CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 gennaio 2022, n. 2631
Tributi – IRPEF – Accertamento sintetico del reddito – Redditometro – Possesso di beni indice di capacità contributiva – Reddito insufficiente – Presunzione legale di maggior reddito non dichiarato – Onere di prova contraria
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle Entrate notificava a R. O., relativamente agli anni d’imposta 2004 e 2005, due avvisi di accertamento, con i quali recuperava a tassazione maggior reddito determinato sinteticamente, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973.
Dagli accertamenti effettuati nei confronti del contribuente era emerso, con riferimento all’anno 2004, il possesso di un’automobile alimentata con benzina, acquistata nell’anno 2000 e posseduta per dodici mesi, nonché di una automobile alimentata con gasolio, acquistata nel 2000, venduta il 21 gennaio 2004, e posseduta per un mese e di altra automobile, alimentata a gasolio, acquistata il 12 febbraio 2004 e posseduta per undici mesi. Per l’annualità successiva risultava il possesso di due automobili, di cui la prima immatricolata nel 2000 e posseduta per 12 mesi, mentre la seconda acquistata il 12 febbraio 2004 e posseduta per dodici mesi. In relazione ad entrambe le annualità di riferimento, era stato pure accertato che il contribuente era proprietario di un immobile di 195 mq, quale prima casa, acquistato nel 2000 al prezzo di lire 200.000.000 e per la quale era stato acceso un mutuo di lire 460.000.000, garantito da ipoteca sull’immobile stesso.
2. Impugnati gli atti impositivi, l’adita Commissione tributaria provinciale di Cremona, previa riunione dei ricorsi, accoglieva le impugnazioni, ritenendo provato che l’O. avesse usufruito, per far fronte alle necessità economiche della famiglia, di frequenti elargizioni di denaro provenienti da sua madre e dalla madre della compagna. Veniva, altresì, rilevato, che la convivente aveva percepito, in qualità di infermiera professionale, dal 2000 fino al 2008, redditi netti complessivi di oltre 180.000,00 euro, sebbene negli anni in contestazione non avesse percepito redditi in ragione del congedo di maternità.
3. Spiegato appello dall’Amministrazione, la Commissione tributaria regionale lo accoglieva sul presupposto che il contribuente non avesse presentato la dichiarazione dei redditi per gli anni 2004 e 2005, ma solo quella relativa all’anno d’imposta 2008. I giudici di appello ritenevano che la documentazione bancaria e la copia delle dichiarazioni scritte della madre dell’O. e della madre della sua compagna fossero carenti dei requisiti di certezza e comunque inidonee a provare la contribuzione dei familiari alle spese familiari. Ritenevano, infine, irrilevante che la convivente dell’O. avesse percepito retribuzioni, pur rilevanti, ma in anni anteriori rispetto a quelli oggetto di contestazione, non essendo stato provato alcun accumulo di pregresse disponibilità finanziarie, concludendo che gli elementi menzionati provavano che le disponibilità del contribuente fossero notevolmente superiori a quanto dallo stesso asserito.
4. Avverso la suddetta decisione ha proposto ricorso per cassazione R. O., affidandosi a tre motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate mediante controricorso.
5. In prossimità dell’adunanza camerale del 25 febbraio 2019 il contribuente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1. cod. proc. civ. con la quale ha formulato istanza di sospensione del processo, dichiarando di volersi avvalere delle disposizioni di cui all’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018, e il Collegio ha accolto l’istanza, rinviando la causa a nuovo ruolo.
Ragioni della decisione
1. Preliminarmente, va rilevato che il contribuente non ha coltivato la definizione agevolata di cui all’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018 alla quale aveva dichiarato di volere aderire.
2. Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce la «Violazione o falsa applicazione dell’art. 38, quarto comma, d.P.R. n. 600/1973, nel testo vigente ratione temporis, anche in relazione agli artt. 3 e 4 del d.m. 10 settembre 1992 e ai limiti soggettivi della capacità contributiva guarentigiata dall’art. 53 Cost.».
Premettendo che l’Ente impositore ha attivato l’accertamento inserendo A. G., al quale non era legato da vincolo matrimoniale, nel programma controlli, il ricorrente evidenzia che nel reddito sinteticamente accertato sono stati considerati, non solo ai fini delle spese gestionali, ma anche sotto il profilo degli incrementi patrimoniali, sia l’intera proprietà dell’immobile sito in via C.C., benché da lui acquistato in proprietà al 50 per cento (e per l’altro 50 per cento da A.G.), sia l’autovettura Mercedes, di esclusiva proprietà della G., in violazione del principio della capacità contributiva sancito dall’art. 53 della Costituzione.
3. Con il secondo motivo deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 38, commi quarto, quinto e sesto del d.P.R. n. 600 del 1973, nella formulazione vigente ratione temporis.
Richiamando la giurisprudenza di questa Corte secondo cui in caso di accertamento sintetico è riconosciuta al contribuente la possibilità di fornire giustificazione della provvista necessaria per l’acquisizione patrimoniale e per il sostenimento delle spese occorrenti per l’incremento patrimoniale acquisito, il contribuente evidenzia che aveva allegato e dimostrato, mediante i documenti prodotti, che: a) F. M. e M.P. L., madri rispettivamente del contribuente e di A. G., avevano personalmente garantito con fideiussione il mutuo ipotecario stipulato per l’acquisto dell’immobile di via C.C.; b) l’acquisto dell’autovettura da parte di A. G. era avvenuta mediante due finanziamenti, di cui uno erogato con la fideiussione rilasciata da L. M.P., e con l’ulteriore impiego di euro 5.000,00 ottenuti dalla vendita dell’auto usata Clio ceduta alla ditta M. s.r.l., nonché con l’utilizzo della residua disponibilità di conto corrente nel quale era confluito il TFR percepito dalla stessa G. nel corso del 2003 e le liberalità che M.P. L. e F. M. avevano elargito; c) A. G. aveva lavorato dall’ 11 gennaio 2000 al 20 gennaio 2001 come infermiera professionale con uno stipendio mensile medio di lire 2.180.000, poi era stata assunta dal 6 febbraio 2001 al 5 marzo 2003 con uno stipendio mensile di euro 1.059,00, interrompendo l’attività solo per il periodo di maternità, ed aveva successivamente ripreso l’attività conseguendo nel 2006 un reddito di euro 13.379,00, lievitato ad euro 54.280,00 nel 2008 ed a euro 52.855,00 nel 2008 ed era stata, infine, assunta alle dipendenze di un istituto ospedaliero con un reddito di euro 16.828,00. Sulla base di tali elementi, la Commissione provinciale aveva ritenuto che F. M. e M.P.L. avessero contribuito alle necessità economiche della famiglia con periodiche elargizioni in denaro, consentendo in tal modo al ricorrente di fare fronte agli impegni assunti per l’acquisto della casa, delle autovetture e per il mantenimento della famiglia, mentre i giudici di secondo grado non avevano dato rilevanza a tali circostanze di fatto.
4. Con il terzo motivo, censurando la sentenza per omessa o insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., il ricorrente ribadisce che le circostanze di fatto richiamate nel precedente motivo di ricorso non sono state adeguatamente prese in considerazione ai fini della decisione, tanto che la C.T.R. è addivenuta ad una ricostruzione del fatto non corretta e come tale sindacabile per omessa o insufficiente motivazione.
5. I motivi, strettamente connessi perché tutti volti a contestare la ricostruzione della situazione patrimoniale del contribuente operata dai giudici di secondo grado, possono essere scrutinati unitariamente e sono infondati.
5.1. Occorre rammentare, in linea generale, che l’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la legge n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (con riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori (Cass., sez. 5, 7/03/2014, n. 5365), o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass., sez. 5, 24/10/2005, n. 20588; Cass., sez. 5, 19/04/2013, n. 9539; Cass., sez. 5, 7/03/2014, n. 5365; Cass., sez. 6-5, 10/08/2016, n. 16912; Cass., sez. 6-5, 1/09/2016, n. 17487; Cass., sez. 5, 20/01/2017, n. 1510).
5.2. Nell’intento di delimitare i confini della prova contraria a carico del contribuente, a fronte di un accertamento induttivo sintetico ex art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973 (a norma del quale l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta), questa Corte ha avuto modo di chiarire (a partire da Cass., sez. 5, 18/04/2014, n. 8995 richiamata dalla successiva Cass., sez. 5, 26/11/2014, n. 25104) che la norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della «durata» del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentite la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati (in senso conforme si sono pronunciate Cass., sez. 5, 20/01/2017, n. 1510; Cass., sez. 6-5, 16/07/ 2015, n. 14885; Cass., sez. 6-5, 23/03/2018, n. 7389; Cass., sez. 6-5, 10/07/2018, n. 18097; ed ancora Cass., sez. 5, 30/07/2019, n. 20479; Cass., sez. 5, 4/08/2020, n. 16637).
5.3. In tale contesto questa Corte ha, pure, puntualmente messo in rilievo che «…qualora ….il contribuente deduca che la spesa sia il frutto di liberalità, ai sensi dell’art. 38, sesto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, la prova delle liberalità medesime deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, ai quali la motivazione della sentenza deve fare preciso riferimento» (Cass., sez. 5, 3/12/2010, n. 24597; Cass., sez. 6-5, 26/01/2016, n. 1332).
Si è, altresì, spiegato che la dimostrazione della semplice esistenza del reddito riferibile al familiare convivente, se è rivelatrice di una astratta maggiore capacità contributiva familiare, non è di per se stessa induttiva del fatto che detto maggiore reddito sia stato impiegato proprio per sopperire alle esigenze di uno dei componenti del nucleo, sul quale ultimo incombe l’onere di contrastare il risultato derivante dall’applicazione di detti indici nei suoi confronti soltanto con la prova documentale.
5.4. Peraltro, nel caso di acquisto di un immobile mediante un mutuo di importo pari al prezzo di acquisto, per questa Corte, in tema di accertamento cd. sintetico, la prova contraria a carico del contribuente richiesta dall’art. 38, sesto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, può essere assolta mediante la produzione del contratto di mutuo, idoneo a dimostrare la provenienza non reddituale delle somme utilizzate per l’acquisto del bene (Cass., 6-5, 3/12/2018, n. 31124).
Tuttavia, qualora l’Ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca e dimostri che tale spesa sia giustificata dall’accensione di un mutuo ultrannuale, il mutuo medesimo non esclude ma diluisce la capacità contributiva; ne consegue che, mentre va detratto il capitale mutuato delle spese per investimenti patrimoniali poste a base dell’accertamento sintetico, vanno aggiunti, per ogni annualità, al reddito accertato i ratei del mutuo maturati e versati (Cass., sez. 5, 20/07/2018, n. 19371; Cass., sez. 5, 24/02/2017, n. 4797; Cass., sez. 6-5, 3/12/2018, n. 31124; Cass., sez. 5, 17/07/2019, n. 19192).
6. Tanto premesso, la regula iuris applicata dal giudice d’appello nel caso concreto risulta rispettosa del quadro normativo sopra richiamato e dell’orientamento giurisprudenziale di questa Corte, dovendosi escludere che, affermando la piena legittimità dell’accertamento sintetico fondato sulla presunzione di maggior reddito derivante non solo dalle spese per incrementi patrimoniali, ma anche dalle spese di sostenimento, esso sia incorso nelle violazioni delle norme e nel vizio di motivazione denunciati.
Rettamente la C.T.R. ha ritenuto insufficiente il riferimento al godimento da parte del nucleo familiare del contribuente di presunte elargizioni provenienti dalla madre e dalla madre della convivente, apparendo tale circostanza generica e non supportata da precisi riscontri documentali. Sul punto, infatti, i giudici regionali hanno ben evidenziato che le copie delle dichiarazioni scritte sia della madre dell’O., che di quella della compagna del medesimo non provano che le stesse abbiano contribuito mediante versamenti periodici destinati al sostentamento della famiglia del contribuente, in quanto la documentazione bancaria e la copia delle dichiarazioni prodotte risultano «carenti dei requisiti di certezza e di riferibilità alla contribuzione al sostentamento della famiglia del contribuente». Con accertamento di fatto non scalfito dalle generiche deduzioni difensive dell’odierno ricorrente, hanno altresì rilevato che neppure è stato adeguatamente provato l’asserito contributo della convivente dell’O. alle spese di mantenimento, considerato che la convivente aveva percepito retribuzioni in anni antecedenti a quelli in contestazione, né aveva dimostrato, mediante idonea documentazione, di avere accumulato disponibilità finanziarie pregresse.
Inoltre, i giudici di merito, pur dando atto in motivazione che l’immobile è stato acquistato nell’anno 2000 sia dal contribuente che dalla convivente (e, quindi, nella misura del 50 per cento ciascuno) e che gli stessi hanno fatto ricorso ad un mutuo bancario, garantito con fideiussione dalle rispettive madri, hanno pure accertato che le relative rate di mutuo sono state sopportate dal contribuente negli anni 2004 e 2005, risultando in quegli anni la convivente priva di reddito.
Le argomentazioni poste dai giudici di merito a sostegno del decisum fanno corretta applicazione del principio per cui, in tema di accertamento dei redditi con metodo sintetico, gli indici presuntivi di cui al d.m. 10 settembre 1992 possono ritenersi superati soltanto se il contribuente dimostra che per lo specifico bene o servizio «sopporta» solo in parte le spese, dovendosi attribuire valenza, atteso il pregnante significato del verbo «sopportare», non alla situazione formale del pagamento, bensì all’emergere della prova concreta («se il contribuente dimostra») della «sopportazione» da parte di terzi delle spese in questione, dimostrando la provenienza delle somme utilizzate per il pagamento (cfr. Cass., sez. 5, 20/05/2011, n. 11213; Cass., sez. 5, 19/10/2016, n. 21143).
E ciò in applicazione dell’ulteriore principio più volte affermato in tema di accertamento dei redditi, che deve essere ribadito, secondo cui gli elementi indicativi di capacità contributiva costituiti, tra gli altri, dalla disponibilità di autoveicoli, nonché di residenze principali o secondari, costituiscono una presunzione di capacità contributiva da qualificare «legale», ai sensi dell’art. 2728 cod. civ., perché è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità la esistenza di una capacità contributiva, senza che il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti dall’ufficio, abbia il potere di togliere ad essi la valenza presuntiva che il legislatore ha connesso alla disponibilità dei beni, potendo il giudice del merito solo valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale, e, quindi, non imponibile, delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norme, indispensabile per superare la predetta presunzione (Cass., sez. 5, 23/07/2007, n. 16284; Cass., sez. 6-5, 1/09/2016, n. 17487).
Alla stregua delle considerazioni svolte, la sentenza impugnata si sottrae alle censure ad essa rivolte.
7. Conclusivamente, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.