CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 maggio 2020, n. 10122
Tributi – Spese per la concessione del mutuo – Deducibilità – Imposta sostitutiva sui mutui a lungo termine – Traslazione economica in capo al mutuante – Costo sostenuto dal mutuatario per la restituzione – Deducibilità nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio
Fatti di causa
A seguito di verifica fiscale, agli effetti delle imposte dirette e dell’IVA, nei confronti della società I.L. S.p.A. (che aveva esercitato l’opzione per la tassazione di gruppo, in qualità di consolidata della F.S. S.p.a.) venne emesso processo verbale di constatazione con il quale, per quello ancora rileva in questa sede, vennero formulati i seguenti rilievi, ai fini – con riferimento al “fondo oneri di urbanizzazione” e al “fondo manutenzione immobili” (costituiti dalla società P., negli anni precedenti alla scissione parziale, in virtù della quale il ramo di azienda immobiliare, unitamente a tali fondi, pervenne, a I.L.) gli accertatori contestarono che la Società non avesse fornita la prova in merito alla tassazione del saldo iniziale dei fondi, alla data in cui aveva avuto effetto l’operazione di scissione e ritennero, pertanto, che la variazione in diminuzione operata nel 2005, a seguito dell’utilizzo del fondo in oggetto, fosse indebita sino alla concorrenza dell’importo del fondo non tassato;
con riferimento al conto “spese bancarie” fu contestato che le spese sostenuta per l’imposta sostitutiva sui finanziamenti e per le commissioni di organizzazione sostenute da I.L. S.p.A., in relazione a un contratto di mutuo fondiario stipulato, nel mese di dicembre 2005, con U. S.p.A., avrebbero dovuto essere spesate in quote annuali proporzionali al finanziamento rimborsato, ai sensi degli artt.109 e 108 TUIR, con conseguenziale recupero a tassazione dell’intero importo perché nel 2005 non vi erano stati rimborsi di capitale.
In adesione a tale p.v.c. venne, quindi, emesso avviso di accertamento di primo livello, ai fini dell’IRES dell’anno di imposta 2005, a carico della consolidata I.L. S.p.A., notificato anche alla consolidante F.S. S.p.A.
Avverso l’avviso le due Società (consolidata e consolidante) proposero ricorsi che, riuniti, vennero parzialmente accolti, dalla Commissione tributaria di prima istanza, la quale annullò i rilievi concernenti il fondo per oneri di urbanizzazione e il fondo manutenzione immobili.
La sentenza, appellata dalle Società e dall’Agenzia delle entrate, veniva integralmente confermata, con la sentenza indicata, in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia (d’ora in poi per brevità C.T.R.).
In particolare, il Giudice di appello rigettava l’atto di impugnazione proposto dalle Società con riferimento al rilievo n. 1, concernente il conto spese bancarie, rilevando che, trattandosi di oneri accessori sostenuti per il finanziamento e non essendoci stati rimborsi di capitale, gli stessi avrebbero dovuto essere rinviati nei periodi successivi in quote proporzionali al residuo del finanziamento. A fronte della deduzione delle Società che, nella specie, si trattava di costi relativi a un finanziamento richiesto e ottenuto nell’ambito di una operazione di ristrutturazione del debito, la C.T.R., citato l’art. 182 bis della legge fallimentare, rilevava che, dalla documentazione versata in atti, emergeva, solo, che il finanziamento o il mutuo era regolato dalla normativa del credito fondiario e che nulla veniva riportato in merito ad un piano di ristrutturazione del debito, né esisteva altra documentazione a tale riguardo, sull’appello proposto dall’Ufficio, riguardante l’annullamento dei rilievi relativi ai fondi oneri di urbanizzazione e manutenzioni immobili, la C.T.R. condivideva la motivazione resa al riguardo dal primo Giudice, aggiungendo che l’Ufficio avrebbe potuto consultare la dichiarazione dei redditi presentata, a suo tempo, dalla Società scissa e che se il costo fosse già stato recuperato interamente o parzialmente dalla società scissa, non potendo essere portato a deduzione, il rilievo era da addebitare ad essa e non alla società beneficiaria, che aveva correttamente operato.
Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso principale, fondato su unico motivo, l’Agenzia delle entrate e, ricorso incidentale, su tre motivi, U.S.A. S.p.a. (nuova denominazione assunta da F.S. S.p.a.) e U.S.I. S.p.a. (nuova denominazione assunta da I.L. S.p.a.) le quali resistono anche con controricorso al ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
Avverso la stessa sentenza (oggetto del ricorso principale e incidentale iscritti al n.3 del ruolo) U.S.A. S.p.a. società consolidante e U.S.S.I. S.p.a., già I.L. S.p.a., società consolidata, proposero anche ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 395 n. 4 cod.proc.civ.
La C.T.R. della Lombardia rigettò il ricorso, ritenendo che il fatto, sul quale secondo le ricorrenti era caduto l’errore, ovvero la ristrutturazione del debito verso il sistema bancario, avesse costituito fatto controverso sul quale il Giudice si era pronunciato.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso, affidato a sei motivi, U. Assicurazioni S.p.A. (nuova denominazione sociale assunta da F.S. S.p.a., tanto in proprio quanto in qualità di incorporante di U.S.R.E. già Immobiliare F.S. s.r.l., a sua volta incorporante di U.S.I. S.p.A., già I.L. S.p.A.).
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
U. s.p.a. ha depositato memoria ex art. 378 cod.proc.civ.
Ragioni della decisione
1. Preliminarmente il Collegio ritiene di riunire i due ricorsi in adesione al principio, sancito da questa Corte, con sentenza n.16435 del 5.08.2016, secondo cui <<i ricorsi per cassazione contro la decisione di appello e contro quella che decide l’impugnazione per revocazione avverso la prima vanno riuniti in caso di contemporanea pendenza in sede di legittimità nonostante si tratti di due gravami aventi ad oggetto distinti provvedimenti, atteso che la connessione esistente tra le due pronunce giustifica l’applicazione analogica dell’art. 335 c.p.c., potendo risultare determinante sul ricorso per cassazione contro la sentenza di appello l’esito di quello riguardante la sentenza di revocazione, che deve, pertanto, essere esaminato con precedenza>>.
2. Procedendo, pertanto, all’esame, da primo, del ricorso iscritto al n.r.g. 2518/16, con il primo motivo di ricorso le Società deducono, ai sensi dell’art.360, primo comma, n.4 cod.proc.civ., la nullità della sentenza impugnata per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi sul primo motivo di revocazione, ex art. 395 n.4 cod.proc.civ., con il quale le Società ricorrenti avevano contestato che la C.T.R lombarda avesse fondato la sua decisione sulla supposizione di un fatto la cui verità era incontrastabilmente esclusa tra le parti, e cioè sul fatto che il contratto di mutuo fondiario, stipulato con U., accedesse ad un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182 bis della legge fallimentare.
2.1 La censura è infondata. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, ribadita di recente, tra le altre, da Cass. n. 15255 del 04/06/2019, <<non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto.
2.2 Nel caso in esame, dalla lettura della sentenza impugnata, è evidente che la C.T.R., adita in revocazione, nel ritenere che il Giudice di appello avesse pronunciato sul fatto controverso con l’argomentazione dalla documentazione versata in atti (contratto di mutuo fondiario ) si rileva solo che “il finanziamento o il mutuo” è regolato dalla normativa sul credito fondiario, nulla viene riportato in merito ad un piano di ristrutturazione né esiste altra documentazione a tale riguardo ha pronunciato anche sul primo motivo del ricorso per revocazione, ritenendo che, in ogni caso, anche il “fatto” della esistenza di un piano di ristrutturazione del debito avesse costituito punto controverso donde l’esclusione della configurabilità di un errore revocatorio;
3. con il secondo motivo, articolato in subordine al primo, si denuncia la sentenza impugnata – qualora si volesse ritenere che con l’affermazione l’istanza di revocazione delle società ricorrenti deve essere rigettata per infondatezza dei motivi la C.T.R avesse pronunciato su entrambi i motivi del ricorso per revocazione – di nullità, per violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/1992.
3.1 La censura è infondata per le medesime ragioni di cui al primo motivo, in quanto la C.T.R., come già evidenziato nell’esame di tale mezzo di impugnazione, ha espresso le ragioni in fatto e in diritto poste alla base del suo convincimento.
4. Con il terzo motivo si denunzia, ai sensi dell’art.360, primo comma, n.4 cod.proc.civ. la sentenza impugnata di nullità, per motivazione apparente, nella parte in cui la C.T.R. aveva rigettato il secondo motivo del ricorso per revocazione (con il quale si era dedotto che la sentenza revocanda fosse fondata sull’errata supposizione dell’inesistenza di un fatto la cui verità era stata positivamente stabilita, ovvero sulla negazione che il contratto di mutuo stipulato tra I.L. e U. contenesse un riferimento al piano di rinegoziazione dei debiti posto in essere tra la prima società e gli istituti di credito). In particolare, si censura il passo motivazionale con il quale la C.T.R. avrebbe ritenuto che il,fatto sul quale, secondo la prospettazione difensiva, era caduto l’errore percettivo, avesse costituito punto controverso sul quale il Giudice si era pronunziato (laddove invece la circostanza che II finanziamento ottenuto da U. accedesse ad una rinegoziazione privatistica del debito bancario pregresso e che tale fatto emergesse dallo stesso contratto di finanziamento erano pacificamente acquisiti al processo per mancata contestazione ex art. 115 c.p.c.) senza fornire al riguardo alcuna motivazione se non una mera affermazione apodittica.
4.1 La censura è infondata. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, formatasi sulla scia di Sezioni Unite n. 8053/2014, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr., tra le altre, Cass.n. 9105 del 07/04/2017) e, nella specie, il giudice della revocazione, enunciando il passo della sentenza revocanda con la quale la C.T.R. aveva trattato del piano di ristrutturazione del debito, ha congruamente motivato la sua decisione In ordine all’insussistenza della fattispecie revocatoria ritenendo che la questione (o il “fatto”) dedotta avesse costituito in punto Controverso.
5.Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.5 cod.proc.civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio costituito dalla circostanza che il contratto di mutuo fondiario conteneva un esplicito riferimento al piano di rinegoziazione dei debiti, non tenuta in alcun conto dai giudici della revocazione i quali, anzi, avrebbero confermato la correttezza, in punto di mancanza di prova, della sentenza di appello oggetto di revocazione.
5.1 La censura è, all’evidenza, inammissibile in quanto inconferente con la ratio della sentenza impugnata, fondata sull’argomentazione che il fatto, sul quale sarebbe caduto l’errore percettivo, aveva formato punto controverso.
6 in via di subordine, con il quinto motivo e il sesto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del d.lgs. n. 471/1997, come modificato dal d.lgs. n. 158/2015 e di altre disposizioni di legge e si chiede la cassazione della sentenza in punto di sanzioni irrogate, in virtù dello ius superveniens di cui al citato decreto legislativo, favorevole alla contribuente.
6.1 Anche tali censure e istanze sono inammissibili in questa sede nella quale si controverte, unicamente, sulla sentenza che ha rigettato il ricorso per revocazione, proposto ex art. 395, comma 1, n.4 cod.proc.civ.
7. In conclusione, alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, il ricorso va rigettato.
8. Confermata la sentenza che ha rigettato il ricorso per revocazione avverso là sentenza della C.T.R. della Lombardia n. 205/2014, può procedersi, quindi, all’esame dei motivi di ricorso per cassazione proposti avverso detta sentenza.
9 Con l’unico motivo del ricorso principale, l’Agenzia delle entrate, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.107, 109 e 173 del d.P.R. n. 917/86 laddove la C.T.R., rigettandone l’appello, aveva confermato gli annullamenti, già disposti dalla C.T.P., dei rilievi concernenti il fondo “oneri di urbanizzazione” e il o fondo “manutenzioni immobili”.
Secondo la prospettazione difensiva la Società per potere usufruire delle variazioni in diminuzione operati su tali fondi avrebbe dovuto fornire la prova in ordine alla variazione in aumento, ovvero della tassazione iniziale alla data dell’1° gennaio 1999, e ciò alla luce del disposto degli artt. 107 e 109 TUIR.
Il Giudice di appello, inoltre, nell’affermare che l’Agenzia era in possesso della documentazione necessaria potendo consultare la dichiarazione dei redditi presentata a suo tempo dalla società scissa, avrebbe erroneamente invertito l’onere della prova, giacché è principio consolidato che la prova circa l’esistenza dei fatti che danno luogo ad oneri e/o costi fiscali grava sul contribuente.
9.1 Va, preliminarmente, rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, per carenza di interesse, sollevata dalla controricorrente sul presupposto che non sarebbero state censurate le effettive rationes decidendi sulle quali è fondata la sentenza impugnata.
Invero, dalla lettura del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate è agevole rilevare che, con il mezzo di impugnazione, si censurano entrambe le rationes poste dalla C.T.R. a fondamento della decisione assunta, sia con riguardo all’onere probatorio, che attraverso la deduzione della violazione di legge.
9.2 La censura, quindi ammissibile, è, però, infondata.
La questione prospettata, con il mezzo di impugnazione, attiene alla prova della intervenuta tassazione dei saldi iniziali allorché sussista una scissione societaria, la tassazione dei detti saldi sia relativa a periodo antecedente la scissione, la deduzione venga, poi, effettuata dal soggetto originato dalla scissione.
9.3 Ai sensi dell’art. 107, comma 4, del d.P.R. n. 917/86 (T.U.I.R.) non sono ammesse deduzioni per accantonamenti diversi da quelli espressamente considerati dalle disposizioni del presente capo ed è pacifico che i fondi di accantonamento, per cui è controversia, non rientrano tra quelli previsti dal capo II.
9.4 Trova, pertanto, applicazione la giurisprudenza, in materia (v. Cass. n. 3243 del 19/04/1990), per la quale <<in tema di imposte sui redditi, gli accantonamenti di utili, che l’imprenditore effettui, in un determinato esercizio, per il pagamento di imposte non deducibili, ovvero, in caso di precedente “condono”, in difetto delle condizioni o senza gli adempimenti contemplati dall’art. 4 del d.l. 5 novembre 1973 n. 660 (convertito in legge 19 dicembre 1973 n. 823), vanno inclusi nella dichiarazione dell’imponibile relativa a detto esercizio, e, in mancanza, sono suscettibili di “ripresa”, con avviso in rettifica della dichiarazione medesima. Il recupero a tassazione, pertanto, non può avvenire in via di rettifica della dichiarazione inerente ad esercizio posteriore, nel quale vi sia stato prelevamento in tutto od in parte dalla riserva, atteso che tale prelevamento non esprime un reddito del nuovo periodo d’imposta, ma il mero impiego di un reddito pregresso>>.
Si è, quindi, condivisibilmente statuito (v. Cass. n. 3368/2013) che l’art. 73, comma 4 (ora 107) del d.P.R. 22/12/1986 n. 917 (TUIR) fissa la regola tassativa della inderogabilità degli accantonamenti fiscalmente deducibili. Tale norma mira a contemperare principi di certezza, caratteristici del sistema tributario, ed esigenze di valutazione fiscale di poste meramente prudenziali. Il capo VI disciplina analiticamente le ipotesi legali di accantonamenti fiscalmente rilevanti e, con norma di chiusura, l’art. 73, comma 4, citato, stabilisce che: “non sono ammesse deduzioni per accantonamenti diversi da quelli espressamente considerati dalle disposizioni del presente capo”. Le garanzie del rendimento locativo minimo non rientrano tra gli accantonamenti tassativamente previsti dalle disposizioni sulla determinazione del reddito d’impresa, sicché gli oneri in parola sono deducibili esclusivamente se e nella misura in cui sono effettivamente sostenuti, secondo i criteri di cui all’art. 75, mancando i requisiti di certezza e obiettiva determinabilità di costi, non ancora effettivamente sostenuti e di cui è assolutamente incerto il sostenimento. Infatti, i componenti negativi che concorrono a formare il reddito devono essere imputati all’anno di esercizio in cui ne diviene certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, qualora di tali qualità siano privi nei corso dell’ordinario esercizio di competenza (Cass. n. 8250/08). Il concorso dei due requisiti è assolutamente necessario, atteso che il primo si riferisce all ‘an, in termini di certezza giuridica del titolo e il secondo al quantum, in termini di agevole e ragionevole liquidabilità (Cass n.ri 3401/97 e 24526/09).
In adesione e applicazione dei superiori principi si è, cosi, statuito (Cass. n. 26290 del 20/12/2016) che, in tema d’imposte dirette, l’art. 107 (già 73), comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986 sancisce la regola della tassatività delle deduzioni per accantonamenti, che non sono ammesse fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge, trattandosi di eccezioni al principio di certezza dell’imposizione tributaria, non eludibile da libere appostazionl prudenziali, sicché deve escludersi la deduzione per I rischi e gli oneri conseguenti ad un giudizio arbitrale pendente, In quanto ipotesi non tipizzata dal legislatore e che (Cass. n. 23812 del 11/10/2017) gli accantonamenti indeducibili a fondo rischi, essendo effettuati in previsione di passività prive dei requisiti di certezza e di determinabilità, sono soggetti alla disciplina prevista dall’art. 75, comma 1, parte seconda, del d.P.R. n. 917 del 1986 (attuale art. 109, comma 1, parte seconda, del medesimo d.P.R.), sicché, derogando al principio di competenza, sono tassabili al momento della loro utilizzazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto corretto sottoporre a tassazione la plusvalenza utilizzata dalla società nell’esercizio in cui le somme accantonate erano state utilizzate, quale sopravvenienze attive, a seguito dell’azzeramento del fondo).
Infine, nel ribadire tali principi, di recente questa Corte (v. Cass. n.18719/2018) ha affermato che eventuali stanziamenti a fondi diversi da quelli previsti dalle citate disposizioni (art. 107 TUIR) costituiscono accantonamenti fiscalmente non riconosciuti e quindi indeducibili, con la conseguenza da un lato, che le quote accantonate costituiscono variazioni in aumento del risultato civilistico rilevante ai fini della determinazione del reddito di impresa imponibile, ex art. 52 TUIR, mentre dall’altro lato l’utilizzo del fondo dovrà essere ricompreso tra le variazioni in diminuzione del risultato del periodo in cui tale utilizzo si è manifestato.
9.5 Così ricostruito il quadro normativo di riferimento nell’interpretazione datane da questa Corte regolatrice, la sentenza impugnata rimane immune da censura, avendo fatto corretta applicazione di tali principi, ritenendo conforme al dettato normativo l’operato della Società laddove, di contro, non lo è quello dell’Ufficio, essendo pacifico trattarsi di fondi che non rientravano nella previsione di cui al vigente ratione temporis art. 73, comma 4, TUIR e non essendo, altresì, necessaria, al fine del riconoscimento della variazione in diminuzione anche la prova del cd. “saldo iniziale”, per l’impossibilità di una contemporanea variazione in diminuzione da parte della scissa e della beneficiaria della scissione. Peraltro, come correttamente rilevato dalla C.T.R., la contestazione della “posta”, in oggetto, presuppone un’inammissibile attività di accertamento nei confronti di altro soggetto rispetto al quale, per quello che qui interessa, la beneficiaria della scissione rimane estranea.
9.6 Né appare pertinente il richiamo ai principi fissati da Cass. n., 31591 del 06/12/2018 siccome attinenti ai profili esecutivi della pretesa tributaria e non all’accertamento.
10 Procedendo, ora, all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo le Società deducono la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 cod.proc.civ. e dell’art. 36 del d.lgs n. 546/1992 lamentando, nella sostanza, che la C.T.R., nel rigettarne l’appello, confermando la legittimità del rilievo afferente al conto spese, abbia fornito una motivazione del tutto apparente.
10.1 La censura è infondata. A seguito della riforma dell’art.360, primo comma, n.5 cod.proc.civ. e alla luce degli insegnamenti delle Sezioni Unite di questa Corte espressi con la già citata sentenza n.8053/2014, la motivazione può ritenersi nulla perché apparente quando il Giudice non esterni il percorso logico giuridico seguito in modo da rendere intellegibile le ragioni sulle quali è fondata la decisione.
10.2 Nel caso in specie, la C.T.R. ha ritenuto di confermare il rilievo esplicitando, sul punto in questione, che non era stata fornita la prova che, nella specie, il finanziamento fosse finalizzato a un programma di rinegoziazione del debito nei confronti del sistema bancario. Il riferimento operato, dalla Commissione tributaria territoriale all’art. 182 bis della legge fallimentare, oltre a potere costituire, in ipotesi, oggetto di doglianza in ordine ad una eventuale falsa applicazione di legge, non appare, comunque, rilevante, al fine della prospettata mancanza di motivazione, atteso che la decisione impugnata è fondata esplicitamente sulla mancanza di prova da parte delle contribuenti in merito alla deducibilità, integrale in unico anno di imposta, delle spese per l’imposta sostitutiva e le commissioni di organizzazione relative al finanziamento ottenuto da U., per essere rimasto indimostrato il piano di ristrutturazione del debito ed essendo inesistente altra documentazione al riguardo.
11 Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.5 cod.proc.civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito, per l’appunto, dalla circostanza che tale finanziamento era finalizzato a rimborsare i finanziamenti precedentemente contratti dalla I.L. S.p.A. con le banche, in esecuzione di un complesso piano di rinegoziazione del debito bancario pregresso; fatto che era stato dedotto con il ricorso introduttivo e ribadito in appello.
11.2 La censura è infondata. La C.T.R., infatti, a parte l’erroneo riferimento all’istituto previsto dall’art.182 bis della legge fallimentare, ha, espressamente, escluso che dal contratto di mutuo in atti si evincesse che lo stesso fosse finalizzato a un piano di ristrutturazione o rinegoziazione del debito. Ciò rientra nella esclusiva valutazione delle prova rimessa all’insindacabile giudizio del giudice di merito laddove, di contro, il mezzo risulta inammissibilmente teso ad una diversa ricostruzione in fatto.
12. Con il terzo motivo del ricorso incidentale rubricato:violazione e falsa applicazione dell’art. 2423 bis cod.civ., degli artt.83 e 109 del TUIR e dell’art. 182 bis della legge fallimentare, in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c. – si deduce la violazione di legge operata dalla C.T.R. laddove aveva respinto l’appello sul presupposto che le spese del contratto di finanziamento non afferivano ad una ristrutturazione ovvero di rinegoziazione del debito.
12.1 Secondo la ricostruzione effettuata dall’Agenzia delle entrate nell’avviso impugnato e confermata nei due gradi di giudizio, per il principio contabile 24, gli oneri accessori per ottenere finanziamenti, quali le spese di istruttoria, l’imposta sostitutiva su finanziamenti a medio termine, e tutti gli altri costi iniziali devono essere capitalizzati nelle voce “altre immobilizzazioni immateriali”. Nello stesso principio contabile viene indicato che l’ammortamento degli oneri accessori su finanziamenti deve essere determinato sulla durata dei relativi finanziamenti in base a quote calcolate preferibilmente secondo modalità finanziarie, oppure a quote costanti, se gli effetti risultanti non divergono in modo significativo rispetto al metodo finanziario.
12.2 Al contrario, la Società si appella ad altro principio contabile OIC in base al quale in caso di piano di ristrutturazione del debito, ai sensi della legge fallimentare, e in qualsiasi altro caso di rinegoziazione del debito con il creditore, le spese conseguenti al piano sono deducibili nello stesso anno in cui sono state effettuate.
12.3 Sulla base dell’accertamento effettuato dal giudice di merito, rimasto fermo per le ragioni sopra svolte, in atti non è stata raggiunta la prova che tra la I.L. S.p.A. e il gruppo di banche presenti all’atto di finanziamento fosse intervenuta una vera e propria rinegoziazione del debito né che le spese in questione siano omologabili a quelle previste dal principio contabile OIC.
12.4 La giurisprudenza di questa Corte, in materia, è orientato verso una diversa interpretazione delle norme di riferimento, in virtù della quale, rispetto alle spese sostenute per la concessione del mutuo, rimangono irrilevanti le finalità del finanziamento con conseguente ininfluenza dei principi contabili invocati.
Questa Corte (v.Cass. n. 6172 del 02/05/2001 ribadita, di recente, da Cass. 6/10/2017 n. 2338) ha, infatti, già affermato, e si tratta di principio che il Collegio condivide, che il costo per la stipulazione di un mutuo a restituzione dilazionata in più anni va detratto integralmente nell’esercizio in cui si ottiene la somma mutuata, trattandosi di spesa di competenza di detto esercizio e non di quelli successivi, nei quali vanno a ricadere non i vantaggi del prestito, ma le scadenze delle obbligazioni restitutorie (v., in termini, sia pure a proposito dei costi di registrazione di un marchio, cfr. Sez. 5, Sentenza n. 22021 del 13/10/2006).
12.5 Discorso diverso va, invece, svolto per l’imposta sostitutiva. Come già affermato da Cass. n. 3770 del 25.2.2015, che il Collegio condivide, la clausola contrattuale che prevede a carico del mutuatario la corresponsione dell’imposta de qua al fisco da parte di un soggetto diverso da quello su cui grava la relativa obbligazione D.P.R. n. 601 del 1973, ex art. 17, (cioè di un soggetto obbligatosi a pagarla in vece e conto di quest’ultimo), configura una mera traslazione convenzionale del corrispondente carico d’imposta e si esaurisce in un incremento dei proventi del mutuante in misura pari alla somma che deve versare all’erario, con la conseguenza che il costo sostenuto dal mutuatario, rappresentato dalla traslazione economica dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti (nella specie, l’imposta sostitutiva sui mutui a lungo termine), deve essere qualificato non come imposta ma come parte del corrispettivo del finanziamento deducibile secondo l’ordinario principio di competenza ex art. 74 (ora 108) del d.P.R. 22 dicembre 1974, n. 917 (ndr d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) e cioè “nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio”.
In conclusione, alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, in accoglimento parziale del solo terzo motivo del ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata, nei limiti del motivo accolto, con rinvio al Giudice di merito affinché provveda al riesame, adeguandosi ai superiori principi e regoli le spese del giudizio di legittimità.
Non sussistono i presupposti processuali per porre a carico dell’Agenzia delle entrate il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dall’art. 13, comma 1 bis del d.P.R. n.115/2002 (cfr. Cass. 1778 del 29/01/2016).
P.Q.M.
Riunito al ricorso iscritto al n.r.g.14323/14 quello iscritto al n.r.g.2510/16;
rigetta quest’ultimo ricorso;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali, in riferimento al ricorso r.g.n.2510/2016 per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Rigetta il ricorso principale iscritto a n.r.g.14323/14 e in parziale accoglimento del terzo motivo del ricorso incidentale, rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata, nei limiti del motivo accolto, e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere, anche in ordine alle spese processuali del giudizio di legittimità.
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