CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 luglio 2020, n. 16170
Accertamento – Cessione credito – Omessa contabilizzazione – Assenza di prova contraria
Fatti di causa
1. Con la sentenza n. 573/05/12 del 15/10/2012, la Commissione tributaria regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno (di seguito CTR) accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 359/04/11 della Commissione tributaria provinciale di Avellino (di seguito CTP), che aveva, a sua volta, accolto il ricorso di G. s.r.l. – G.F.A. (di seguito G.) nei confronti dell’avviso di accertamento per IRES, IRAP ed IVA relative all’anno d’imposta 2007.
1.1. Come si evince dalla sentenza impugnata la rettifica riguardava, per quanto ancora interessa in questa sede, «l’omessa contabilizzazione della somma di euro 275.329,12, derivante dalla cessione di credito, sottoscritta tra il sig. S. G. (in qualità di cedente) e la G. srl (in qualità di cessionario)», riguardante la metà dell’importo nominale, oltre accessori, riconosciuto al cedente dalla sentenza n. 31709 del 2003 del Tribunale di Roma.
1.2. La CTR, preso atto della mancata costituzione in appello di G. e del suo amministratore G. S., motivava l’accoglimento dell’appello dell’Agenzia delle entrate osservando che le somme riprese a tassazione dovevano ritenersi imponibili in assenza di prova dell’assunto della società contribuente e, cioè, che le stesse riguardavano un credito futuro da risarcimento danni, incerto nel quantum e non ancora esigibile.
2. G. impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione affidato a sei motivi, illustrati da memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
3. L’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso G. contesta la nullità della sentenza e del procedimento, con conseguente formazione del giudicato con riferimento alla sentenza della CTP, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in quanto la sentenza impugnata non avrebbe rilevato la tardività e, quindi, l’inammissibilità dell’appello, notificato oltre il termine lungo semestrale.
2. Con il secondo motivo di ricorso si contesta l’inammissibilità e l’improcedibilità dell’appello in ragione della nullità della notificazione del ricorso, consegnato in copia unica a G. e a G.S..
3. I motivi, che possono essere trattati congiuntamente riguardando entrambi l’ammissibilità dell’appello, sono infondati.
3.1. Come si evince dall’esame del fascicolo di causa, consentito in ragione della natura del vizio denunciato, il ricorso in appello dell’Agenzia delle entrate è stato notificato a mezzo del servizio postale con raccomandata spedita in data 27/12/2011 e, quindi, nel rispetto del termine lungo semestrale calcolato dal deposito della sentenza della CTP, datata 12/05/2011, termine che scadeva il 28/12/2011, tenuto anche conto della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale.
3.1.1. Il primo motivo va, dunque, disatteso.
3.2. Sotto diverso profilo, «la notificazione dell’atto d’impugnazione eseguita presso il procuratore costituito per più parti, mediante consegna di una sola copia (o di un numero inferiore), è valida ed efficace sia nel processo ordinario che in quello tributario, in virtù della generale applicazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, alla luce del quale deve ritenersi che non solo in ordine alle notificazioni endoprocessuali, regolate dall’art. 170 cod. proc. civ., ma anche per quelle disciplinate dall’art. 330 primo comma, cod. proc. civ., il procuratore costituito non è un mero consegnatario dell’atto di impugnazione ma ne è il destinatario, analogamente a quanto si verifica in ordine alla notificazione della sentenza a fini della decorrenza del termine d’impugnazione “ex” art. 285 cod. proc. civ., in quanto investito dell’inderogabile obbligo di fornire, anche in virtù dello sviluppo degli strumenti tecnici di riproduzione degli atti, ai propri rappresentati tutte le informazioni relative allo svolgimento e all’esito del processo» (Cass. S.U. n. 29290 del 15/12/2008; Cass. n. 18034 del 06/08/2009; Cass. n. 6051 del 12/03/2010).
3.2.1. Ne consegue la validità ed efficacia dell’atto di appello e la conseguente infondatezza anche del secondo motivo.
4. Con il quarto motivo di ricorso, il cui esame riveste carattere pregiudiziale, si deduce l’inammissibilità dell’appello per la violazione e la falsa applicazione dell’art. 52 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., evidenziandosi la mancanza dell’autorizzazione all’appello del responsabile del servizio contenzioso della Direzione regionale delle entrate.
5. Il motivo è infondato.
5.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, «la disposizione di cui all’art. 52, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, secondo la quale gli uffici periferici del dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze e gli uffici del territorio devono essere previamente autorizzati alla proposizione dell’appello principale, rispettivamente, dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione generale delle entrate e dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione compartimentale del territorio, non è più applicabile una volta divenuta operativa – in forza del d.m. 28 dicembre 2000 del Ministero dell’economia – la disciplina recata dall’art. 57 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, che ha istituito le Agenzie fiscali, attribuendo ad esse la gestione della generalità delle funzioni in precedenza esercitate dai dipartimenti e dagli uffici del Ministero delle finanze, e trasferendo alle medesime i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze, spettando a ciascuna agenzia (nella specie, l’Agenzia delle Dogane) appellare le sentenze ad esse sfavorevoli delle commissioni tributarie provinciali» (così Cass. n. 10736 del 16/05/2014; conf. Cass. n. 22 del 04/01/2016; Cass. n. 28335 del 18/12/2013; Cass. n. 16430 del 27/07/2011; Cass. n. 10943 del 14/05/2007; Cass. n. 6809 del 31/03/2005; Cass. S.U. n. 604 del 14/01/2005).
5.2. Poiché non v’è ragione di discostarsi da tale orientamento, l’appello dell’Ufficio va senz’altro dichiarato ammissibile.
6. Con il terzo, il quinto e il sesto motivo di ricorso si contesta la violazione e la falsa applicazione di numerose disposizioni di legge e della Costituzione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
6.1. Nel contesto di una trattazione a tratti confusa e ripetitiva, può peraltro ritenersi che la ricorrente si dolga (in ordine logico): a) della carenza di motivazione del provvedimento impositivo e della carenza dei presupposti per l’accertamento, non fondato su valide presunzioni; b) della violazione del diritto di difesa conseguente alla semplice omessa risposta al questionario previsto dall’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con conseguente questione di costituzionalità della norma; c) della esistenza di un giudicato relativo all’accertamento in fatto per il quale la cessione non avrebbe ad oggetto un’acquisizione o un incremento finanziario per l’anno 2007, ma un credito futuro; d) della violazione della regola di riparto dell’onere probatorio con riferimento all’idoneità della cessione tra S. e G. al trasferimento di un credito attuale e sostanziale, onere indebitamente addossato alla società contribuente; e) della mancanza di una convincente motivazione circa le ragioni in ordine alle quali la scrittura intervenuta tra S. e G. non sia stata intesa come cessione di credito futuro, anche in ragione della mancata considerazione delle missive con cui si comunicava l’avvenuto annullamento della cessione;
7. La censura sub a) (carenza di motivazione dell’atto impositivo e assenza dei presupposti per la sua emissione) è inammissibile.
7.1. Né la sentenza della CTP, per come trascritta in ricorso, né la sentenza della CTR si occupano in alcun modo della questione (di diritto) della sufficienza e della legittimità della motivazione dell’avviso di accertamento. La società contribuente non si è costituita in appello, sicché non ha riproposto le censure formulate in primo grado, con conseguente inammissibilità della loro riproposizione in cassazione (Cass. n. 12191 del 18/05/2018; Cass. n. 30444 del 19/12/2017; Cass. n. 24267 del 27/11/2015).
7.2. La censura sub b) (mancata risposta al questionario e conseguente violazione del diritto di difesa) è infondata.
7.3. A parte ogni questione sulla novità della censura, deve osservarsi che il rilievo della CTR, per il quale la società contribuente ha omesso di rispondere al questionario, non implica nessuna lesione del diritto di difesa, perché la sentenza impugnata si affretta a chiarire che G. «in sede di contenzioso non ha arrecato alcuna prova a suo favore attestante quanto asserito».
7.3.1. In buona sostanza, la CTR non fa derivare il rigetto della domanda dalla mancata risposta al questionario, ma dal mancato assolvimento dell’onere probatorio spettante sulla società contribuente nel corso del giudizio di merito.
7.4. La censura sub c) (giudicato interno sulla natura della cessione) è infondata.
7.5. L’esistenza di un giudicato interno circa la natura del contratto di cessione a G. del credito vantato da S. nei confronti dell’Amministrazione finanziaria va senz’altro esclusa, perché l’appello dell’Ufficio, per come trascritto nello stesso ricorso, ha sicuramente devoluto la questione alla CTR, evidenziando che la cessione avrebbe comportato un incremento finanziario, per come sostenuto nel processo verbale di constatazione e nel conseguente avviso di accertamento.
7.5.1. E la sentenza impugnata, nell’affermare che la società contribuente non ha assolto al proprio onere probatorio, fa esplicito riferimento al processo verbale di constatazione (pag. 43 del ricorso, nel contesto del quale è stato trascritto il p.v.c.), nel quale emerge l’esistenza di un credito di euro 275.329,12.
7.6. Complessivamente fondate, nei limiti di quanto subito si dirà, sono, invece, le censure sub d) (violazione delle regole sul riparto dell’onere probatorio) ed e) (difetto di motivazione con riguardo all’effettivo versamento del credito ceduto).
7.7. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, la legge – rispettivamente art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) ed art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 – prevede che le rettifiche possono essere fondate sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Spetta al giudice di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, la valutazione degli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e ss. e 2697, comma 2, cod. civ. (così, sostanzialmente, Cass. n. 14237 del 07/06/2017; Cass. n. 9784 del 23/04/2010).
7.8. Nel caso di specie, la sentenza impugnata si è limitata a ritenere la legittimità dell’accertamento dell’Ufficio in quanto conseguente all’omissione della dichiarazione dei redditi e fondato sulle emergenze del processo verbale di constatazione, con conseguente inversione dell’onere probatorio a carico del contribuente, onere che non sarebbe stato assolto.
7.9. Orbene, è vero che il processo verbale di constatazione fa riferimento all’esistenza di un credito di euro 275.329,12, così come evidenziato in precedenza; ma è altrettanto vero che detto processo verbale fa riferimento anche al contratto di cessione inter partes (allegato n. 3), che non è stato in alcun modo preso in considerazione dalla CTR.
7.10. Da tale atto, regolarmente trascritto in ricorso, sembra evincersi che il credito ceduto da S. a G. è un credito risarcitorío riconosciuto esistente da una sentenza del Tribunale di Roma, ma niente affatto quantificato, in quanto da liquidarsi in separato giudizio, e, dunque, non esigibile.
7.10.1. Orbene, la cessione di credito futuro è sicuramente valida, ma la sua efficacia è condizionata al venire in essere del credito (Cass. n. 31896 del 10/12/2018), sicché, ove l’atto di cessione per cui è causa sia in tal modo valutato dal giudice di merito, avrebbe rilevanza decisiva nel giudizio, in quanto idoneo ad inficiare la stessa fondatezza della ripresa, dovendosi escludere che la società contribuente possa essere onerata di provare il mancato versamento di un credito non ancora venuto ad esistenza.
7.11. In proposito, peraltro, non si può tenere conto della pretesa revoca della cessione operata da S. e G. con le missive del luglio 2008 (cfr. sesto motivo), non risultando la questione essere stata né dedotta né affrontata nei gradi di merito e risultando, pertanto, del tutto nuova.
7.12. La sentenza impugnata va, dunque, cassata per avere ritenuto legittimo l’accertamento impugnato senza fornire alcuna effettiva valutazione della cessione allegata al processo verbale di constatazione e, dunque, della legittimità delle presunzioni fornite dall’Ufficio a fondamento dell’atto impositivo, così limitandosi ad applicare pedissequamente la regola dell’inversione dell’onere probatorio.
8. In conclusione vanno accolti, nei limiti di cui in motivazione, i motivi di ricorso terzo, quinto e sesto, rigettati gli altri; la sentenza impugnata va cassata con riferimento ai motivi accolti e rinviata alla CTR della Campania, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il terzo, il quinto e il sesto motivo di ricorso, rigettati i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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