CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 maggio 2018, n. 13251
Licenziamento per giusta causa – Appropriazione di beni aziendali o di terzi – CCNL – Proporzionalità tra fatto e sanzione espulsiva
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 1285/2015, depositata il 20 ottobre 2015, la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Palermo aveva respinto la domanda di D.O. volta alla dichiarazione di illegittimità dei licenziamento per giusta causa allo stesso comunicato da GS S.p.A., con lettera del 21 gennaio 2014, per appropriazione e riutilizzo a proprio favore di buoni sconti emessi a favore di due clienti e già da questi presentati in pagamento alla cassa cui era stato addetto, rilevando a sostegno della propria decisione, e per quanto di interesse, l’assenza di condizioni esimenti della portata lesiva dell’illecito comportamento e la proporzionalità della sanzione espulsiva, avuto riguardo alle previsioni degli artt. 225 e 229 del contratto collettivo di settore e alle circostanze oggettive e soggettive della condotta addebitata.
2. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il lavoratore con unico motivo, cui la società ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo proposto il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ. con riferimento all’art. 18 I. n. 300/1970, per avere la Corte di appello errato nel non fare una corretta valutazione della unicità dell’episodio, della tenuità del valore della merce acquisita con il buono sconto e della carenza di graduazione delle sanzioni, avendo la società datrice di lavoro colpito con la più grave di esse un fatto di modesta rilevanza e così distorcendo il concetto di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della condotta contestata.
1.1. Il ricorrente deduce altresì l’insussistenza della grave violazione degli obblighi di servizio e dell’appropriazione nel luogo di lavoro di beni aziendali o di terzi, con richiamo agli artt. 220, 225 e 229 CCNL di settore.
2. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
3. Come più volte precisato da questa Corte, “il ricorso per cassazione richiede, da un lato, per ogni motivo di ricorso, la rubrica del motivo, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo – tra quelli espressamente previsti dall’art. 360 cod. proc. civ. – è proposto; dall’altro, esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza” (Cass. n. 18421/2009).
4. E’ stato inoltre ripetutamente affermato che “i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza non possono essere affidati a deduzioni generali e ad affermazioni apodittiche, con le quali la parte non prenda concreta posizione, articolando specifiche censure esaminabili dal giudice di legittimità sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito in relazione alla fattispecie decisa. Invero, il ricorrente – incidentale, come quello principale – ha l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del processo di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione condizionante il devolutum della sentenza impugnata, con la conseguenza che il requisito in esame non può ritenersi soddisfatto qualora il ricorso per cassazione (principale o incidentale) sia basato sul mero richiamo dei motivi di appello, una tale modalità di formulazione dei motivo rendendo impossibile individuare la critica mossa ad una parte ben identificabile del giudizio espresso nella sentenza impugnata, rivelandosi del tutto carente nella specificazione delle deficienze e degli errori asseritamente individuabili nella decisione” (Cass. n. 10420/2005; conformi Cass. n. 13592/2006 e n. 15882/2007).
5. A tali requisiti non si è attenuto il ricorrente, limitandosi ad un generico richiamo (nella rubrica del motivo) agli artt. 2119 cod. civ. e 18 I. n. 300/1970, peraltro non seguito dalla individuazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che risulterebbero in contrasto con tali norme e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza o dalla prevalente dottrina.
6. Ove poi il motivo in esame si proponga di denunciare la violazione delle disposizioni collettive richiamate, allora è da considerare come esso non si sottragga ad un rilievo di improcedibilità, posto che, nell’inosservanza dell’art. 369 n. 4 cod. proc. civ., il ricorrente non ha depositato copia del contratto collettivo su cui il ricorso si fonda, né ha indicato il luogo preciso in cui esso era stato depositato nei gradi di merito.
7. Si deve infine osservare che, là dove si duole delle considerazioni svolte dalla Corte di merito per escludere il difetto di proporzionalità tra fatto e sanzione irrogata, il ricorrente esprime una censura di ordine motivazionale, senza, tuttavia, conformarsi al modello del nuovo vizio di cui all’art. 360 n. 5, quale risultante a seguito delle modifiche introdotte con il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella I. 7 agosto 2012, n. 134, e delle precisazioni fornite, relativamente all’ambito e alla portata applicativa della riforma, dalle sentenze di questa Corte a Sezioni Unite n. 8053 e n. 8054 del 2014, a fronte di sentenza di appello depositata il 20 ottobre 2015 e, quindi, in epoca posteriore all’entrata in vigore della stessa (11 settembre 2012).
8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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