CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 agosto 2018, n. 21265
Operatore socio-sanitario – Licenziamento – Violazione disciplinare diversa da quella indicata – Irregolarità formale della contestazione – Indennità risarcitoria
Fatti di causa
1. Con ordinanza ex art. 1 comma 49 legge n. 92/2012 il Tribunale di Lecce accertava la violazione della procedura di cui all’art. 7 della legge n. 300/1970, in relazione al licenziamento intimato in data 14 giugno 2013 dalla S. ASL LE srl Unipersonale a P.P.F., dipendente con qualifica di operatore socio-sanitario e mansioni di ausiliario addetto al servizio di pulizie, e ordinava alla società, in applicazione dell’art. 18 comma 6 della legge n. 300 del 1970, di corrispondere al lavoratore la somma di euro 15.426,48 a titolo di indennità risarcitoria pari a 12 mensilità, oltre accessori, dal licenziamento al saldo.
2. A seguito di opposizione ex art. 1 comma 51 della legge n. 92 del 2012 proposta dal F., lo stesso Tribunale con la pronuncia n. 1152/2013 rilevava che il licenziamento era stato irrogato per una violazione disciplinare diversa da quella indicata in quanto nella lettera del recesso era stata citata la lettera C dell’art. 41 del CCNL, attinente alla recidiva nelle mancanze del lavoratore, mentre di fatto era stato contestato un solo episodio e, cioè, l’assenza ingiustificata dal posto di lavoro per tre giorni consecutivi. Trattandosi di irregolarità formale della contestazione e vertendosi in ipotesi di inefficacia del licenziamento, il Tribunale applicava la previsione di cui all’art. 18 comma 6 della legge n. 300 del 1970 con attribuzione di una indennità risarcitoria determinata nella medesima misura della fase sommaria.
3. La Corte di appello di Lecce, con la sentenza n. 2532/2016, accoglieva il reclamo proposto dal lavoratore e, in riforma della gravata pronuncia, annullava il licenziamento intimato il 14.6.2013 e condannava la S. AASL LE srl Unipersonale a reintegrare P.P.F. nel posto di lavoro e a pagare in favore di quest’ultimo una indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, detratto l’aliunde perceptum,
ai sensi dell’art. 18 comma 4 legge n. 300 del 1970, oltre accessori, dalla data del licenziamento al saldo.
4. A fondamento del decisum la Corte di merito rilevava che: 1) la sentenza reclamata era formalmente motivata non solo mediante rinvio alle motivazioni espresse dal precedente organo giudicante, ma anche con un autonomo e completo iter logico; 2) nella fattispecie risultavano accertati i fatti determinanti il verificarsi della ipotesi di licenziamento per giusta causa sia in relazione alla lett. B) dell’art. 41 CCNL di settore, sia in riferimento alla lettera C della medesima disposizione; 3) la lettera di contestazione, però, aveva riguardo, come fatto addebitato, alla assenza ingiustificata dal 2 al 4 maggio del 2013 mentre la comunicazione del licenziamento citava la lettera C dell’art. 41 ove era prevista la recidiva nelle condotte sanzionabili; 4) non si verteva in ipotesi di violazione formale o procedurale, ma di vizio sostanziale mancando nella lettera di contestazione la recidiva che costituiva elemento costitutivo della sanzione espulsiva; 5) andava, quindi, applicata la tutela di cui al quarto comma dell’art. 18 St. lav. con ordine di reintegrazione nel posto di lavoro.
5. Avverso la decisione di secondo grado proponeva ricorso per cassazione la società affidato a quattro motivi.
6. Ha resistito con controricorso P.P.F..
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione di legge, in relazione al combinato disposto dell’art. 360 comma 1 n. 3 cpc, dell’art. 111 Cost., dell’art. 132 cpc e dell’art. 118 disp att. cpc: in particolare sostiene l’assoluta mancanza di motivazione in merito alla dedotta inammissibilità del ricorso del F. sull’errata formulazione delle conclusioni, per essere la Corte di merito venuta totalmente meno all’obbligo di motivazione in merito alla circostanza dirimente ed assorbente dell’inammissibilità del ricorso per carente formulazione delle conclusioni relativamente alla domanda di reintegrazione.
3. Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, la violazione e mancata applicazione dell’art. 12 delle Disposizioni della legge in generale, dell’art. 1362 cc, degli artt. 115 e 1126 cpc, dell’art. 2109 cc, degli artt. 2104 e 2119 cc, dell’art. 18 comma 4, così come riformato dall’art. 1 della legge n. 92 del 2012, per non avere la Corte di merito tenuto nella dovuta e necessaria considerazione il chiaro disposto normativo dell’art. 18 comma 4 legge n. 300 del 1970 che prevede espressamente che la reintegrazione del lavoratore possa essere disposta solo ed esclusivamente nel caso in cui il giudice accerti che non ricorrano gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili.
4. Con il terzo motivo la società si duole, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, della violazione e mancata applicazione dell’art. 12 delle Disposizioni della legge in generale, dell’art.1362 cc, degli artt. 115 e 116 epe, degli artt. 2104 e 2119 cc, dell’art. 18 comma 5 come riformato dall’art. 1 legge n. 92 del 2012, per non avere la Corte territoriale tenuto nella dovuta e necessaria considerazione il chiaro disposto normativo dell’art. 18 comma 5 citato, che prevede espressamente che il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data di licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici ed un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione alla anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.
5. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, la violazione e mancata applicazione dell’articolo 12 delle Disposizioni della legge in generale, dell’art. 1362 cc, degli artt. 115 e 116 cpc, degli artt. 2104 e 2119 cc, dell’art. 18 comma 6, come riformato dall’art. 1 della legge n. 92 del 2012, per non avere i giudici di seconde cure tenuto nella dovuta e necessaria considerazione il chiaro disposto normativo dell’art. 18 comma 6 Statuto del lavoratori che prevede espressamente che il giudice, nell’ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione della procedura di cui all’art. 7 legge n. 604/1966 e succ. mod., si applica il regime di cui al quinto comma (risoluzione del rapporto con effetto dalla data del licenziamento e condanna del datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro tra un minimo di sei mensilità ed un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto).
6. Il primo motivo non è meritevole di pregio.
7. Osserva il Collegio, in primo luogo, che la doglianza difetta del requisito di autosufficienza. La ricorrente, infatti, si duole dell’assoluta mancanza di motivazione, da parte della Corte di merito, sulla dedotta inammissibilità del ricorso introduttivo del F. per errata formulazione delle conclusioni, senza però specificare il “come” ed il “dove” la questione sia stata formalmente sottoposta ai giudici di seconde cure (cfr. Cass. 13.3.2018 n. 6014; Cass. n. 12664/2012).
8. La problematica riveste importanza decisiva perché, vertendosi in una ipotesi di rigetto implicito dell’eccezione processuale, la parte era tenuta ad impugnare la sentenza con ricorso incidentale e non con la mera riproposizione dell’eccezione (cfr. Cass. 14.3.2013 n. 6550; Cass. 13.5.2016 n. 9889).
9. Il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso devono essere trattati congiuntamente per la loro interdipendenza logico-giuridica, in quanto attengono al giudizio operato dalla Corte di merito di sussunzione della fattispecie nella previsione del IV comma dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 novellato, sollecitando, invece, in sostanza l’applicazione del meccanismo sanzionatorio disciplinato dal V e/o dal VI comma del citato articolo 18.
10. Giova, a tal proposito, evidenziare che le parti, in ordine alla discordanza tra la lettera di contestazione disciplinare del 20.5.2013, che riguardava l’assenza arbitraria e senza alcuna giustificazione dal lavoro dal giorno 2.5.2013 al giorno 4.5.2013, e la successiva comunicazione del licenziamento del 14.6.2013, ai sensi della lettera C dell’art. 41 del CCNL applicato (che prevede la recidiva nelle condotte sanzionabili) non hanno articolato specifiche censure sulla eventuale applicabilità di altro regime sanzionatorio connesso alla violazione del principio di immutabilità della contestazione.
11. Sempre in ordine alla delimitazione dell’indagine è opportuno, altresì, precisare che la gravata sentenza ha dato atto che, non essendo stato proposto reclamo incidentale per fare valere l’ipotesi prevista dalla lettera B dell’art. 41 ed avendo la società reclamata semplicemente chiesto il rigetto del reclamo, il thema decidendum del giudizio di seconde cure verteva esclusivamente sulla esistenza della ipotesi di cui alla lettera C dell’art. 41 del CCNL, ove cioè la recidiva, considerata elemento costitutivo del fatto posto a base del recesso, si era formata successivamente alla contestazione del 20.5.2013.
12. Su tale impostazione, secondo cui appunto la recidiva non era stata originariamente contestata, ma si era formata solo successivamente e segnalata con il richiamo all’art. 41 lett. C del CCNL, può ritenersi essersi formato un giudicato interno non essendo stato l’assunto oggetto di impugnazione da parte della società.
13. Inquadrata, pertanto, la questione in tali termini, e cioè con riguardo ad una situazione ove il fatto posto a base del recesso sia diverso da quello contestato perché comprendente un nuovo elemento costitutivo della fattispecie, rappresentato dalla recidiva, ritiene il Collegio che, senza dubbio, non sia applicabile la invocata tutela di cui al V comma dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 che disciplina i casi di sproporzione tra condotta e sanzione espulsiva nelle ipotesi in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa e non vi sia lo scollamento tra la gravità della condotta realizzata e la sanzione adottata risulti dalle previsioni dei contratti collettivi ovvero dai codici disciplinari applicabili che ad essa facciano corrispondere una sanzione conservativa (cfr. Cass 25.5.2017 n. 13178).
14. Nel caso in esame si è chiaramente fuori da tali previsioni.
15. Non è invocabile neanche la tutela di cui al VI comma dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, che concerne esplicitamente la violazione del requisito della motivazione o la violazione della procedura di cui all’art. 7 della legge n. 300/1970 oppure la violazione della procedura dell’art. 7 della legge n. 604 del 1966.
16. E’ stata, infatti, dalla giurisprudenza riconosciuta, a titolo esemplificativo, tale tutela nelle seguenti ipotesi: omessa audizione del lavoratore (Cass. n. 17166/2016; Cass. n. 25189/2016); violazione del CCNL che prevede un termine per l’adozione del provvedimento disciplinare (Cass. n. 17113/2016); genericità della contestazione disciplinare (Cass. n. 16896/20126); omessa comunicazione dei motivi di licenziamento (Cass. n. 17589/2016).
17. Va ricordato che lo stesso VI comma del citato art. 18 prevede “uno scivolamento” verso tutele intermedie laddove il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che, oltre al vizio formale o procedurale denunziato, vi sia anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applicherà la tutela reintegratoria cd. attenuata del IV comma o la tutela indennitaria cd. forte del comma 18. Nella fattispecie in esame, però, non potendosi valutare un’ipotesi di nullità del licenziamento per il divieto della reformatio in peius, ed esclusa l’applicabilità, per quanto sopra detto, del V e del VI comma dell’art. 18 della legge n. 300/1970, resta la tutela di cui al IV comma applicata dalla Corte di merito in relazione ad una condotta in cui comunque il fatto oggetto del licenziamento non coincideva con quello originariamente contestato.
19. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
20. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo, con attribuzione. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dei difensori della controricorrente dichiaratisi antistatari. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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