato, in violazione dell’art.19 d.lgs. n.546/92, l’inammissibilità del ricorso del contribuente, il quale risultava aver definito la propria posizione tributaria a seguito dell’emissione degli avvisi di accertamento per gli anni oggetto dell’istanza di condono; inoltre, la ricorrente deduceva l’omessa motivazione e la violazione di legge in ordine alla scusabilità dell’errore della contribuente nel versamento relativo all’anno 1999.
4. A seguito del ricorso, la società U. 2000 s.r.l. resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale, affidato a tre motivi, con cui deduce l’intervenuto giudicato implicito con riferimento ad alcune rationes
decidendi relative alla operatività del condono, alla scusabilità dell’errore ed al presupposto fattuale dal quale lo stesso è scaturito, secondo l’accertamento dell’Amministrazione.
Ragioni della decisione
1.1. Ragioni di priorità logica impongono la trattazione del secondo motivo del ricorso principale, con cui l’Agenzia delle Entrate censura la violazione dell’art.19 d.lgs. n.546/92, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c..
Con tale motivo la ricorrente deduce che la C.T.R. erroneamente non avrebbe rilevato l’inammissibilità del ricorso del contribuente, essendo il provvedimento di diniego del condono meramente ripetitivo del contenuto dei precedenti avvisi di accertamento, emessi sul presupposto del mancato perfezionamento del condono stesso, ai quali al contribuente aveva aderito, rendendo incontestabile l’invalidità del condono.
Preliminarmente, deve rilevarsi che l’inammissibilità del ricorso, eccepita dall’amministrazione per la prima volta in grado di appello, non incontra il limite del divieto delle eccezioni nuove, di cui all’art. 57 d.lgs. n. 546/92, che si riferisce solo alle eccezioni sostanziali proprie, che non siano rilevabili d’ufficio (inoltre, per costante giurisprudenza di questa Corte in materia di processo tributario, l’inammissibilità del ricorso introduttivo del contribuente è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio).
Nella fattispecie in esame, come riportato dall’Agenzia delle Entrate e non contestato in alcun modo da parte resistente, prima che la società presentasse l’istanza di condono in data 2/4/2004, l’Amministrazione finanziaria, in data 31/12/2003, aveva notificato alla società contribuente un avviso di accertamento per il periodo 1/7/1998 – 30/6/1999, divenuto definitivo per mancata impugnazione.
Inoltre, successivamente all’istanza di condono, l’Agenzia delle Entrate, in data 25/9/2006, aveva notificato alla società ulteriori avvisi di accertamento per gli anni dal 1999 al 2002, che erano stati definiti con l’adesione della contribuente.
La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che, in tema di condono fiscale, salvo che non sia espressamente previsto (come, ad esempio, nell’art. 16 della legge n. 289 del 2002, in tema di definizione delle liti pendenti), l’Ufficio non è tenuto ad adottare un provvedimento esplicito di diniego qualora ritenga l’istanza invalida, ben potendo procedere all’iscrizione a ruolo ed alla notifica della relativa cartella di pagamento, che si basa sull’atto impositivo e deve intendersi come implicito diniego di ammissione al beneficio, senza che ciò pregiudichi il diritto di difesa del contribuente, il quale, nel giudizio di impugnazione della cartella, può sempre far valere tutte le ragioni per le quali ritenga di avere diritto di accedere al condono (cfr., tra altre, Cass. nn. 16100 del 2011, 7673 e 11458 del 2012; Cass. n.14878/16).
“Deve aggiungersi che, costituendo l’estinzione dell’obbligazione tributaria l’effetto collegato dall’ordinamento al perfezionamento della fattispecie di condono, è onere del contribuente, a fronte della pretesa dell’Amministrazione manifestatasi con l’emissione dell’atto impositivo, dimostrare l’avvenuta integrazione degli elementi costitutivi della fattispecie condonistica. L’Amministrazione fa dunque solo valere la pretesa tributaria, restando a carico del contribuente l’onere di dimostrare l’avvenuta estinzione dell’obbligazione, ovvero la sostituzione con quella condonistica” (Cass. sent. n.15881/2016 ).
Nel caso di specie, è pacifico tra le parti che l’Agenzia delle Entrate, in data 25/9/2006, cioè successivamente all’istanza di condono cd. “tombale” ex art. 9 L. n.289/02, verificato il mancato perfezionamento dell’agevolazione a causa dell’impossibilità della definizione dell’anno 2001 e del versamento di soli euro 500,00 per l’anno 1999, laddove ne erano dovuti euro 700,00 ai sensi dell’art.9, comma 3 bis, legge n.289/02, ha notificato alla società gli avvisi di accertamento per gli anni dal 1999 al 2002, sul presupposto dell’invalidità della procedura di condono.
A tali avvisi la contribuente ha prestato adesione, rendendoli definitivi e non più contestabili, dato che, ai sensi dell’art.2, comma 3, d.l. n.218/1997, l’accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, né è integrabile o modificabile da parte dell’Ufficio.
Pertanto, il diniego di condono, comunicato formalmente alla società in data 7/2/2007, non può assumere una valenza autonoma, di preclusione dell’accesso al condono, poiché negli avvisi di accertamento, cui la contribuente aveva aderito, era già stata esplicitata l’invalidità del condono, che costituiva il presupposto comune alla loro emissione (altrimenti preclusa dal cd. condono tombale).
Il ricorso della società avverso il formale diniego del condono (ipotesi pur astrattamente prevista dall’art. 19, co.l, lett. H d.lgs. n.546/92) deve, quindi, ritenersi inammissibile per carenza di interesse, poiché la stessa contribuente aveva già aderito agli accertamenti emessi per il periodo in contestazione sul presupposto dell’invalidità del condono, rendendoli definitivi.
La contestazione in ordine all’avvenuto perfezionamento del condono avrebbe dovuto essere sollevata con l’impugnazione degli avvisi di accertamento, notificati dopo la presentazione dell’istanza di condono, sul presupposto del mancato perfezionamento dello stesso.
L’accoglimento del secondo motivo comporta l’assorbimento degli altri motivi del ricorso principale (il primo relativo all’omessa pronuncia sull’inammissibilità del ricorso del contribuente da parte della C.T.R., il terzo ed il quarto relativi alla violazione dell’art.9 L. n.289/02 ed all’insufficiente motivazione in ordine alla scusabilità dell’errore in cui era incorsa la contribuente per il versamento effettuato per l’anno 1999), nonché l’inammissibilità, per il venir meno di ogni interesse all’impugnazione, dei tre motivi di ricorso incidentale (relativi alla sussistenza del giudicato interno rispettivamente sulle rationes decidendi della C.T.R. basate sull’esclusione della decadenza automatica dal condono per errore nel versamento del dovuto -primo motivo-, sulla scusabilità dell’errore del contribuente nel versamento per l’anno 1999 – secondo motivo-, sulla mancata prova dell’incongruenza del versamento per l’anno 1999 – terzo motivo-).
La Corte, quindi, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, dichiara inammissibile il ricorso originario della società contribuente.
Sussistono giusti motivi, in relazione al comportamento complessivo delle parti, per compensare tra le stesse le spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile il ricorso della società contribuente; compensa le spese dell’intero giudizio tra le parti.
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