CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 settembre 2018, n. 23352
Rapporto di lavoro – Contratto a tempo determinato – Nullità del termine – Mansioni non riconducibili alle causali indicate
Fatti di causa
1.1. Con ricorso al Tribunale di L.S.E.M., assunta dalla Cassa di Risparmio della Spezia con tre contratti a tempo determinato (dall’1/4/2008 al 26/2/2009, dall’8/6/2009 all’11/11/2009 e dal 16/2/2010 al 26/1/2011), conveniva in giudizio la Cassa al fine di ottenere il riconoscimento della declaratoria di illegittimità del termine apposto ai primi due di tali contratti sostenendo che le mansioni svolte non fossero riconducibili alle causali indicate negli stessi (‘ragioni sostitutive riconducibili alla assenza della signora M.S. per maternità’ per il contratto dall’1/4/2008 al 26/2/2009, ‘sostituzione della signora R.S. attualmente assente dal servizio a titolo di congedo per maternità’ per il contratto dall’8/6/2009 all’11/11/2009).
1.2. Il Tribunale, riunito il giudizio proposto dalla M. ad altro analogo proposto da F.T., respingeva i ricorsi.
Analoga sentenza il Tribunale rendeva nei confronti di V.P.
1.3. La Corte d’appello di Genova, riuniti i giudizi proposti da E.M., F.T. e V.P., confermava le decisioni di primo grado.
1.4. Quanto alla posizione della M., la Corte territoriale, superata la questione della decadenza dall’impugnativa, riteneva l’appello infondato evidenziando che la lavoratrice non avesse eccepito nulla per contrastare la tesi della Carispe (esposta in modo dettagliato con indicazione dei nominativi dei lavoratori interessati) secondo la quale la prevista sostituzione per maternità sarebbe avvenuta per scorrimento e richiamando quanto affermato da questa Corte nella decisione n. 6787 del 19 marzo 2013 circa la legittimità dell’utilizzazione del personale, incluso il lavoratore a termine, mediante i più opportuni spostamenti interni, con conseguente realizzazione di un insieme di sostituzioni successive per scorrimento a catena.
2. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale E.M. propone ricorso per cassazione fondato su tre motivi.
3. La Cassa di Risparmio della Spezia resiste con controricorso e formula ricorso incidentale cui la M. resiste con controricorso.
4. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1.1. Ragioni di ordine logico impongono l’esame prioritario del ricorso incidentale.
Con l’unico motivo di tale ricorso la Cassa di risparmio denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 32, co. 1 bis, I. n. 183/2010 come introdotto dall’art. 2, co. 54, dell’allegato alla legge di conversione n. 10/2011 e co. 4, nonché degli artt. 11 e 12 delle disposizioni sulla legge in genere. Censura la sentenza impugnata per non avere ritenuto la M. decaduta dall’impugnazione.
1.2. Il motivo è infondato.
Il differimento dell’efficacia della nuova disciplina decadenziale, introdotta dall’art. 32, deve infatti ritenersi operante per tutte le fattispecie alle quali questa nuova disciplina si riferisce.
In proposito questa Corte (cfr. Cass., Sez. U., 14 marzo 2016, n. 4913; Cass. 6 maggio 2016, n. 9268 come già Cass. 8 febbraio 2016, n. 2462; Cass. 14 dicembre 2015, n. 25103; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2494) ha già affermato che il comma 1 bis dell’art. 32, della I. n. 183 del 2010, introdotto dell’art. 2, co. 54 del D.L. n. 225 del 2010, convertito con modificazioni dalla I. n. 10 del 2011, nel prevedere ‘in sede di prima applicazione’ il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, si applica a tutti i contratti ai quali tale regime risulta esteso e riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato art. 6 della I. n. 604 del 1966, sicché, con riguardo ai contratti a termine non solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia maturata nell’intervallo di tempo tra il 24 novembre 2010 (data di entrata in vigore del cd. ‘collegato lavoro’) e il 23 gennaio 2011 (scadenza del termine di sessanta giorni per l’entrata in vigore della novella introduttiva del termine decadenziale), si applica il differimento della decadenza mediante la rimessione in termini, rispondendo alla ‘ratio legis’ di attenuare, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all’introduzione ‘ex novo’ del suddetto e ristretto termine di decadenza.
Considerato che la ratio del differimento dell’applicabilità del nuovo regime decadenziale risiede nell’esigenza di evitare che l’immediata decorrenza di un termine decadenziale, prima non previsto, potesse pregiudicare chi, intenzionato a contestare la cessazione del rapporto di lavoro o le altre tipologie di atti datoriali indicati nell’art. 32 cit., si trovasse ad incorrere inconsapevolemente nella decadenza, non sarebbe giustificata, a fronte del principio di eguaglianza, una differenziazione che limitasse tale differimento alla sola ipotesi dell’impugnativa del licenziamento ed escludesse le altre, tra cui la contestazione della legittimità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro.
Deve pertanto ritenersi che il legislatore abbia inteso posticipare l’applicabilità del nuovo regime decadenziale nel suo complesso con riferimento a tutti i termini introdotti dall’art. 32 cit..
Nel caso di specie risulta pacifico in atti che l’impugnazione della parte fosse avvenuta anteriormente alla scadenza del suddetto differimento.
2.1. Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione. Lamenta che la Corte territoriale abbia obliterato il comportamento processuale della ricorrente, determinante per l’esito del giudizio, omettendo di considerare che la lavoratrice aveva articolato specifiche prove tendenti a dimostrare che l’utilizzazione fosse avvenuta per sopperire a carenze di organico, situazione questa del tutto incompatibile con lo scorrimento opposto dalla società.
2.2. Il motivo è inammissibile sotto vari profili.
Non sono trascritte le richieste istruttorie asseritamente sottoposte al giudice di merito e disattese.
Neppure è riportato il contenuto di atti processuali che avrebbero consentito di ritenere, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, idoneamente opposto l’assunto relativo alla non contestazione da parte della ricorrente di circostanze fattuali specificamente indicate.
Inoltre il rilievo concernente la mancata considerazione da parte della Corte d’appello di un non meglio precisato materiale probatorio che, a dire della ricorrente, avrebbe consentito di pervenire ad una soluzione favorevole alla lavoratrice, contrappone alla puntuale valutazione dei giudici di appello una propria personale lettura delle emergenze di causa, ma tale modus procedendi non è coerente con il paradigma fissato dall’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., nel testo risultante dalla modifica introdotta dall’art. 54, co. 1, lett. b), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile nella specie ratione temporis).
E’ noto infatti che, a seguito di tale riforma, dà luogo a vizio della motivazione sindacabile in cassazione l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), mentre non integra tale vizio l’omesso esame di elementi istruttori, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053; id. Cass. 22 settembre 2014, n. 19881).
Nella specie non si denuncia l’omesso esame di fatti storici specifici, ma semmai l’erronea o mancata valutazione di elementi istruttori, in funzione peraltro non già della dimostrazione di un fatto storico oggettivamente definito e circoscritto, quanto piuttosto di un giudizio, quello della ricollegabilità causale delle assunzioni alle ragioni di cui ai contratti a termine.
3.1. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione art. 1 d.lgs. n. 368/2001. Lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto legittime le assunzioni a termine senza considerare che nella specie nei contratti erano stati indicati i nominativi di assenti nella struttura aziendale senza alcun rapporto con la posizione lavorativa interessata alla necessità di copertura.
Lamenta altresì che la Corte territoriale non avrebbe considerato che era onere della società dimostrare che il numero degli assunti a termine nel periodo di causa fosse pari o inferiore ai lavoratori in organico assenti.
3.2. Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.
Quanto alla prima doglianza questa Corte valuta di condividere il principio affermato dalla sopra citata Cass. n. 6787/2013 (confermato dalla successiva Cass. 31 agosto 2017, n. 20647) secondo cui in tema di contratto di lavoro a tempo determinato nel regime di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, il lavoratore assunto a termine per ragioni sostitutive di lavoratore assente non deve essere necessariamente destinato alle medesime mansioni o allo stesso posto del lavoratore assente, atteso che la sostituzione ipotizzata dalla norma va intesa nel senso più confacente alle esigenze dell’impresa; pertanto, non può essere disconosciuta all’imprenditore – nell’esercizio del potere di autorganizzazione – la facoltà di disporre (in conseguenza dell’assenza di un dipendente) l’utilizzazione del personale, incluso il lavoratore a termine, mediante i più opportuni spostamenti interni, con conseguente realizzazione di un insieme di sostituzioni successive per scorrimento a catena, sempre che vi sia una correlazione tra assenza ed assunzione a termine, nel senso che la seconda deve essere realmente determinata dalla necessità creatasi nell’azienda per effetto della prima.
Nella specie non si evince dalla sentenza impugnata che le modalità attraverso le quali la sostituzione per scorrimento della lavoratrice era avvenuta (procedimento che risulta ‘dettagliatamente descritto nelle difese dell’appellata con tanto dei nomi dei lavoratori interessati’ e che, pertanto, ‘deve ritenersi incontrovertibile’) avessero formato oggetto di specifica contestazione rilevandosi che le doglianze dell’appellante avevano riguardato (oltre la genericità della causale) solo l’adibizione della M. a mansioni diverse da quelle svolte dalle dipendenti in maternità sostituite e dunque che l’ambito del devolutum del giudice di appello fosse stato circoscritto alla sola necessità di un’assegnazione alle medesime mansioni e/o allo stesso posto del lavoratore assente e non esteso ad altro.
La seconda doglianza è inammissibile non emergendo quando ed in che termini la questione del rapporto numerico tra assunti a termine ed assenti (cui la Corte territoriale non fa alcun riferimento) fosse stata sottoposta al giudice di merito.
4.1. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 in connessione con l’art. 2697 cod. civ.. Lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto dimostrate l’esistenza e la veridicità del dedotto scorrimento, invece ritualmente contestato dalla lavoratrice.
4.2. Il motivo è inammissibile per quanto già evidenziato con riferimento al secondo motivo.
La ricorrente non trascrive il contenuto degli atti processuali necessari a sostenere la doglianza limitandosi ad opporre alla ritenuta non contestazione di circostanze considerate dalla Corte territoriale specificamente e puntualmente dedotte dalla società una diversa lettura del comportamento processuale della parte priva di ogni supporto documentale.
5. Conclusivamente vanno rigettati tanto il ricorso principale quanto quello incidentale.
6. L’esito dei ricorsi giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
7. Va dato atto dell’applicabilità dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, co. 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e quello incidentale; compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.