CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 gennaio 2019, n. 2288
Adempimento degli obblighi contrattuali – Illegittimità dei licenziamenti intimati – Sanzioni corrispondenti – Indennità risarcitoria omniconnprensiva
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 1323/2017 la Corte di appello di Roma, pronunziando in sede di reclamo, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la illegittimità dei licenziamenti intimati a D.S. da S.D. s.p.a. in data 16.5.2013 e in data 10.8.2013 e la risoluzione del rapporto di lavoro a far data dal primo licenziamento; ha condannato la società datrice al pagamento di un’indennità risarcitoria omniconnprensiva quantificata in 19 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre interessi legali sulle somme via via rivalutate .
1.1. La Corte di merito, ritenute non provate, quanto al primo licenziamento, alcune delle condotte addebitate, ha osservato che gli addebiti residui, dei quali era prova, non giustificavano la irrogazione della sanzione espulsiva trattandosi di addebiti inquadrabili nelle previsioni contrattuali generiche e certamente non tipizzate, relative alla trascuratezza nell’adempimento degli obblighi contrattuali, ovvero alla trasgressione dei regolamenti interni, per i quali era prevista solo una sanzione conservativa ove non contestata la recidiva; ha osservato, inoltre, quanto all’addebito di cui al punto 7 della contestazione (consistito nella percezione, anche dopo l’inquadramento del S. nella qualifica di Funzionario, di un rimborso chilometrico superiore a quello spettante), che si trattava di fatto risalente nel tempo rispetto al quale la contestazione non era tempestiva. Quanto all’addebito alla base del secondo licenziamento, consistito nell’avere il S., dal proprio indirizzo di posta elettronica, inoltrato ad ex dipendente S. s.p.a., presso indirizzo riferibile a società concorrente, una mail inviatagli da altro soggetto con allegato il testo di un’offerta commerciale formulata da S. s.p.a., il giudice del reclamo, osservato che il S. aveva negato di avere indirizzato la mail in questione sostenendo che il messaggio di posta elettronica doveva considerarsi artatamente manomesso, ha escluso l’applicabilità del disposto dell’art. 2712 cod. civ. in tema di rappresentazione meccanica di fatti e di cose; ciò sul rilievo che tale mail poteva essere frutto di creazione artificiosa; solo in presenza di un documento informatico riferibile al S. poteva, infatti, porsi questione del valore probatorio del documento ricevuto in via anonima dalla società. Rimarcato che poiché l’offerta commerciale il cui testo era stato allegato alla mail in questione era stata redatta e predisposta per conto della società S. dal S. medesimo di talchè questi ben avrebbe potuto inviarla in via autonoma all’ex collega, passato alle dipendenze della società concorrente, il giudice di appello ha ritenuto il fatto addebitato non provato.
1.2. Quale conseguenza della illegittimità di entrambi licenziamenti, non essendo stato revocato il primo, la Corte di merito, ritenuta applicabile la tutela indennitaria cd. forte ai sensi dell’art. 18, comma 5, Legge 20/05/1970 n. 300, tenuto conto del numero dei dipendenti occupato e delle rilevanti dimensioni dell’attività economica della datrice di lavoro, ha quantificato il relativo importo in 19 mensilità della retribuzione globale di fatto.
2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso D.S. sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso e contestuale ricorso incidentale sulla base di due motivi al quale ha resistito con controricorso il S..
3. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.. D.S. ha depositato documentazione ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso principale parte ricorrente deduce, con riferimento al primo licenziamento, violazione e falsa applicazione dell’art. 18, commi 4 e 5, Legge 20/05/1970 n. 300 e degli artt. 50, 51 e 52 c.c.n.l. Chimica Aziende industriali censurando la sentenza impugnata per non avere applicato la tutela reintegratoria pur avendo accertato che le condotte disciplinari addebitate o erano insussistenti, o non imputabili e non provate o, comunque, riconducibili a quelle che, in base alla contrattazione collettiva applicabile al rapporto di lavoro oggetto di causa, potevano essere punite esclusivamente con una sanzione conservativa. Tali in particolare gli addebiti di cui ai punti 4, 7 e 3° della lettera di contestazione, ritenuti provati dalla sentenza impugnata.
2. Con il secondo motivo di ricorso principale deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. per non avere la sentenza impugnata esplicitato le ragioni per le quali, pur avendo accertato la illegittimità dei licenziamenti, aveva ritenuto di riconoscere la tutela indennitaria.
3. Con il primo motivo di ricorso incidentale la società deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ. ovvero, in subordine, dell’art. 3 Legge 15/07/1966 n. 604 in ordine alla sussistenza di una giusta causa ovvero di un giustificato motivo di recesso. Deduce, inoltre, violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. censurando la sentenza impugnata per avere escluso che gli addebiti ritenuti provati configurassero giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento.
4. Con il secondo motivo di ricorso incidentale deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nonché violazione dell’art. 2712 cod. civ. censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto illegittimo il secondo licenziamento. Sostiene che la mail asseritamente inviata dall’indirizzo di posta elettronica del S. andava configurata quale documento informatico con le relative conseguenze in tema di onere probatorio.
5. Ragioni di ordine logico giuridico, collegate al rilievo dirimente del relativo accoglimento, impongono la trattazione con carattere di priorità dei motivi del ricorso incidentale.
6. Il primo motivo di ricorso incidentale è infondato.
6.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare; quale evento “che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici (v., tra le altre, Cass. 26/03/2018 n. 7426; Cass. 26/04/2012 n. 6498).
6.2. Parte ricorrente incidentale, pur formalmente denunziando violazione di norme di diritto sotto il profilo della corretta applicazione delle clausole generali di cui agli artt. 2119 e 2106 cod. civ., non individua alcun parametro normativo, desumibile dalla coscienza generale o da principi tacitamente richiamati dalla norma, in conflitto con il criterio alla base della valutazione espressa dalla Corte di merito. Nulla, in particolare, viene allegato, prima ancora che argomentato, in punto di possibili contrarietà di tale criterio a valori desumibili dalla coscienza generale o da superiori principi di diritto. Le critiche formulate tendono, infatti, a contestare la valutazione di non proporzionalità del licenziamento sotto il diverso profilo della mancata considerazione di alcune circostanze di fatto che, si sostiene, avrebbero condotto ad affermare l’applicabilità della sanzione espulsiva. In altri termini, ciò di cui in concreto si duole la società S. non concerne il parametro astratto al quale implicitamente ha fatto riferimento il giudice di merito bensì l’apprezzamento delle circostanze del caso concreto ai fini del giudizio di proporzionalità, doglianze veicolabili in sede di legittimità solo con il motivo di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. (v. tra le altre, Cass. 25/05/2012, n. 8293; Cass. 19/10/2007, n. 21965). A tanto consegue che, trovando applicazione, ratione temporis, il testo attualmente vigente dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’accertamento del giudice del merito poteva essere inficiato solo con la denunzia di omesso esame di un fatto storico decisivo, oggetto di discussione tra le parti, corredato della specifica indicazione del dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risultava l’esistenza, del come e del quando (nel quadro processuale) tale fatto aveva costituito o oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso (Cass. Sez. Un. 7/4/2014 n. 8053).
6.3. Alla luce delle richiamate prescrizioni le deduzioni del ricorrente sono inidonee alla valida censura della decisione sia perché le circostanze delle quali si denunzia la omessa considerazione (assenza di precedenti disciplinari, situazione psicofisica del lavoratore ecc.) appaiono obiettivamente prive di decisività nel senso di non essere di portata tale da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’accertamento del giudice di merito (v. Cass. 27/08/2018 n. 21223, applicabile anche in relazione al novellato testo dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. ) sia perché tali circostanze non sono evocate nel rispetto delle indicazioni necessarie ai sensi dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. come, invece, richiesto (Cass. Sezioni Un. 8053/2014 cit. ).
7. Il secondo motivo di ricorso incidentale è inammissibile in quanto non si confronta con le ragioni alla stregua delle quali il giudice del reclamo ha escluso la riferibilità al S. della condotta contestata in relazione al secondo licenziamento.
7.1. La sentenza impugnata ha affermato l’inapplicabilità nel caso concreto dell’art. 2712 cod. civ. in tema di valore probatorio del documento configurante «rappresentazione meccanica di fatti e di cose » in quanto, all’esito di puntuale analisi del testo della mail contenuta nella lettera anonima pervenuta alla società, mail dalla quale ha tratto origine il secondo procedimento disciplinare, ha ritenuto che correttamente il Tribunale aveva fatto riferimento ad una possibile «creazione artificiosa» del documento ad opera di terze persone,«ben potendo la stessa essersi verificata, con la mera trascrizione del solo indirizzo elettronico e degli altri dati sopra indicati» (sentenza, pag. 26). Ha quindi puntualizzato che non esisteva alcun documento informatico riferibile al S. (sentenza, pag. 27) sottolineando che solo in presenza del « corrispondente» informatico poteva porsi il problema del valore probatorio del documento. In tal modo il giudice del reclamo ha mostrato di escludere in radice lo stesso presupposto – esistenza di un documento informatico – rispetto al quale poteva assumere rilievo, in tesi, la questione della rappresentatività del testo della mail inviata alla società in via anonima. Da quanto ora osservato consegue che non appaiono pertinenti le deduzioni articolate dalla ricorrente incidentale in ordine alla riconducibilità della mail alla categoria dei cd. documenti informatici, alle questioni attinenti alla firma elettronica ecc., atteso che le stesse presuppongono l’esistenza, comunque, di un corrispondente informatico della mail, esistenza esclusa dalla sentenza impugnata con accertamento che, dando luogo all’ipotesi cd. della doppia conforme non risulta attaccabile, ai sensi dell’art. 348 ter, comma 4, cod. proc. civ., con il mezzo di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. al quale sono riconducibili le censure articolate.
8. E’ fondato il primo motivo di ricorso principale.
8.1. La Corte di merito ha ritenuto che le condotte di rilievo disciplinare di cui alla lettera di contestazione relativa al primo licenziamento risultate provate, erano inquadrabili nelle previsioni collettive non tipizzate relative alla trascuratezza nell’adempimento degli obblighi contrattuali, ovvero alla trasgressione dei regolamenti interni, per i quali il contratto collettivo prevedeva una sanzione conservativa ove non contestata la recidiva.
8.2. L’affermazione della riconducibilità delle condotte in oggetto all’ambito di quelle punite dal contratto collettivo solo con sanzione conservativa non è stata investita da censura; tantomeno è stato dedotto che tale affermazione era frutto della non corretta interpretazione della previsione pattizia; dalla illustrazione del motivo emerge, anzi, che la correttezza della interpretazione della norma contrattuale da parte della Corte di merito è il presupposto dal quale muove il ricorrente per contestare le conseguenze tratte in punto di tutela in concreto applicabile. A tanto consegue che il motivo in esame, per il profilo qui in rilievo, non può, propriamente, ritenersi «fondato» sulle previsioni collettive nel senso che la delibazione delle censure non richiede alcuna ulteriore verifica del significato da connettere alle stesse; quanto ora osservato comporta l’inconfigurabilità di un onere del ricorrente di produzione, ai sensi dell’art. 369, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., del testo integrale del contratto collettivo, e tale considerazione assorbe il rilievo della inammissibilità, ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ., del deposito successivo del detto testo da parte del ricorrente principale.
8.3. Tanto premesso la sentenza impugnata, nel riconoscere la tutela indennitaria forte, in luogo della reintegrazione, in presenza di condotte disciplinari punite dal contratto collettivo con sanzione conservativa è incorsa nel denunziato errore di diritto in quanto, come chiarito da questa Corte, in presenza di una condotta di rilievo disciplinare punita con sanzione conservativa la tutela prevista è di tipo reintegratorio (Cass. 12/10/2018 n. 25534).
9. All’accoglimento del motivo in esame, consegue l’ assorbimento del secondo motivo di ricorso principale e la cassazione della sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altro giudice che si indica nella Corte di appello di Roma in diversa composizione, alla quale è demandato anche il regolamento delle spese di lite del giudizio di legittimità.
10. Sussistono i presupposti per l’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228 nei confronti della società ricorrente incidentale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso incidentale e accoglie il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, alla quale demanda il regolamento delle spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
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