CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 maggio 2020, n. 10103
Tributi – IVA – Imposta pagata in rivalsa al cedente – Omessa detrazione – Istanza di rimborso – Termini – Dies a quo
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 14 ottobre 2016, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della I.I.R. s.r.l. avverso il diniego di rimborso di un credito i.v.a., relativo all’anno 2009, chiesto il 9 dicembre 2011.
2. Dall’esame della sentenza impugnata si evince che l’imposta in oggetto si riferiva ad una cessione di beni posta in essere nell’anno 2006 ed erroneamente non assoggettata ad imposta sul presupposto che si trattasse di un’operazione intracomunitaria e che, a seguito della rilevazione del carattere interno dell’operazione, la società cedente aveva provveduto, in data 9 dicembre 2009, all’emissione di nuova fattura con applicazione dell’i.v.a., poi regolarmente versata dalla contribuente cessionaria il successivo 1° aprile 2010.
Va aggiunto, per l’esattezza, che l’operazione, consistente nella cessione di brochures promozionali da parte della I.I.S. B.V., società di diritto olandese, era stata originariamente fatturata, tramite partita IVA spagnola, senza applicazione dell’i.v.a. e debitamente registrata e pagata dalla cessionaria.
Tale fattura era stata, poi, stornata, e a ciò aveva fatto seguito, in relazione alla medesima operazione, l’emissione di altra fattura da parte del medesimo soggetto cedente, per il tramite del suo rappresentante i.v.a. in Italia, per il medesimo importo e con applicazione dell’i.v.a.
La cessionaria, dopo aver versato l’i.v.a. (di rivalsa) al cedente, non aveva esercitato il diritto di detrazione dell’imposta assolta, ma aveva provveduto a chiedere il rimborso della stessa, ai sensi dell’art. 21, secondo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
2.1. Il giudice di appello, confermando la decisione della Commissione provinciale, ha disatteso il gravame della ricorrente, fondato sulla decadenza della contribuente per decorso del termine biennale, evidenziando che il dies a quo dell’eccepito termine decadenziale doveva individuarsi nel giorno in cui il pagamento era stato effettuato.
3. Il ricorso è affidato ad un unico motivo.
4. Resiste con controricorso l’I.I.R. s.r.l. a socio unico, la quale deposita, poi, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 6, ottavo comma, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, 8, d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, 19, secondo comma, e 21, settimo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 21, secondo comma, d.lgs. n. 546 del 1992.
A sostegno del motivo di impugnazione la ricorrente evidenzia che la contribuente si era resa autrice di una serie di irregolarità, in relazione alla tardiva emissione della fattura – intervenuta, nell’anno 2009, a distanza di circa tre anni dal momento di effettuazione dell’operazione -, cui avrebbe dovuto porre rimedio con la regolarizzazione dell’operazione nei tempi e con le forme di cui al richiamato art. 6, ottavo comma, lett. b), d.lgs. 471 del 1997, e il versamento della relativa imposta.
Solo all’esito di tale regolarizzazione la contribuente avrebbe potuto esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta, nel rispetto del termine ordinario biennale.
Sostiene l’Amministrazione finanziaria che la Commissione regionale, consentendo il diritto al rimborso dell’i.v.a. assolta solo a seguito dell’emissione di una nuova fattura da parte del cedente, avrebbe, nella sostanza, «ricondotto una ipotesi di diritto a detrazione tipico, da esercitare entro il termine di decadenza ordinario, in una situazione di diritto al rimborso «residuale» o «atipico» di cui all’art. 21, secondo comma, d.lgs. n. 546 del 1992, del quale invece non ricorrevano i presupposti», subordinando le possibilità di controllo degli uffici finanziari sui presupposti delle detrazionfee dei rimborsi alla libera disposizione delle parti, cui sarebbe consentito di «scegliere i tempi» di esercizio del diritto al rimborso dell’i.v.a.
1.1. Parte controricorrente eccepisce l’inammissibilità del ricorso sia perché fondato su una questione avente ad oggetto l’asserita inaccessibilità alla tutela di cui all’art. 21, secondo comma, d.lgs. n. 546 del 1992, in ragione dell’esistenza di uno strumento di tutela tipico, sia ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c., per la conformità della questione di diritto decisa dalla Commissione regionale alla giurisprudenza della Corte di cassazione, in assenza di motivi per confermare o mutare l’orientamento della stessa.
1.2. L’eccezione è infondata.
Il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, previsto all’art. 57, secondo comma, del d.lgs. n. 546 del 1992, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese.
Il divieto di proporre eccezioni nuove in appello non riguarda, dunque, le eccezioni in senso lato, ossia quelle rilevabili d’ufficio e, come tali, appartenenti a materia sottratta alla disponibilità delle parti.
Nel caso in esame, poiché viene in rilievo un’eccezione, avente natura processuale, di inammissibilità della domanda di rimborso per insussistenza della condizione – dettata dal carattere residuale della domanda medesima e consistente nell’esistenza di altro strumento tipico di tutela – cui, secondo la tesi dell’Amministrazione finanziaria, la proposizione della stessa sarebbe subordinata, tale condizione non costituisce materia di eccezione in senso stretto, ma è rilevabile d’ufficio dal giudice, con la conseguenza che la questione poteva essere sollevata per la prima volta anche nel giudizio di appello (cfr., per una vicenda analoga, Cass. 18 aprile 2013, n. 9486).
1.3. Così individuato il thema decidendum, si presenta priva di pregio anche l’eccezione proposta ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c., formulato sul presupposto dell’inammissibilità, per violazione del divieto di nova in appello, del ricorso dell’Agenzia e, comunque, con riguardo esclusivo a situazioni fattuali non sovrapponibili, nei loro tratti essenziali, alla presente.
1.4. Nel merito, il motivo è infondato.
Dalla ricostruzione dei fatti esposta in precedenza emerge che il diritto di credito interessato dall’istanza di rimborso in questione ha per oggetto l’i.v.a. assolta in rivalsa dalla contribuente e, dunque, presuppone la sussistenza del diritto alla detrazione di tale imposta.
In ossequio al principio fondamentale di neutralità dell’IVA, tale credito richiede la dimostrazione, mediante fatture o altra idonea documentazione equivalente, del rispetto dei requisiti sostanziali di cui all’art. 168, direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, ossia che gli acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, parimenti debitore dell’i.v.a. agli stessi attinente, e che i beni di cui trattasi siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili, a nulla rilevando l’inosservanza dei requisiti formali.
Il diritto alla detrazione va, tuttavia, esercitato, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto e l’imposta diviene esigibile, ai sensi degli artt. 8, terzo comma, d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, e 19, primo comma, secondo periodo, d.P.R. n. 633 del 1972, nonché 178, direttiva i.v.a. (cfr., Cass., Sez. Un., 8 settembre 2016, n. 17757; vedi, successivamente, Cass., ord., 27 luglio 2018, n. 19938).
Benché gli artt. 63, direttiva i.v.a., e 6, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, stabiliscono, in via generale, che, con riferimento alle cessioni di beni, l’imposta diviene esigibile nel momento della consegna o della spedizione degli stessi, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha evidenziato che l’esercizio di tale diritto è possibile, ai sensi dell’articolo 178 della direttiva i.v.a., solo a partire dal momento in cui il soggetto passivo è in possesso di una fattura (cfr. Corte Giust., 21 marzo 2018, Volkswagen; Corte Giust., 15 settembre 2016, Senatex).
Ha riconosciuto la compatibilità con la normativa unionale di una legislazione nazionale che, in ragione di esigenze di certezza del diritto, preveda un termine di decadenza per l’esercizio del diritto alla detrazione, purché, per un verso, detto termine si applichi allo stesso modo ai diritti analoghi in materia fiscale fondati sul diritto interno e a quelli fondati sul diritto dell’Unione (principio di equivalenza) e, per altro verso, esso non renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto a detrazione (principio di effettività).
Ha, tuttavia, osservato che laddove il cedente provveda ad una regolarizzazione dell’i.v.a. solo in un secondo momento, emettendo fatture che comprendono l’i.v.a., presentando dichiarazioni fiscali supplementari all’autorità nazionale competente e versando l’importo dell’IVA dovuta all’erario e sia escluso il rischio di evasione fiscale, non può negarsi il diritto del cessionario all’esercizio del proprio diritto di rimborso dell’i.v.a. di rivalsa assolta a seguito della ricezione delle fatture, essendo stato oggettivamente impossibilitato ad esercitare tale suo diritto in precedenza in ragione della mancata disponibilità delle fatture e dell’ignoranza in ordine alla debenza dell’i.v.a. (cfr., in particolare, Corte Giust., 21 marzo 2018, Volkswagen, cit.).
Infatti, solo a seguito di tale regolarizzazione sono state soddisfatte le condizioni sostanziali e formali che danno diritto alla detrazione dell’IVA e la cessionaria ha potuto chiedere di veder alleviato il proprio onere dell’IVA pagata, conformemente al principio di neutralità fiscale.
Ha, quindi, concluso che «il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro in forza della quale, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale – nelle quali l’IVA è stata fatturata al soggetto passivo e versata da quest’ultimo diversi anni dopo la cessione dei beni di cui trattasi – è negato il diritto al rimborso dell’IVA, con la motivazione che il termine di decadenza previsto dalla suddetta normativa per l’esercizio di tale diritto sarebbe iniziato a decorrere dalla data della consegna e sarebbe scaduto prima della presentazione della domanda di rimborso» (così, Corte Giust., 21 marzo 2018, Volkswagen, cit.).
La trasposizione di tali principi al caso in esame induce a riconoscere il diritto al rimborso richiesto, non emergendo dagli atti, né venendo dedotto dall’Amministrazione finanziaria, un rischio di evasione fiscale.
2. Il ricorso, pertanto, non può essere accolto.
3. In considerazione del consolidamento della giurisprudenza solo in epoca successiva alla proposizione del ricorso appare opportuno disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
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