CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 luglio 2020, n. 16147

Tributi – Obbligazioni tributarie della società consortile – Estinzione senza distribuzione del patrimonio ai soci in sede di liquidazione – Successione dei soci nelle obbligazioni tributarie – Esclusione

Fatti di causa

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 6 dicembre 2016, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva annullato la cartella di pagamento emessa nei confronti della B.C. s.r.l., della R. s.r.l., della R. s.r.l. e del comune di Circello, tutti quali soci del Consorzio M.C. s.cons. a r.l., in relazione a debiti erariali di quest’ultima, accertati giudizialmente, per gli anni 1998 e 1999.

2. Il giudice di appello, confermando la decisione della Commissione provinciale, ha respinto il gravame erariale osservando che nel caso in esame veniva in rilievo un’obbligazione assunta dal Consorzio in nome proprio e non per conto dei singoli consorziati, per cui non poteva affermarsi la responsabilità sussidiaria dei contribuenti, invocata in relazione alla loro qualità di soci.

Ha, quindi, evidenziato che questi ultimi non avevano ricevuto alcuna somma all’esito della liquidazione della (estinta) società consortile, per cui il loro patrimonio non poteva essere aggredito dai creditori sociali del Consorzio.

3. Il ricorso è affidato a tre motivi.

4. Resistono, con unico controricorso, la B. Costruzioni s.r.l., la R. s.r.l., D.R., P.P. e P.M., questi ultimi tre quali ex soci della R. s.r.l., e il comune di Circello.

5. La Equitalia Sud s.p.a. non spiega, invece, alcuna attività difensiva.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia denuncia la violazione degli artt. 1192, 1705, 2615 e 2615 ter c.c., per aver la sentenza impugnata escluso la responsabilità degli enti contribuenti per le obbligazioni contratte dal Consorzio estinto.

1.1. Il motivo è infondato.

Il regime della responsabilità verso i terzi per le obbligazioni assunte dal consorzio con attività esterna in nome proprio è disciplinato, in via generale, dall’art. 2615 c.c., che sancisce il principio della responsabilità esclusiva del fondo consortile (primo comma), a meno che si tratti di obbligazioni assunte per conto dei singoli consorziali, in relazione alle quali opera la responsabilità di questi ultimi, in solido con quella del fondo consortile (secondo comma).

Laddove, poi, il consorzio assuma, come nel caso in esame, la veste societaria, ai sensi dell’art. 2615-ter c.c., la responsabilità per le obbligazioni assunte segue la disciplina tipica della forma societaria adottata.

Conseguentemente, alla società consortile a responsabilità limitata trova applicazione la regola dettata dall’art. 2472, primo comma, c.c., in virtù della quale nella società a responsabilità limitata per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio.

Infatti, se non può escludersi che a determinati effetti l’inserimento della causa consortile in una certa struttura societaria possa comportare un’implicita deroga ad alcune disposizioni altrimenti applicabili a quel particolare tipo di società, quando l’applicazione di quelle disposizioni si rivelasse incompatibile con aspetti essenziali del fenomeno consortile, non si può ammettere che ne vengano stravolti i connotati fondamentali del tipo societario prescelto, al punto da renderlo non più riconoscibile rispetto al corrispondente modello legale (così, Cass. 27 novembre 2003, n. 18113; in tal senso, successivamente, Cass. 23 marzo 2017, n. 7473; Cass. 19 aprile 2016, n. 7734).

E tra questi connotati fondamentali, per quel che in particolare riguarda la società a responsabilità limitata, incontestabilmente è compresa la regola che l’art. 2472, primo comma, c.c. ricollega alla nozione stessa di tale società, ossia la regola per la quale è unicamente la società a rispondere col proprio patrimonio delle obbligazioni sociali.

E questa, dunque, la disposizione destinata ad applicarsi ai consorzi costituiti in forma di società a responsabilità limitata, ai sensi dell’art. 2615-ter c.c., e non la diversa disciplina dettata per i consorzi in genere del precedente art. 2615 c.c.

1.2. Non pertinente è il richiamo operato dalla ricorrente al precedente rappresentato dalla sentenza di questa Corte n. 3664 del 21 febbraio 2006, in quanto relativa ad una fattispecie di responsabilità dei singoli membri di un consorzio privo di personalità giuridica e, dunque, non interessante il tema del coordinamento delle diverse discipline che qui interagiscono (quella di cui all’art. 2615 c.c. e quella propria del tipo della società a responsabilità limitata).

1.3. Sotto altro aspetto si evidenzia che la distinta soggettività fiscale e l’autonoma responsabilità delle obbligazioni tributarie connesse alle operazioni poste in essere da ciascuna consorziata, nonché dalla società consortile, valutate unitamente alla configurabilità di una coesistenza della causa mutualistica con lo scopo lucrativo, comporta la necessità di distinguere tra le operazioni poste in essere dalla società consortile in esecuzione del patto mutualistico e quelle costituenti esercizio di un’autonoma attività commerciale della società consortile (cfr. Cass., Sez. Un., 14 giugno 2016, n. 12190).

Il riconoscimento della coesistenza della causa mutualistica con lo scopo lucrativo, con conseguente applicazione alle società consortili del regime di responsabilità previsto per le società di capitali, postula un accertamento, condotto alla luce dei patti consortili e dell’attività in concreto esercitata, del fatto che il ricorso all’organizzazione consortile non sia finalizzato unicamente a conseguire un indebito risparmio fiscale, intento ben presumibile laddove lo scopo mutualistico risulti di carattere del tutto residuale.

1.4. Orbene, la Commissione regionale, nell’escludere la responsabilità del contribuente in ragione del fatto che le obbligazioni in oggetto derivavano dallo svolgimento di attività da parte del Consorzio costituita nella forma di una società di capitali non posta in essere per conto dei singoli consorziati, si sottrae alla censura prospettata, non venendo dedotto l’abusivo ricorso allo strumento societario.

1.5. Ciò posto, si osserva che, dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. n. 6 del 2003, la cancellazione dal registro di una società, pur provocando l’estinzione dell’ente, non determina al tempo stesso l’estinzione dei debiti insoddisfatti che la società aveva nei riguardi dei terzi, ma dà vita ad un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale l’obbligazione della società si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali (cfr. Cass., Sez. Un., 12 marzo 2013, n. 6070).

Da ciò consegue che, nel caso in esame, la natura limitata della responsabilità dei soci per le obbligazioni tributarie assunte dal Consorzio estinto determina l’operatività del limite rappresentato dall’entità delle somme ricevute in sede di liquidazione.

Pertanto, anche sotto tale profilo, la decisione della Commissione regionale che ha escluso la responsabilità dei contribuenti in considerazione della mancata distribuzione in loro favore di attività all’esito della liquidazione del Consorzio estinto, ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto.

2. Con il secondo motivo l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., per aver il giudice di appello posto a fondamento della sua decisione la circostanza dell’esistenza di analoghi giudizi, proposti da altri ex soci del consorzio estinto, conclusisi in senso favorevole a questi ultimi.

3. Con l’ultimo motivo di ricorso si duole, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., della violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c., per non aver la Commissione regionale disposto la sospensione del processo in attesa dell’esito di tali altri diversi giudizi.

3.1. I due motivi sono inammissibili sia perché non colgono la ratio decidendi, atteso che l’esistenza dei diversi giudizi instaurati da altri ex soci per la medesima pretesa tributaria è stata menzionata dal giudice di appello, ma non è stata elevata a fondamento autonomo della decisione, sia perché, in ogni caso, la resistenza della ratio decidendi costituita dalla assenza di una responsabilità sussidiaria e dalla limitazione della responsabilità alle somme ricevute all’esito della liquidazione rende irrilevante l’esame di motivi di ricorso con cui si aggrediscono una diversa ratio decidendi (cfr., sul punto, Cass., sez. un., 29 marzo 2013, n. 7931; vedi anche, Cass., ord., 18 aprile 2017, n. 9752; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108).

4. Pertanto, il ricorso non può essere accolto.

5. Le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 10.000,00 (diecimila), oltre rimborso forfettario nella misura del 15% e accessori.