CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 novembre 2019, n. 31001
Pensione di vecchiaia anticipata – Differimento trimestrale – Incremento delle aspettative di vita
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 24.3.2017, la Corte d’appello di Cagliari ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva condannato l’INPS a corrispondere a E.G.M. la pensione di vecchiaia anticipata con decorrenza dal 1°.2.2015, invece che dalla data del 1°.5.2015, riconosciutagli dall’Istituto in sede amministrativa in applicazione del differimento trimestrale legato all’aumento delle aspettative di vita.
La Corte, in particolare, ha ritenuto che il posticipo dell’accesso alla pensione per motivi legati all’incremento dell’aspettativa di vita non riguardasse tutti coloro che accedono alla pensione in età inferiore a 65 anni (se uomini) o 60 (se donne), ma soltanto coloro che conseguissero la pensione di anzianità o in virtù di requisiti indipendenti dall’età anagrafica, non riscontrabili nel caso di specie, oppure fossero assoggettati alla disciplina dell’art. 12, comma 12-bis, d.l. n. 78/2010 (conv. con l. n. 122/2010), tra i quali non poteva rientrare l’assicurato, in considerazione della sua condizione di invalido all’80%. Avverso tale pronuncia ha ricorso per cassazione l’INPS, deducendo un motivo di censura. E.G.M. è rimasto intimato. La causa, già chiamata all’adunanza camerale del 4.4.2019, è stata rimessa alla pubblica udienza su conforme richiesta del Pubblico ministero. L’INPS ha depositato memoria ex art. 380-bis. 1 c.p.c.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione dell’art. 22-ter, comma 2, d.l. n. 78/2009 (conv. con l. n. 102/2009), e dell’art. 12, commi 12-bis e 12-quater, d.l. n. 78/2010 (conv. con l. n. 122/2010), nonché falsa applicazione dell’art. 12, comma 2, d.l. n. 78/2010, cit., per avere la Corte di merito ritenuto che il posticipo dell’accesso alla pensione per motivi legati all’incremento della speranza di vita non riguardasse tutti coloro che accedono alla pensione in età inferiore a 65 anni (se uomini) o 60 (se donne), ma soltanto coloro che conseguissero la pensione di anzianità in virtù di requisiti indipendenti dall’età anagrafica, non riscontrabili nel caso di specie, oppure coloro che fossero assoggettati alla disciplina dell’art. 12, comma 12- bis, d.l. n. 78/2010 (conv. con l. n. 122/2010), tra i quali non poteva rientrare l’assicurato, in considerazione della sua condizione di invalido all’ 80 %.
Il motivo è fondato.
Giova premettere che l’art. 22-ter, comma 2, d.l. n. 78/2009 (conv. con l. n. 102/2009), ha previsto che, a decorrere dal 1°.1.2015, l’età anagrafica per l’accesso al sistema pensionistico venisse adeguata all’incremento della speranza di vita, per come accertato dall’Istituto nazionale di statistica e validato dall’E., con riferimento al quinquennio precedente.
Il tenore letterale della disposizione, che si riferisce testualmente ai «requisiti di età anagrafica per l’accesso al sistema pensionistico italiano», palesa l’intenzione del legislatore di dettare una disciplina valevole per tutti i casi in cui il conseguimento di una pensione a carico del sistema di previdenza pubblica è ancorato al raggiungimento di una qualche età anagrafica: più precisamente, di assoggettare tutte le provvidenze pensionistiche che possono essere conseguite al raggiungimento di una certa soglia d’età alla periodica revisione di codesta soglia in dipendenza dell’incremento della speranza di vita, per come accertato dall’Istituto nazionale di statistica e validato dall’E. con riferimento al quinquennio precedente.
Il quinquennio previsto per la periodica verifica degli incrementi della speranza di vita è stato successivamente oggetto di modifica dapprima dall’art. 12, comma 12-bis, d.l. n. 78/2010 (conv. con l. n. 122/2010), il quale, nel demandare l’aggiornamento ad un decreto direttoriale del Ministero dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ha altresì previsto che esso dovesse avvenire con cadenza triennale, e poi dall’art. 24, comma 13, d.l. n. 201/2011 (conv. con l. n. 214/2011), che ha disposto che esso debba avvenire con cadenza biennale; conseguentemente, l’art. 1, comma 1, del decreto 6.12.2011, pubblicato in G.U. 13.12.2011, n. 289, ha previsto che, a decorrere dal 1°.1.2013, i requisiti di accesso ai trattamenti pensionistici di cui all’art. 12, commi 12-bis e 12-quater, d.l. n. 78/2010, venissero incrementati di tre mesi.
Ciò posto, risulta dalla sentenza impugnata che l’odierno intimato, che è nato il 31.1.1954, ha fondato il proprio diritto alla retrodatazione della pensione di vecchiaia sull’art. 1, comma 8, l. n. 503/1992, secondo il quale l’elevazione dei limiti di età di cui al comma 1 del medesimo articolo non si applica agli invalidi in misura non inferiore all’80%: più in particolare, ha sostenuto che, fermo restando il posticipo di un anno della decorrenza del trattamento pensionistico, giusta la previsione di cui all’art. 12, comma 1, d.l. n. 78/2010 (secondo il quale, per quanto qui rileva, i soggetti che a decorrere dall’anno 2011 maturano il diritto all’accesso al pensionamento di vecchiaia conseguono il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico trascorsi dodici mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti), aveva errato l’Istituto ricorrente ad applicargli altresì il posticipo di tre mesi per effetto del corrispondente incremento della speranza di vita.
Va preliminarmente rilevato che, rispetto alla soluzione della questione per cui è causa, risultano del tutto eccentriche, come correttamente evidenziato dall’Istituto ricorrente, le considerazioni sviluppate dalla Corte territoriale sulla scorta dell’art. 12, comma 2, d.l. n. 78/2010, atteso che le disposizioni ivi contemplate si riferiscono al diverso regime del differimento dell’accesso al pensionamento per coloro che ne hanno maturato i requisiti e non anche all’innalzamento del requisito dell’età anagrafica per accedere al pensionamento stesso.
Ciò chiarito, la Corte territoriale ha avallato l’assunto di parte intimata sull’ulteriore rilievo che la pensione di vecchiaia anticipata per motivi d’invalidità costituirebbe un trattamento estraneo al novero dei trattamenti pensionistici soggetti all’aumento dell’età anagrafica in conseguenza dell’incremento della speranza di vita: ad avviso dei giudici di merito, infatti, la previsione dell’art. 12, comma 12-bis, d.l. n. 78/2010, che – come anzidetto – aveva previsto, in attuazione dell’art. 22-ter, comma 2, d.l. n. 78/2009, che l’adeguamento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita avvenisse con cadenza triennale, riguarderebbe esclusivamente i requisiti di età anagrafica ivi espressamente disciplinati, ossia «i requisiti di età e i valori di somma di età anagrafica e di anzianità contributiva di cui alla Tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243, e successive modificazioni, i requisiti anagrafici di 65 anni e di 60 anni per il conseguimento della pensione di vecchiaia, il requisito anagrafico di cui all’articolo 22-ter, comma 1, del decreto – legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e successive modificazioni, il requisito anagrafico di 65 anni di cui all’articolo 1, comma 20, e all’articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, e il requisito contributivo ai fini del conseguimento del diritto all’accesso al pensionamento indipendentemente dall’età anagrafica».
Sennonché, così ragionando, i giudici di merito hanno violato l’art. 12, comma 12-quater, d.l. n. 78/2010, il quale, per quanto qui interessa, ha previsto testualmente che «in base agli stessi criteri di adeguamento indicati ai commi 12- bis e 12-ter e nell’ambito del decreto direttoriale di cui al comma 12-bis, anche […] agli altri regimi e alle gestioni pensionistiche per cui siano previsti, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, requisiti diversi da quelli vigenti nell’assicurazione generale obbligatoria […] è applicato l’adeguamento dei requisiti», con l’unica eccezione dei «lavoratori per i quali viene meno il titolo abilitante allo svolgimento della specifica attività lavorativa per il raggiungimento di tale limite di età».
Tale disposizione, infatti, nel generalizzare il meccanismo di adeguamento dell’età anagrafica all’incremento della speranza di vita a tutti i regimi e gestioni pensionistiche che possedessero requisiti diversi da quelli vigenti nell’a.g.o., non può che riguardare anche i requisiti anagrafici dell’accesso alla pensione di vecchiaia anticipata a causa d’invalidità, essendo quest’ultima nient’altro che una anticipazione dei normali tempi di perfezionamento del diritto alla pensione attuata attraverso un’integrazione ex lege del rapporto assicurativo e contributivo, che consente, in presenza di una situazione di invalidità, una deroga ai limiti di età per il normale pensionamento (così, testualmente, Cass. n. 11750 del 2015; più recentemente, negli stessi termini, Cass. nn. 29191 del 2018 e 24363 del 2019).
In altri termini, se è vero che, ai fini della pensione di vecchiaia anticipata, lo stato di invalidità costituisce solo la condizione in presenza della quale è possibile acquisire il diritto al trattamento di vecchiaia sulla base del requisito di età vigente prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 503/1992, ciò non può comportare lo snaturamento della prestazione, che rimane pur sempre un trattamento diretto di vecchiaia, cioè diretto a coprire i rischi derivanti dalla vecchiaia e dunque ontologicamente diverso dai trattamenti diretti di invalidità previsti dalla legge n. 222/1984 (così, ancora, Cass., n. 11750 del 2015, cit.). E se così è, manca all’evidenza una qualsiasi base normativa per sostenere che il suo conseguimento non debba soggiacere alla generale previsione dell’aumento dell’età pensionabile in dipendenza dell’incremento della speranza di vita di cui all’art. 22-ter, comma 2, d.l. n. 78/2009, tanto più che si tratta di una scelta legislativa che, pur perseguendo la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico, stabilizzando l’incidenza della relativa spesa sul prodotto interno lordo mediante l’elevazione dell’età media di accesso al pensionamento, lascia inalterata la disciplina di favore stabilita dall’art. 1, comma 8, d.lgs. n. 503/1992, che tuttora consente, ai soggetti invalidi in misura non inferiore all’80%, l’anticipazione dell’accesso al pensionamento di vecchiaia ad un limite di età più favorevole rispetto a quello previsto per la generalità dei cittadini, realizzando così un bilanciamento tra opposti interessi non sospettabile prima facie di alcun dubbio di legittimità costituzionale.
Pertanto, non essendosi la Corte territoriale attenuta al superiore principio di diritto, la sentenza impugnata va cassata e, non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito con il rigetto della domanda proposta da E.G.M..
La novità e complessità della questione trattata suggeriscono la compensazione tra le parti delle spese dell’intero processo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da E.G.M.. Compensa le spese dell’intero processo.