CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 dicembre 2021, n. 41738
Tributi – ICI – Riqualificazione di terreno agricolo in area edificabile – Tassazione – Imponibile – Determinazione del valore venale – Criteri
Rilevato che
La Congregazione è proprietaria nel Comune di Romano d’Ezzelino di alcuni terreni (c.d. area La Salle), per i quali ha versato l’ICI considerandoli terreni agricoli. In data 23.12.2011, il Comune di Romano d’Ezzelino ha notificato alla Congregazione l’avviso di accertamento n. 15396/11, relativo all’ICI 2006, ritenendo la natura di area fabbricabile dei terreni, determinandone il valore in euro 130,00 al mq ed escludendo il diritto alla esenzione di cui all’art. 7 del D.lgs. 504/1992 per i fabbricati. La contribuente ha opposto l’avviso.
Il giudice di primo grado pur ritenendo che l’area fosse da considerarsi edificabile, ne ha ridotto il valore ad euro 110,00 al mq.
La Congregazione ha proposto appello che è stato respinto, così come è stato respinto l’appello incidentale del Comune. Il giudice di secondo grado ha ritenuto che la qualificazione di area fabbricabile sia subordinata alla sola adozione dello strumento urbanistico generale, ma che comunque si giustifica la riduzione di valore operata dal giudice di primo grado in ragione della “carente prospettiva di effettiva edificabilità dell’area”.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso la Congregazione affidandosi a otto motivi.
Il Comune ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, affidandosi a due motivi, cui la Congregazione ha risposto con controricorso.
Le parti hanno discusso la causa alla udienza pubblica del 16 novembre 2021. Il procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso principale.
Ritenuto che
1. – Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione del combinato disposto dell’art. 2 del D.lgs. 504/1992 e dell’art. 10 della legge 212/2000, in relazione all’art. 360 co. 1^ n. 3 c.p.c., per avere il giudice d’appello ritenuto edificabile il terreno, pur in mancanza della apposita convenzione attuativa, prevista dal Programma integrato di riqualificazione urbanistica edilizia e ambientale (P.i.r.u.e.a).
La parte ricorrente deduce che la mancata sottoscrizione della convenzione attuativa tra il Comune e la Congregazione deriva da una vicenda amministrativa piuttosto travagliata nel corso della quale la Congregazione ha più volte invitato il Comune a sottoscrivere la convenzione, che ha sempre frapposto risposte dilatorie. A causa del comportamento del Comune e della mancata sottoscrizione di questa convenzione, il terreno non è in concreto edificabile. Rileva che il Comune non si può ritenere estraneo al rischio del mancato perfezionamento dell’iter edificatorio, essendo al tempo stesso l’ente impositore, che fruisce delle maggiori entrate che derivano dalla qualificazione del terreno come edificabile in astratto, e il soggetto che ne condiziona l’edificabilità in concreto. L’art. 36, comma 2, del D.L. n. 223/2006, deduce ancora la parte, dovrebbe essere interpretato secondo il principio di buona fede, che il Comune ha violato.
1.2. – Il motivo è infondato.
La ricorrente sovrappone la questione di stretto rilievo tributario con una vicenda diversa che ha ad oggetto il comportamento del Comune e la (eventuale) rilevanza della sua condotta omissiva, non influente in questa sede.
La questione tributaria è limitata, nel caso che ci occupa, alla verifica della natura edificabile o meno del terreno de quo con la conseguente determinazione del suo valore ai fini impositivi.
Il comportamento del Comune, nella adozione (o non adozione) degli strumenti urbanistici appropriati, potrebbe rilevare in sede amministrativa, ove la parte intenda reagire avverso i provvedimenti adottatati dall’ente, nonché eventualmente far valere la responsabilità per i danni cagionati alla Congregazione, ove ne sussistessero i presupposti.
La questione tributaria è invece regolata -come correttamente rileva la Commissione- dall’art. 36, comma 2, del D.L. n. 223/2006, norma che ha fornito una interpretazione autentica dell’art. 2, comma primo, lettera b), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, chiarendo che la qualificazione di area fabbricabile ai fini delle imposte dirette ed indirette è subordinata alla sola adozione dello strumento urbanistico generale da parte del Comune, risultando invece irrilevanti sia la sua approvazione da parte della Regione sia l’adozione di strumenti attuativi dello stesso.
La costante giurisprudenza di questa Corte, come rileva anche il Procuratore generale, afferma che “l’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica è infatti sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, le cui eventuali oscillazioni, in dipendenza dell’andamento del mercato, dello stato di attuazione delle procedure incidenti sullo “ius aedificandi” o di modifiche del piano regolatore che si traducano in una diversa classificazione del suolo, possono giustificare soltanto una variazione del prelievo nel periodo d’imposta” (Cass. sez. un 30 novembre 2006, n. 25506; Cass. n. 20137 del 16/11/2012; Cass. n. 11182 del 21/05/2014; Cass. n. 31048 del 28/12/2017; Cass. n. 6702 del 10/03/2020).
Pertanto, la maggiore o minore attualità delle potenzialità edificatorie del terreno, nonché la possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione, non incidono sulla sua qualificazione come area edificabile, anche se di questi fattori si dovrà tener conto nella determinazione della base imponibile.
In applicazione di questi principi – segnati dall’autonomia della nozione di edificabilità in ambito tributario rispetto a quello urbanistico – le ragioni per le quali il Comune non procede alla adozione dello strumento attuativo devono ritenersi irrilevanti, poiché il terreno dovrà comunque essere classificato come edificabile se così previsto nel piano regolatore generale, potendo la attualità (o meno) del concreto sfruttamento edificatorio incidere soltanto sul quantum della base imponibile.
2.- Con il secondo motivo viene censurata la violazione del combinato disposto dell’art. 5 e dell’art. 11 del D.lgs. 504/1992, in relazione all’art. 360, co. 1^, n. 3 c.p.c.. La parte deduce l’errore del giudice d’appello per avere attribuito all’area in questione un valore di 110,00 € al metro quadro non attenendosi ai criteri di valutazione riportati nell’art 5 cit., poiché detta norma richiede di attribuire rilevanza ad una pluralità di elementi, quali la zona territoriale di ubicazione, l’indice di edificabilità, la destinazione d’uso ed i prezzi medi rilevati sul mercato; nessuno di questi criteri è stato adoperato dal giudice di secondo grado.
2.1 – Il motivo è infondato.
Il giudice d’appello ha confermato la valutazione resa dal giudice di primo grado, che ha fatto riferimento al costo dell’area indicato nella relazione finanziaria annessa al Piano integrato La Salle (130 euro mq) applicandovi un correttivo, poiché in difetto di sottoscrizione della Convenzione l’edificazione non è prossima, e rilevando che non vi è differenza di valore tra l’anno di redazione della relazione e l’anno 2006; la relazione finanziaria allegata al Piano Integrato è stata elaborata dalla stessa Congregazione e quindi si tratta di una stima (sul valore venale) offerta dallo stesso contribuente.
Questa Corte ha già specificato che “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), ai fini della determinazione del valore imponibile è necessario che la misura del valore venale in comune commercio sia ricavata in base ai parametri vincolanti e tassativi di cui all’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 504 del 1992 solo laddove si debba pervenire al calcolo del valore venale in comune commercio in mancanza di un valore direttamente riferibile al terreno oggetto di stima, mentre, ove il valore del terreno, e quindi il suo prezzo, sia già assegnato, perché posto in vendita, il valore fissato, considerato congruo o rettificato con avviso di accertamento divenuto definitivo, ne rappresenta il valore venale in comune commercio” (Cass. n. 14118 del 07/06/2017, conf. Cass. n. 27807 del 31/10/2018). Nel caso di specie la stima nella misura di euro 130 al mq (voce “costo dell’area”) è da considerarsi un valore direttamente riferibile al terreno in oggetto, assegnato dallo stesso ente proprietario, sicché non può dirsi che la Commissione, fondandosi su questa stima, abbia applicato un criterio estraneo all’art 5 cit.
Le ulteriori questioni, sulla congruità della riduzione in ragione della non attualità dell’uso edificatorio, sono questioni di fatto incensurabili in questa sede, tanto più che il divario tra il valore assegnato nella relazione di stima e ritenuto congruo dal Comune (130 euro al mq) e quello applicato dalla CTR (110 euro al mq) non è tale da essere sintomatico di una violazione di legge.
3.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione del combinato disposto dell’art. 5 e dell’art. 11 del D.lgs. 504/1992, in relazione all’art. 360, co. 1^, n. 3 c.p.c., avendo la CTR determinato il valore della base imponibile solo sulla base della relazione finanziaria suddetta, discostandosi dalla tabella allegata al regolamento ICI emanato dal Comune.
Il motivo è infondato.
Le tabelle di predeterminazione dei valori elaborate dal Comune non hanno natura imperativa e vincolante (Cass. 3757/2014; Cass.5068/2015; Cass.15312/2018; Cass. 10308/2019). Si tratta di presunzioni e cioè di un criterio recessivo ove l’amministrazione venga in possesso di informazioni specifiche idonee a contraddire quelle desunte dai valori delle aree circostanti aventi analoghe caratteristiche (Cass. 11643 del 03/05/2019); la stima offerta dallo stesso contribuente può quindi legittimamente considerarsi una informazione specifica e qualificata, come tale prevalente sui valori tabellari.
4.- Con il quarto motivo del ricorso si lamenta la violazione dell’art. 5 del D.lgs. 504/2012, nonché dell’art. 11 del D.lgs. 504/1992, in relazione all’art 360, co. 1^, n. 3 c.p.c., per avere la CTR considerato irrilevante, ai fini della valutazione dell’area, il mancato perfezionamento dell’iter urbanistico.
Il motivo è inammissibile.
La censura non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata dalla cui lettura complessiva e unitaria si evince che il giudice d’appello ha considerato il mancato perfezionamento dell’iter urbanistico irrilevante non già ai fini della valutazione in concreto dell’area (il cui valore è stato infatti ridotto per questa ragione) bensì al fine di considerare il terreno come agricolo, come vorrebbe la perizia di parte, considerandolo invece – come si è detto, correttamente – terreno edificabile.
5.- Con il quinto motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1 e 2 del D.lgs 504/1992 e degli artt. 1, 2, 4, 5 della L.R. Veneto n. 23/1999, in relazione all’art. 360, co. 1^, n. 3 cod.proc.civ.. La parte lamenta che la CTR ha errato nel considerare edificabile la zona in esame in presenza della sola sussistenza del piano regolatore generale ed in assenza di ulteriori attività amministrative.
Osserva che, sulla base della legislazione della Regione Veneto, l’adozione del piano non è sufficiente a far ritenere perfezionato lo strumento urbanistico generale, essendo necessaria la sottoscrizione della Convenzione tra privato ed ente locale; questa sottoscrizione è condizione di efficacia del piano.
Il motivo è infondato.
Si tratta sostanzialmente, come osserva anche il Procuratore Generale, della stessa censura di cui al primo motivo, integrata con il riferimento alla legislazione regionale. Tuttavia, come sopra si è detto, già la inclusione nel piano regolatore generale è sufficiente a qualificare l’area come edificabile ed a far lievitare il valore del bene, a prescindere dalla adozione degli strumenti attuativi.
6.- Con il sesto motivo del ricorso si lamenta la violazione degli artt. 2 e 5 del D.lgs. 504/1992, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la CTR realizzato una valutazione uniforme dell’intera area, comprensiva anche della parte che sarebbe oggetto di perequazione urbanistica e della parte che sarebbe stata adibita a verde pubblico ed a strade di pubblico interesse.
Il motivo è infondato.
Il giudice d’appello ha operato una valutazione unitaria, spiegandone le ragioni, posto che le aree oggetto di perequazione e quelle destinate a strade e verde pubblico sono comunque qualificabili come “fabbricabili”, ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 504/1992 perché la loro superficie concorre alla determinazione della volumetria spettante. Così facendo il giudice di merito ha applicato un principio già enunciato da questa Corte, secondo cui l’inclusione di un’area in una zona destinata dal piano regolatore generale a servizi pubblici o di interesse pubblico incide senz’altro nella determinazione del valore venale dell’immobile, da valutare in base alla maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, ma non ne esclude l’oggettivo carattere edificabile ex art. 2 del d.lgs. n. 504 del 1992, atteso che i vincoli d’inedificabilità assoluta, stabiliti in via generale e preventiva nel piano regolatore generale, vanno tenuti distinti dai vincoli di destinazione che non fanno venire meno l’originaria natura edificabile (Cass. n. 17764 del 06/07/2018; nonché, sullo specifico problema dell’incidenza ICI dell’inserimento dell’area in un programma di perequazione urbanistica: Cass.n.27575/18).
7.- Con il settimo motivo si censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, co.1^, n. 5 c.p.c., per avere la CTR omesso di esaminare la perizia di parte redatta dall’arch. Andriollo, versata in atti, ed attestante un valore a mq. di 20 euro.
Il motivo è inammissibile.
L’omesso esame avrebbe qui riguardato non un elemento materiale o storico della fattispecie (questo dovendosi individuare nel valore venale dell’area, elemento certamente considerato in sentenza), e neppure le risultanze di una consulenza tecnica d’ufficio, quanto la valutazione offerta dalla Congregazione così come corroborata da una perizia di parte.
Ebbene, si è affermato (Cass.n. 16812/18, 19150/16 ed altre) che “il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa“; e, inoltre, che (Cass.n. 27415/18 ed altre): “L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. ord. n. 27415/18 ed altre).
Nel caso di specie, il giudice di merito ha comunque esaminato e valutato espressamente (pagina 10 della sentenza) la perizia di parte, e sono state spiegate le ragioni per la quali la Commissione dissente dalla valutazione in essa resa, in quanto fondata sulla considerazione del terreno come agricolo, mentre la CTR lo ha considerato terreno edificabile, in quanto come tale indicato nello strumento urbanistico. La censura non coglie pertanto neppure la ratio decidendi della sentenza impugnata sul punto.
8.- Con l’ottavo motivo del ricorso viene dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, co. 1^, n. 4 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciarsi sulla domanda di disapplicazione delle sanzioni fondata su due ragioni, e cioè la carenza dell’elemento soggettivo ai fini della punibilità e le obiettive condizioni di incertezza nella qualificazione del terreno.
Il motivo è inammissibile.
Il giudice d’appello ha reso sul punto una decisone implicita, chiaramente ricavabile dal contesto della sentenza, che evidenzia i profili di colpa della contribuente, insiti nel fatto che la Congregazione ha proposto un determinato valore, poi avanzando la pretesa di pagare l’imposta su un valore notevolmente inferiore, e che comunque l’inclusione del terreno del piano regolatore come edificabile non poteva dare luogo ad incertezza sulla sua natura.
9. Con il primo motivo di ricorso incidentale il Comune lamenta la violazione degli artt. 1 e 5 del D.lgs. 540/1992 in relazione all’art 360, co. 1^, n. 3 c.p.c.
Il Comune impugna la sentenza nella parte in cui la Commissione Regionale ha rigettato l’appello incidentale, con il quale l’ente si doleva della riduzione di valore dell’area operata dai primi giudici, da euro 130 ad euro 110 al metro quadro. Il Comune deduce che il valore dell’area è stato determinato in base alla relazione finanziaria allegata al piano integrato presentato dalla stessa Congregazione e che detta valutazione assume natura di confessione stragiudiziale.
Il motivo è infondato.
La stima contenuta nella relazione finanziaria allegata al piano presentato dalla Congregazione non ha valore di confessione stragiudiziale ex art.2735 cod.civ., poiché la confessione, ai sensi dell’art 2730 c.c., è la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli ad altra parte. La stima di un terreno non è un fatto di cui si possa accertare la verità o falsità ma è una valutazione, e cioè il risultato di un procedimento tecnico attraverso il quale si calcola il valore di un bene, risultato variabile a seconda dei parametri utilizzati, che non sono veri o falsi, ma più o meno pertinenti a seconda del criterio di scelta che deve conformarsi ad una regola iuris.
Non si trattava, dunque, di dichiarazione avente effetto di prova legale, quanto di elemento valutativo sottoposto al libero apprezzamento del giudice di merito.
Il giudice d’appello ha del resto spiegato le ragioni per le quali, pur prendendo come base la stima indicata nella relazione tecnica, ha poi ritenuto di diminuire il valore in concreto, in applicazione di un principio giuridico corretto, e cioè che, pur essendo il terreno da qualificarsi edificabile, la maggiore o minore attualità delle potenzialità edificatorie di esso incide nella determinazione della base imponibile (Cass. sez. un n. 25506/2006 cit.).
Quanto al resto, si tratta di un giudizio di fatto di cui in questa sede non può sollecitarsi la revisione, tanto più che – come già osservato – il divario tra il valore assegnato nella relazione di stima e ritenuto congruo dal Comune e quello applicato dalla CTR non è di per sé tale da essere sintomatico di una violazione di legge.
Va qui aggiunto come neppure il divario di valore attribuito alla stessa area in diverse annualità ICI (fatte oggetto di altri analoghi ricorsi) sia di per sé rivelatore di una violazione di legge, dal momento che una contenuta oscillazione estimativa può trovare giustificazione, oltre che proprio nella diversità ed autonomia dei valori di mercato riscontrabili nelle varie annualità di riferimento, anche nella natura intrinsecamente delibativa e discrezionale (pur sempre, beninteso, entro i parametri legali) del giudizio sul punto demandato al giudice del merito, certamente non rivedibile, come detto, nella presente sede di legittimità.
10.- Con il secondo motivo di ricorso incidentale il Comune lamenta la violazione degli artt. 15 del D.lgs. 546/1992 e 92 c.p.c. quanto alla compensazione delle spese.
L’ente deduce l’errore del giudice d’appello che ha compensato le spese processuali di entrambi i gradi in ragione della complessità e particolarità della questione trattata, mentre l’art. 92 comma secondo c.p.c., ratione temporis applicabile, consente la compensazione solo in presenza di gravi ed eccezionali ragioni.
Il motivo è infondato.
Il giudice d’appello ha ritenuto la sussistenza di una particolare complessità della questione e pertanto di gravi ed eccezionali ragioni, secondo la previsione dell’art 92 c.p.c. ratione temporis applicabile; previsione costituita da norma elastica, che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili “a priori”, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, qualora esse si rivelino illogiche o erronee (Cass. 27/07/2020; Cass. n.2206 del 25/01/2019), vizio che nella specie non ricorre. Peraltro in grado d’appello entrambe le parti sono state soccombenti.
Ne consegue il rigetto tanto del ricorso principale che del ricorso incidentale, con la conseguente compensazione delle spese in ragione della reciproca soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale.
Rigetta il ricorso incidentale.
Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, e per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuti.
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