CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 dicembre 2018, n. 33555
Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato – Licenziamento orale – Nullità – Esercizio del diritto di opzione
Fatto
Con sentenza in data 9 gennaio 2017, la Corte d’appello di Milano condannava H. S.r.l., in favore di S. C. a rispettivo titolo di indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro per l’esercizio del diritto di opzione e di indennità risarcitoria per il periodo dal 2 settembre 2014 al 13 ottobre 2015, al pagamento delle somme di € 45.283,20 e di € 39.942,10, oltre accessori: così parzialmente riformando la sentenza di primo grado, che aveva accertato l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno indeterminato con qualifica del lavoratore di quadro CCNL terziario Distribuzione e Servizi dal 1° agosto 2008 e dichiarato la nullità del licenziamento orale intimato il 2 settembre 2014, con ordine alla società datrice di immediata reintegrazione del dipendente e condanna al pagamento, in suo favore, di un’indennità risarcitoria pari a tutte le mensilità della retribuzione globale di fatto maturate dal licenziamento alla reintegrazione, in misura non inferiore a cinque mensilità, oltre accessori di legge.
Preliminarmente ravvisata l’ammissibilità di tutte le domande del lavoratore introdotte con il rito cd. “Fornero”, la Corte territoriale riteneva nel merito la sussistenza, in esito all’argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie, degli indici della natura subordinata del rapporto (in particolare per l’accertato inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale datoriale) e quella orale del licenziamento intimatogli.
Essa accoglieva infine il reclamo incidentale di S. C., limitatamente all’indennità per l’esercizio del diritto di opzione, liquidata nella misura suindicata, rigettandone invece la richiesta di rideterminazione della mensilità utile ai fini dei conteggi delle indennità.
Con atto notificato in data 8 marzo 2017, la società ricorreva per cassazione con sette motivi, cui resisteva il lavoratore con controricorso, con ricorso incidentale con unico motivo, cui replicava la società con controricorso; entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1, quarantasettesimo comma I. 92/2012, per l’inammissibilità della trattazione con il rito previsto dalla norma denunciata (cd. “Fornero”) della domanda di S. C. di accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, pure indirizzata al giudice del lavoro con rito ordinario.
2. Con il secondo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. come error in procedendo, per ultrapetizione della sentenza nell’affermazione di esclusione della sua nullità per effetto dell’inesattezza del rito, in assenza di domanda.
3. Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., per inconferente riferimento, nella qualificazione del rapporto con C., al criterio del nomen iuris mai emerso dagli atti processuali e in assenza di alcun accordo tra le parti e per mancata indicazione specifica degli elementi della subordinazione ravvisata, attesa la libertà da schemi, orari e direttive nella prestazione dell’attività, senza alcun inserimento nel ciclo produttivo aziendale.
4. Con il quarto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2105 c.c., per esclusione della natura subordinata del rapporto tra le parti, implicante l’obbligo di prestazione in via esclusiva dell’attività lavorativa al datore di lavoro, per l’evidente riflesso del l’obbligo di fedeltà, attesa l’accertata (ma non correttamente valorizzata) prestazione da C. in favore dei clienti S. e Istituto Europeo di Design, pure operanti in un settore simile a quello proprio.
5. Con il quinto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 69 d.lg. 276/2003, per erroneo richiamo della norma denunciata, inconferente in assenza, prima ancora di alcun progetto, della conclusione di un contratto scritto tra le parti, avendo C. prestato un’attività autonoma, per la quale regolarmente remunerato con pagamenti dietro presentazione di fattura, in quanto titolare di partita Iva.
6. Con il sesto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 2 I. 604/1966, per difetto del licenziamento orale erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale, in assenza di prova, a carico del lavoratore, dell’estromissione dal posto di lavoro.
7. Con il settimo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 107 CCNL per i dipendenti da aziende del settore terziario, della distribuzione e dei servizi, per erronea qualificazione, pure in mancanza di motivazione, del lavoratore nella categoria dei quadri, senza indicazione delle mansioni direttive concretamente svolte da C., con valutazione non globale delle prove.
8. Con unico motivo, il lavoratore a propria volta deduce, in via di ricorso incidentale, violazione e falsa applicazione degli artt. 2099, 2103, 2697 c.c. e 115 c.p.c., per erronea individuazione della mensilità utile, ai fini di liquidazione delle indennità da applicare ai sensi del novellato art. 18, secondo e terzo comma I. 300/1970, nella somma di € 3.521,00 spettante contrattualmente alla categoria Quadri di qualificazione professionale del lavoratore, anziché nel trattamento complessivamente erogatogli (e tenuto conto della riduzione della retribuzione unilateralmente disposta dal 2012 da parte datrice e pertanto nulla), sulla base dei conteggi prodotti, non specificamente contestati dalla datrice.
9. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 1, quarantasettesimo comma I. 92/2012, per l’inammissibilità della trattazione con il rito previsto dalla norma denunciata (cd. “Fornero”) della domanda di S. C. di accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, è infondato.
9.1. Il “rito Fornero” è infatti ben applicabile alla domanda di accertamento del rapporto di lavoro tra le parti, in quanto finalizzata a quello di illegittimità del licenziamento e di applicabilità del regime di tutele stabilite dal novellato art. 18 l. 300/1970: sicché, con il solo limite di quelle artificiose, il procedimento speciale deve trovare ingresso a prescindere dalla fondatezza delle allegazioni, senza che la veste formale assunta dalle relazioni giuridiche tra le parti ne possa precludere l’accesso (Cass. 8 settembre 2016, n. 17775; Cass. 30 gennaio 2018, n. 2303).
10. Il secondo motivo, relativo a violazione del principio di divieto di ultrapetizione nell’affermazione di nullità della sentenza per effetto dell’inesattezza del rito, è infondato.
10.1. Non sussiste alcuna violazione del principio di corrispondenza della pronuncia alla domanda, in difetto di un suo capo, così da comportare inesistenza di una decisione sul punto della controversia: manca, infatti, un provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, non potendo una tale mancanza dipendere dall’omesso esame di un elemento di prova (con specifico riferimento all’ipotesi di omessa pronuncia: Cass. 16 maggio 2012, n. 7653; Cass. 23 marzo 2017, n. 7472), né, tanto meno, di un passaggio di mero completamento argomentativo (come sub c, a pg. 4 della sentenza).
11. Il terzo e il quarto motivo, congiuntamente esaminabili per la stretta connessione derivante dalla convergenza nella censurata ritenuta esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, sono infondati.
11.1. La Corte territoriale ha correttamente applicato i principi regolanti la materia (richiamati dal penultimo capoverso di pg. 5 al primo di pg. 6 della sentenza), secondo cui, in particolare, ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, occorra far riferimento ai dati fattuali emergenti dal concreto svolgimento della prestazione, piuttosto che alla volontà espressa dalle parti al momento della stipula del contratto di lavoro (Cass. 15 giugno 2009, n. 13858). Ed ancora essa ha specificamente richiamato l’elemento distintivo della subordinazione, ossia della soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, discendente dall’emanazione di ordini specifici oltre che dall’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo sull’esecuzione della prestazione lavorativa (senza necessità di prova anche dell’esistenza di un diverso rapporto: Cass. 8 febbraio 2010, n. 2728), individuato quale modalità identificativa del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 2094 c.c. E’ noto come esso, qualora non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni, possa essere ricostruito in via presuntiva sulla base di criteri complementari e sussidiari, sia pure privi ciascuno di valore decisivo, quali: la collaborazione o la continuità delle prestazioni o l’osservanza di un orario predeterminato o il versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita o il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo datoriale o l’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale (Cass. 27 febbraio 2007, n. 4500; Cass. 17 aprile 2009, n. 9256).
11. 2. Ebbene, l’elemento della subordinazione, peculiarmente distintivo del lavoro subordinato da quello autonomo, può ben essere evinto da un insieme di circostanze complessivamente valutate dal giudice del merito (Cass. 26 agosto 2013, n. 19568; Cass. 31 maggio 2017, n. 13816), che in tal modo compie un accertamento in fatto (come appunto la Corte territoriale, in base alle ragioni esposte dal penultimo capoverso di pg. 6 al primo periodo di pg. 8 della sentenza), insindacabile in sede di legittimità (Cass. 10 luglio 2015, n. 14434).
12. Il quinto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 69 d. lg. 276/2003 per erroneo richiamo della norma denunciata in assenza di un contratto scritto tra le parti, è inammissibile.
12.1. Esso si duole di un’argomentazione che, come si evince dal\’incipit di risposta alla censura dell’appellante alla sentenza del Tribunale “laddove ha ritenuto, per altra via, la sussistenza comunque di un rapporto di lavoro subordinato” (al primo capoverso di pg. 8 della sentenza; poi sviluppata fino al terzultimo di pg. 9), ha natura di seconda ratio decidendi, autonoma dalla prima, di accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato. E su questa, per effetto del rigetto dei due precedenti motivi, si è formato il giudicato (Cass. 3 novembre 2011, n. 22753; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass. s.u. 29 marzo 2013, n. 7931; Cass. 6 luglio 2015, n. 13844).
13. Il sesto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 2 l. 604/1966 per difetto del licenziamento orale in assenza di prova dell’estromissione dal posto di lavoro, è inammissibile.
13.1. Non sussiste infatti la violazione delle norme di diritto denunciate, consistendo il mezzo piuttosto in una contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento in fatto compiuti dal giudice di merito.
13.2. D’altro canto, la Corte territoriale ha correttamente applicato i principi di diritto regolanti la materia, secondo cui, qualora il lavoratore deduca di essere stato licenziato oralmente e faccia valere in giudizio la inefficacia o invalidità di tale licenziamento, la prova gravante sul lavoratore è limitata alla sua estromissione dal rapporto (Cass. 19 ottobre 2011, n. 21684; Cass. 15 gennaio 2015, n. 610). In base a tali principi, essa ha quindi ritenuto la prova di ciò, in base a critico e argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie (dal terzo capoverso di pg. 10 al quinto di pg. 11 della sentenza), con accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità.
14. Il settimo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 107 CCNL di settore per erronea qualificazione del lavoratore nella categoria quadri, è pure inammissibile.
14.1. Esso viola, sul piano formale, il principio di specificità prescritto dall’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c., sotto il profilo del difetto di autosufficienza in assenza di trascrizione integrale della norma collettiva denunciata (Cass. 2 aprile 2002, n. 4678; Cass. 5 luglio 2016, n. 13676) e consiste, nella sostanza, in una generica critica della valutazione probatoria e dell’accertamento in fatto della Corte territoriale, con puntuale richiamo delle risultanze istruttorie poste a fondamento del ritenuto inquadramento del lavoratore (al quinto capoverso di pg. 12 della sentenza).
15. Il ricorso incidentale è inammissibile.
15.1. E ciò a prescindere dalla sua tardività o meno rispetto al termine prescritto dall’art. 1 comma 62 l. 92/2012, di applicazione indubbia al ricorso per cassazione principale (Cass. 28 settembre 2016, n. 19177), ma più controversa al ricorso incidentale, a seconda che in linea generale: se ne ammetta la tardività, e quindi l’ammissibilità (art. 334, primo comma e 436, terzo comma c.p.c.), a tutela della reale utilità della parte, ove l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto d’interessi derivante dalla sentenza cui la parte non impugnante aveva prestato acquiescenza, per l’insorgenza dell’interesse ad impugnare, anche nelle cause scindibili, dall’eventualità che l’accoglimento dell’impugnazione principale modifichi tale assetto giuridico (Cass. s.u. 27 novembre 2007, n. 24267; Cass. 29 marzo 2012, n. 5086; Cass. 16 novembre2015, n. 23396; Cass. 25 gennaio 2018, n. 187); ovvero la si escluda, laddove l’interesse alla sua proposizione non possa ritenersi insorto per effetto dell’impugnazione principale (Cass. 17 agosto 2012, n. 14558; Cass. 16 giugno 2016, n. 12387; Cass. 14 marzo 2018, n. 6156).
15.2. Ed infatti, l’unico motivo incidentale, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 2099, 2103, 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. per erronea individuazione della mensilità utile alla determinazione delle indennità da applicare ai sensi del novellato art. 18, secondo e terzo comma I. 300/1970, è inammissibile.
15.3. Esso è generico, in violazione della prescrizione di specificità dell’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c., che ne esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202). Il mezzo in esame si limita alla mera reiterazione delle censure, già puntualmente disattese dalla Corte territoriale, in particolare omettendo di confutare la sua chiara affermazione, avente natura di ratio decidendi sul punto, di assenza nel ricorso introduttivo di compiute allegazioni, genericamente riferite a documenti e di espressa contestazione datoriale del conteggio elaborato dal lavoratore (così al terzultimo capoverso di pg. 12 della sentenza).
16. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso principale e l’inammissibilità dell’incidentale, con la regolazione delle spese del giudizio di legittimità secondo il regime di soccombenza, assolutamente prevalente a carico della società ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale e condanna la società alla rifusione, in favore del lavoratore, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n, 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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