CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 febbraio 2019, n. 5993
Rapporto di lavoro subordinato – Prova – Mansioni di collaboratore domestico – Licenziamento – Rito Fornero
Fatti di causa
1. Il Giudice del lavoro di Milano, con ordinanza n. 34153 del 2016, ha respinto, sul presupposto che non era stata provata la natura subordinata del rapporto di lavoro, la domanda – proposta con ricorso ai sensi dell’art. 1 comma 48 della legge n. 92/2012 – con la quale E.P. aveva chiesto dichiararsi la illegittimità del licenziamento intimatogli, verbalmente il 23.12.2015, da M.V. alle dipendenze della quale aveva svolto, da novembre 2014, mansioni di collaboratore domestico con inquadramento contrattuale di Livello B super, CCN Colf e con una retribuzione mensile lorda pari ad euro 1233,18.
2. Con la sentenza n. 1427/2017 il Tribunale di Milano, all’esito della fase di opposizione del cd. rito Fornero, ha confermato la suddetta ordinanza e ha rigettato anche la domanda diretta all’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro come collaboratore domestico e come assistente di scena, con inquadramento nel livello CCNL spettacolo pubblici servizi, nonché per sentire riconoscere il diritto al pagamento delle differenze retributive, all’accantonamento dei contributi INPS del 30.1.2015, alla reintegra nelle mansioni di assistente di scena, oltre al risarcimento del danno e al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso con riguardo al rapporto di lavoro domestico.
3. La Corte di appello di Milano, con la pronuncia n. 1590/2017, ha rigettato il reclamo presentato da E.P. ai sensi dell’art. 1 c. 58 della legge n. 92 del 2012 mentre in sostanza ha accolto quello incidentale proposto da M.V. teso alla declaratoria di inammissibilità delle domande inerenti al rapporto di lavoro anche quale assistente di scena.
4. Infatti, i giudici di secondo grado hanno rilevato la tardività e la irritualità delle istanze dirette a riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato anche quale assistente di scena, mentre hanno ribadito che, in ordine a quello asseritamente rivendicato come badante, non era stata fornita la prova della natura subordinata ed anzi era stato dimostrato lo svolgimento di una attività lavorativa propria da parte del P. l’anomala circostanza della restituzione di somme di denaro, da parte dei familiari del P. alla V., il giorno successivo al licenziamento.
5. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione E.P. sulla base di due motivi, illustrati con memoria.
6. Ha resistito con controricorso M. V.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si censura la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, dell’art. 1 legge n. 92 del 2012 nonché dell’art. 112 cpc, per avere erroneamente la Corte di merito ritenuto inammissibile la domanda proposta solo in fase di opposizione circa il reintegro nella mansione di assistente di scena quando, invece, da un lato non era stata dedotta l’esistenza di due rapporti di lavoro, ma sempre dello stesso in cui l’attività espletata si era diversamente modulata in funzione delle caratteristiche della prestazione e, dall’altro, non era stato modificato il thema di indagine introducendo una fattispecie giuridica nuova, ma ci si era attenuto, comunque, a quella originariamente dedotta; sotto questo profilo si lamenta anche la violazione dell’art. 4 della legge n. 604/1966, in correlazione con l’art. 1 della legge n. 92 del 2012 perché i requisiti minimi in tema di impugnazione del licenziamento, imposti dalla norma, erano stati ampiamente rispettati.
2. Con il secondo motivo il ricorrente contesta l’illegittimità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 4 cpc, per nullità della stessa in quanto viziata ex art. 132 c. 1 n. 4 cpc, da leggersi in combinato disposto con gli artt. 111 comma 6 e 24 Cost., perché la gravata pronuncia, nella parte motiva, era carente dell’iter logico-argomentativo che aveva condotto i giudici del merito alla formazione del proprio convincimento circa l’insussistenza di un rapporto di lavoro, di natura subordinata, intercorso tra le parti.
3. I due motivi, che per ragioni logico-giuridiche possono essere esaminati congiuntamente, non sono meritevoli di accoglimento, ancorché la motivazione della sentenza impugnata debba essere, sotto alcuni profili, integrata e corretta.
4. Questa Corte ha, da ultimo, affermato (cfr. Cass. 23.11.2018 n. 30443), con condivisibili argomentazioni cui il Collegio ritiene di dare continuità, che la fase di opposizione del cd. “rito Fornero”, a seguito della fase sommaria, non è una «revisio prioris istantiae, ma una prosecuzione del giudizio di primo grado, ricondotto in linea di massima al modello ordinario; in essa, il procedimento si riespande…alla dimensione ordinaria della cognizione piena con accesso per le parti a tutti gli atti di istruzione ammissibili e rilevanti».
5. La negazione della natura impugnatoria dell’opposizione era stata già riconosciuta dalle Sezioni Unite, con l’ordinanza n. 4308 del 2017 che richiama altri precedenti emessi in sede di legittimità (Cass. n. 3136 del 2015; Cass. n. 7782 del 2015; Cass. n. 4223 del 2016; Cass. n. 17325 del 2016; Cass. n. 19552 del 2016). Anche la Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 78 del 2015 con la quale erano stati respinti i dubbi di legittimità costituzionale circa la possibile identità del giudice investito dell’opposizione all’ordinanza con la stessa persona fisica che l’ha pronunciata all’esito della fase sommaria, era attestata sulla medesima posizione, rilevando che «l’opposizione non verte sullo stesso oggetto dell’ordinanza opposta, né è tanto meno circoscritta alla cognizione di errores in procedendo o in iudicando eventualmente commessi dal giudice della prima fase, ma può investire anche diverso profili soggettivi (stante anche il possibile intervento di terzi), oggettivi (in ragione dell’ammissibilità di domande nuove, anche in via riconvenzionale, purché fondate sugli stessi fatti costitutivi) e procedimentali, essendo previsto che in detto giudizio possano essere dedotte circostanze di fatto ed allegati argomenti giuridici anche differenti da quelli già addotti e che si dia corso a prove ulteriori».
6. Il problema si sposta, conseguentemente, nel valutare se le domande inerenti al rapporto di lavoro anche quale assistente di scena, nel medesimo segmento temporale, con richiesta di applicazione del CCNL spettacoli e pubblici esercizi, proposte solo con la fase di opposizione, possano essere ritenute compatibili con le esigenze del rito speciale introdotto con la legge n. 92 del 2012.
7. La risposta deve essere positiva.
8. Il lavoratore ha fondato la sua domanda sulla asserita esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e ha dedotto come illegittima la decisione della V. di porre fine allo stesso.
9. Questa Corte, nella sentenza n. 17091 del 2016, ha affermato che al comma 48 dell’art. 1 della legge n. 92 del 2012, deve essere ricondotto un significato che risponda all’intento di evitare che il thema decidendum, individuato con riferimento al nucleo della controversia necessariamente assoggettata al rito speciale, si allarghi con l’introduzione di nuovi temi di indagine, tali da ritardare il processo, vanificando la celerità della sua conclusione.
10. L’avere specificato, in sede di opposizione, che il rapporto di lavoro subordinato aveva avuto una modulazione composita, nello stesso arco temporale, non solo con l’espletamento delle mansioni di colf ma anche di quelle di assistente di scena e, comunque, era cessato con lo stesso unico asserito licenziamento ritenuto illegittimo, non rappresenta -a parere del Collegio- un non consentito ampliamento del thema decidendum, incompatibile con l’esigenza di celerità dello speciale rito introdotto dalla legge n. 92 del 2012, in quanto, in pratica, fondata sugli stessi fatti costitutivi (sussistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata e illegittimità del recesso) (cfr. in termini Cass. 27.3.2018 n. 7586; Cass. 8.9.2016 n. 17775; Cass. 10.9.2018 n. 21959).
11. Le domande inerenti all’asserito rapporto di lavoro anche quale assistente di scena appaiono, pertanto, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, ammissibili non essendo né irrituali né tardive.
12. L’accoglimento del motivo, tuttavia, non può condurre all’accoglimento del ricorso perché la Corte di merito, con una valutazione in fatto insindacabile in questa sede perché congruamente motivata, ha comunque escluso la sussistenza dei requisiti di un rapporto di lavoro subordinato in relazione all’attività complessiva compiuta dal P..
13. Invero, la posizione di subordinazione del lavoratore rispetto al datore di lavoro comporta la etero-direzione della prestazione lavorativa, nel senso che compete al datare di lavoro il coordinamento, sia dal punto di vista spazio-temporale, che funzionale. Più in particolare, il vincolo di subordinazione consiste per il lavoratore in un vincolo di assoggettamento gerarchico (Cass. 13.2.2004 n. 2842; Cass. 15.6.2009 n. 13858), per il datore di potere imporre direttive non soltanto generali, in conformità delle esigenze organizzative e funzionali, ma riguardanti di volta in volta l’intrinseco svolgimento delle mansioni affidate (Cass 7.10.2004 n. 20002).
14. La Corte territoriale, con argomentazioni congruamente motivate e corrette sotto il profilo logico-giuridico, e quindi esente dai vizi denunciati con il secondo motivo, ha rilevato, invece, la natura fiduciaria, gratuita e per spirito di amicizia dell’attività compiuta da P. in favore della V., desumibile: a) dalla mancata precedente richiesta, prima di quella avanzata in sede giudiziaria, di ogni retribuzione; b) dal tenore delle dichiarazioni contenute nella nota scritta del 23.12.2015 del P. inviata alla V. circa l’affidamento di somme di denaro; c) dalla contraddittorietà nella determinazione del compenso asseritamente pattuito per le diverse mansioni espletate e d) dalla restituzione, da parte dei familiari del P., di somme di denaro in favore della V. il giorno successivo a quello dell’intervenuto licenziamento: circostanze che confermavano il rapporto di amicizia e di natura fiduciaria che si era instaurato tra le parti.
15. Tale ricostruzione, che manifesta in modo evidente l’iter logico seguito dai giudici di seconde cure, induce a ritenere insussistente la natura subordinata di un rapporto di lavoro ed è compatibile sia in relazione alle mansioni asseritamente svolte quale badante che a quelle contemporaneamente espletate quale assistente di scena, rendendo, quindi, infondate le pretese avanzate da P. E. nei confronti di M.V. sotto ogni profilo azionato.
16. Conclusivamente, pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
17. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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