CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 luglio 2020, n. 16167
Tributi – Reddito d’impresa – Costi deducibili – Perdite su crediti derivanti da inesigibilità – Condizioni
Fatti di causa
1. La società R. s.p.a. propose ricorso avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Benevento, aveva rettificato la dichiarazione dei redditi della società, recuperando a tassazione, sia ai fini Ires che Irap, per l’anno 2005, complessivi euro 1.787.494,00.
2. L’avviso di accertamento seguiva all’accesso mirato effettuato nei locali della società, all’esito del quale veniva acquisita la documentazione contabile relativa all’anno 2005 e riscontrato, dall’esame della stessa, che la contribuente aveva portato in deduzione “perdite su crediti derivanti da inesigibilità”, per una somma complessiva di euro 1.796.475,94, somma rappresentata in bilancio nella voce “sopravvenienze passive”. I crediti (le cui perdite erano state contabilizzate a titolo di sopravvenienze passive) avevano titolo nel regime di convenzione tra la società e l’Azienda sanitaria locale Benevento 1, convenzione per la quale la società R. s.p.a. aveva maturato, per gli anni 1999/2000, crediti per prestazioni rese ai pazienti, per euro 4.339.229,00. L’Agenzia delle entrate, contestò la detrazione dei costi per euro 1.796.475,94, ritenendola indebita, sul rilievo che, tali costi – formati negli anni 1999/2010 per effetto di prestazioni rese ai pazienti in eccedenza rispetto alla capacità operativa massima dei centri accreditati ed in relazione ai quali la ASL di Benevento 1 aveva richiesto la restituzione con lettera di messa in mora del 20.12.2005 – non realizzavano una “perdita definitiva su crediti” aventi i requisiti di certezza e precisione «ai fini della relativa deducibilità, della norma fiscale, non potendosi escludere l’eventualità che il debitore riesca in tutto o in parte ad assolvere le proprie obbligazione» (v. atto di accertamento riportato nel corpo del ricorso, pag. 3).
3. La Commissione tributaria provinciale di Benevento accoglieva il ricorso con la sentenza n. 45/03/12, annullando l’avviso, ritenendo la detraibilità delle perdite su crediti perché «la certezza dell’esistenza delle sopravvenienze passive e loro precisione è individuabile sia nella consapevolezza del superamento della capacità operativa massima (accettazione da parte della società dei rilievi negoziali e degli analitici conteggi formulati che potrebbero anche non essere impugnati per non compromettere eventuali futuri rapporti), sia dalla costituzione in mora effettuata dall’AsI con atto stragiudiziale in cui vengono analiticamente specificati i rilievi ed i conteggi che ha generato la richiesta di pagamento».
4. L’Agenzia delle entrate proponeva appello avverso tale sentenza innanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania, che, con la sentenza n. 45/17/2013, depositata il 01/03/2013 e notificata il 22.03.2013, accoglieva l’appello riformando integralmente la sentenza di primo grado. Con tale decisione il giudice adito, per quanto d’interesse nel presente giudizio, escludeva che le perdite fossero definitive, e quindi, detraibili, confermando l’accertamento dell’Ufficio.
5. La società R. s.p.a. ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a cinque motivi.
6. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
7. La società ricorrente ha presentato memoria/ex art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Sia il primo, che il secondo motivo di ricorso riguardano la medesima censura di nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (ex art. 112 cod. proc. civ.), là dove la Commissione regionale avrebbe omesso di pronunciarsi sull’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento per mancata predisposizione e conseguente allegazione di un processo verbale di constatazione conseguente all’accesso mirato (primo motivo), nonché per aver esaminato il motivo di appello dell’Agenzia dell’entrate, nonostante quest’ultimo sottendesse una diversa qualificazione giuridica – riconducibile all’art. 101, comma 4, d.P.R. 22/12/1986 n° 917 (t.u.i.r.) – rispetto a quella fattuale e giuridica mossa con l’avviso di accertamento (art. 101, comma 5, t.u.i.r.), senza considerare che non si trattava di credito inesigibile, ma di un debito nuovo che si ricollegava, ex art. 2033 cod. civ., a somme indebitamente incassate dalla R. s.p.a., con conseguente deducibilità.
1.2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo la società ricorrente localizzato e trascritto gli atti processuali (ricorso introduttivo e appello) nella parte in cui contengono tale eccezione; peraltro, benché si denuncia un error in procedendo per il quale vi sarebbe l’obbligo di accertamento d’ufficio del fatto processuale, nel ricorso introduttivo di primo grado (v. righi dal 4° al 7°, come localizzati nel controricorso dell’Agenzia delle entrate) è la stessa società ricorrente a riferire dell’esistenza del p.v.c. debitamente sottoscritto.
1.3. Il secondo motivo risulta anch’esso inammissibile sia perché non coglie la ratio della decisione impugnata, sia perché anche l’eventuale sussunzione, da parte della Commissione regionale, in fattispecie normativa diversa da quella prospettata dall’Ufficio in sede di accertamento, non costituisce error in procedendo.
1.4. Ed invero, la ratio della sentenza impugnata si snoda tutta sull’applicabilità, nella fattispecie concreta, della sopravvenienza passiva e della sua deducibilità ai sensi del combinato disposto dell’art. 109, comma 1 e dell’art. 101, comma 4, del t.u.i.r., così come immediatamente chiarito dai secondi giudici nelle premesse della parte motiva (v. sentenza pag. 2, parag. 2). Né può farsi una questione di limite del potere di accertamento che spetta al giudice di merito, considerato che il giudice tributario non incontra alcun limite, ex art. 112 cod. proc. civ., nella qualificazione giuridica della fattispecie se non quello dell’immutazione della fattispecie concreta sottoposta al suo esame.
1.5. E’ stato abbondantemente chiarito da questa Corte che il principio secondo cui le ragioni poste a base dell’atto impositivo segnano i confini del processo tributario, il cui carattere impugnatorio comporta che l’ufficio finanziario non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse da quelle fatte valere con l’atto impugnato, non esclude il potere del giudice di qualificare autonomamente la fattispecie a prescindere dalle allegazioni delle parti in causa, non potendo ritenersi che i poteri del giudice , tributario siano più limitati di quelli esercitagli in qualunque processo d’impugnazione di atti autoritativi, quale quello amministrativo di legittimità (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 7393 del 11/05/2012, Rv. 622622-01).
1.6. In altri termini, nel processo tributario, così come in quello civile – non sussistendo sul punto preclusione di compatibilità – l’applicazione del principio processuale del “iura novit curia”, mantiene il potere-dovere del giudice di dare una diversa qualificazione giuridica ai fatti in lite nonché all’azione esercitata in causa, e ciò a prescindere da ogni attività delle parti e dalla prospettazione giuridica che ne abbiano dato, con il solo limite dell’immutazione della fattispecie da cui consegue la violazione del principio di correlazione tre il chiesto ed il pronunciato (cfr. Sez. 5, Ordinanza n. 11629 del 11/05/2017, Rv. 644105-01).
2. Con il terzo motivo, la società ricorrente censura la decisione sotto il profilo della violazione e falsa applicazione, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 109 e 101 del d.P.R. n. 917 del 1986, nella parte in cui ha ritenuto illegittima l’iscrizione quale sopravvenienza passiva della somma richiesta in restituzione dalla ASL Benevento 1.
2.1. Con il quarto, denuncia il vizio d’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nella parte in cui ha ritenuto che la sopravvenienza passiva difettasse dei requisiti di certezza ed oggettiva determinabilità nell’ammontare prescritti dall’art. 109, t.u.i.r.
2.2. Con quinto, denuncia la violazione delle regole del regime probatorio (art. 2697 cod. civ.), nella parte in cui la Commissione ha ritenuto che incombesse sulla società contribuente l’onere della prova della certezza e della oggettiva determinabilità del componente negativo, attraverso la produzione di uno specifico titolo giudiziale o esecutivo.
2.3. Tali motivi possono essere trattati congiuntamente per connessione, logica e giuridica. Essi vanno rigettati per le ragioni qui di seguito esposte.
3. Come sopra esposto, correttamente il giudice di secondo grado ha risolto la fattispecie al suo esame applicando il combinato disposto degli art. 101, comma 4, e 109, comma l, del d.P.R. n. 917 del 1986.
3.1. L’art. 101, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986 prevede che: «si considerano sopravvenienze passive il mancato conseguimento di ricavi o altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi il sostenimento di spese, perdite od oneri a fronte di ricavi o altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi e la sopravvenuta insussistenza di attività iscritte in bilancio in precedenti esercizi».
Il primo comma dell’art. 109 del t.u.i.r. stabilisce che: «I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme della presente Sezione non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni».
Come affermato da questa Corte, con condivisi argomenti, le regole sull’imputazione temporale dei componenti del reddito, sono tassative ed inderogabili, non essendo consentito al contribuente di ascrivere a proprio piacimento un componente positivo o negativo del reddito ad un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come “esercizio di competenza” (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 26665 del 18/12/2009, Rv. 610993-01).
E’ stato considerato, con argomenti applicabili anche alle sopravvenienze passive, che l’art. 101, comma 4, t.u.i.r. (di contenuto identico al previgente art. 66, comma 2, tranne che per il riferimento all’art. 87 di nuova introduzione) che prevede la deduzione delle perdite su crediti, quali componenti negativi del reddito d’impresa, se risultano da elementi certi e precisi e, in ogni caso, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali, «va interpretato nel senso che l’anno di competenza per operare la deduzione stessa deve coincidere con quello in cui si acquista certezza che il credito non può più essere soddisfatto, perché in quel momento si materializzano gli elementi “certi e precisi” della sua irrecuperabilità. Diversamente, si rimetterebbe all’arbitrio del contribuente la scelta del periodo d’imposta più vantaggioso per operare la deduzione, snaturando la regola espressa dal principio di competenza, che rappresenta invece criterio inderogabile ed oggettivo per determinare il reddito d’impresa» (così, Sez. 5, Sentenza n. 27296 del 2014).
E’ stato soggiunto che «la prova della sussistenza degli elementi suddetti non impone né la dimostrazione che il creditore si sia attivato per esigere il suo credito, né che sia intervenuta sentenza di fallimento del debitore, dovendo escludersi altresì che i patti inerenti le modalità di adempimento dell’obbligazione possano incidere circa il criterio di competenza» (cfr., Sez. 5, Ordinanza n. 18237 del 2012, richiamata, in motivazione, da Sez. 5, Sentenza n. 27296 del 2014).
Correttamente, dunque, hanno argomentato i secondi giudici nella parte in cui hanno considerato che le sopravvenienze passive, iscrivibili a bilancio e deducibili, vanno valutate alla stregua di due elementi – e cioè, da un lato, il criterio di competenza (per il quale non è necessario un esborso di cassa ma è sufficiente il titolo giuridico della componente negativa) e, dall’altro, la certezza e la sicurezza della posta – e hanno, poi, escluso la sussistenza di entrambi gli elementi poiché l’iscrizione della posta (esubero degli acconti di prestazioni sanitarie per superamento della capacità operativa) non è ancorata a dati “certi” e “precisi” in quanto fatta per somme richieste ma non per somme “certe” (v. sentenza impugnata, pagg. 3 e 4). Hanno, infatti, affermato che la consapevolezza della debenza (ritenuta dai primi giudici elemento qualificante la sopravvenienza), in quanto elemento puramente psicologico, fosse inidonea a dare certezza al credito, così come pure l’atto di costituzione dal parte della ASL, fosse inidoneo a configurare il titolo giuridico «a far assumere alla società la veste di soggetto tenuto in maniera ineludibile al pagamento»; hanno escluso, altresì, la natura di debito (e non di credito) di dette poste, perché in ogni caso «continuerebbe a mancare il titolo certo sulla base della quale il debitore sarebbe astretto in maniera cogente alla restituzione delle somme, quale potrebbe essere ad esempio un atto esecutivo del creditore o un espresso atto di ricognizione del debito da parte dell’obbligato ex art. 1988 cod. civ.» (v. sentenza impugnata, pag. 4).
A fronte di tali argomentazioni, la società ricorrente non ha mai allegato di aver dato corso nell’anno d’imposta 2005 (anno in cui si è realizzata la messa in mora) alla richiesta della ASL di restituzione delle somme indebitamente percepite, confermando, così, l’insussistenza di una perdita: la mera richiesta di restituzione (non eseguita) non integra alcuna perdita registrabile a bilancio quale sopravvenienza passiva a norma dell’art. 101, comma 4, d.P.R. n. 917 del 1986 (cfr., in termini, Sez. 5, Sentenza n. 1211 del 2020, non massimata).
In conclusione, il ricorso deve essere integralmente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza della ricorrente società e vengono liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Agenzia dell’entrate che liquida in complessivi euro 12.000,00, oltre spese prenotate a debito.
La società ricorrente è tenuta, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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