CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 marzo 2019, n. 8627
Tributi locali – ICI – Abitazione principale – Agevolazioni fiscali – Accertamento – Contenzioso tributario
Fatti di causa
M. T. B. ha impugnato l’avviso di accertamento dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), per l’anno 2004, contestando, tra l’altro, il mancato riconoscimento, nella determinazione dell’importo dovuto, dell’agevolazione prevista per l’abitazione principale della contribuente, e quella per le unità immobiliari concesse in uso gratuito ai propri figli L. e F. S., il Comune di Roma si è costituito nel giudizio per ribadire la legittimità del proprio operato, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma ha accolto il ricorso della contribuente, e la decisione è stata riformata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio che, con la qui impugnata sentenza, ha accolto l’appello di Roma Capitale, già Comune di Roma.
Il Giudice di appello, in particolare, ha rilevato, quanto alla prima questione, che la mancata applicazione dell’aliquota agevolata per gli immobili della contribuente con i progressivi 4 e 6 dipendeva dal fatto che si trattava di unità immobiliari catastalmente distinte, per le quali sarebbe stata necessaria una richiesta all’Agenzia del Territorio di fusione catastale delle stesse, quanto alla seconda, che la mancata applicazione dell’aliquota agevolata per gli immobili concessi in uso gratuito ai figli della contribuente dipendeva dal fatto che difettava l’invio della prevista comunicazione con modello predisposto dal Comune, in quanto non poteva considerarsi ad essa equipollente la comunicazione a mezzo fax inviata dalla contribuente.
Avverso la pronuncia la B. propone ricorso per cassazione con sei motivi, illustrati con memoria, cui parte intimata resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, n. 4 e n. 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 36, d.lgs. n. 546 del 1992, violazione degli artt. 112 c.p.c., 24 e 111 Cost., 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 4, nullità della sentenza per omessa motivazione, omessa pronuncia, omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, giacché la sentenza della CTR è priva di una seppur concisa esposizione dello svolgimento del processo, dei motivi e delle richieste delle parti, omette di ricordare la decisiva documentazione probatoria prodotta in prime cure, valorizzata dalla sentenza della CTP favorevole alle tesi della contribuente.
La censura è priva di fondamento atteso che, in tema di contenzioso tributario, ai sensi dell’art. 36, d.lgs. n. 546 del 1992 – secondo cui la sentenza deve contenere, fra l’altro, la “concisa esposizione dello svolgimento del processo” e “la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto” -, nonché dell’art. 118 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile (sicuramente applicabile al rito tributario in forza del generale rinvio operato dall’art. 1, comma secondo, del citato decreto delegato), la mancata esposizione in sentenza dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, così come l’estrema concisione della motivazione in diritto, determinano la nullità della sentenza unicamente allorché rendono impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo (Cass. n. 3547/2002).
Si tratta di vizio non riscontrabile nella sentenza impugnata, la quale individua correttamente la pretesa che la contribuente, in relazione alla varie unità immobiliari oggetto dell’avviso di accertamento ICI, oppone all’ente impositore, avuto riguardo alla contesta sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi per beneficiare del regime agevolato per l’abitazione principale, nella sua accezione legale ed in quella regolamentare, posto che il Regolamento ICI considera estensivamente abitazioni principali anche quelle concesse in uso gratuito a parenti e affini entro il secondo grado che le utilizzano come abitazione principale, illustra le critiche mosse alla statuizione di primo grado e le argomentazioni che hanno indotto la Commissione tributaria regionale a condividerle, in tal modo rendendo possibile l’individuazione del “thema decidendum” e “thema probandum”, nonché delle ragioni poste a fondamento del dispositivo di una decisione che non può non ritenersi raggiunta attraverso l’esame e la valutazione della fondatezza dei motivi di gravame.
Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, n. 4 e n. 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 57, d.lgs. n. 546 del 1992, 112, 115, 116 c.p.c., 24 e 111 Cost., omessa pronuncia, omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, giacché la sentenza della CTR è basata su eccezioni proposte dall’ente impositore per la prima volta nel giudizio di appello con motivi di gravame, che avrebbero dovuto essere dichiarati inammissibili, considerata la mancanza di contestazioni in prime cure circa la documentazione prodotta dalla contribuente, comprovante la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per beneficiare delle aliquote ridotte.
La censura va disattesa in quanto, se è vero che incombe sull’Amministrazione l’onere di fornire la prova dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, è anche vero che, in tema di agevolazioni tributarie, è chi vuole fare valere una qualsiasi forma di esenzione o di agevolazione che deve provare, quando sul punto vi è contestazione, i presupposti che ne legittimano la richiesta (Cass. n. 23228/2017; n. 21406/2012).
Non comporta, quindi, la violazione del divieto di sollevare eccezioni nuove in appello posto dal d.lgs. n. 546 del 1992, art. 57, la deduzione, nel giudizio di secondo grado, delle cosiddette eccezioni improprie, o mere difese, che per quanto nuove, comunque, siano dirette a sollecitare il rilievo d’ufficio, da parte del giudice, della esistenza o inesistenza dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio (Cass. n. 13331/2016; n. 15026/2014).
Ebbene, l’allora appellante Roma Capitale non ha operato alcuna modifica del “petitum” e della “causa petendi” fondati su situazioni giuridiche non prospettate prima, né tantomeno ha proposto un nuovo tema d’indagine, spostando i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della parte privata, atteso che la contestazione di quanto dedotto dalla contribuente nel ricorso introduttivo del giudizio, ancorché formulata in maniera generica, può legittimamente essere resa più specifica in sede di gravame (Cass. n. 12651/2018), anche in ragione dell’esito del primo giudizio, e neppure esclude che, nel caso di specie, fosse proprio la contribuente la parte tenuta ad allegare, e dimostrare, il preteso diritto all’applicazione della aliquota ridotta, in luogo di quella ordinaria.
Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, n. 4 e n. 5, violazione di legge, con riferimento agli immobili int. 2 (sub 4) ed int. 4 (sub 6), concessi in uso gratuito ai figli della contribuente, giacché la CTR non ha considerato che l’aliquota agevolata spetta in ragione dell’utilizzo dell’immobile come abitazione principale, nella specie, dimostrato, e non necessariamente in quanto eretto a residenza anagrafica, abitando gli interessati, con le rispettive famiglie, negli appartamenti facenti parte della palazzina in Roma, Via Filiberto Petiti n. 19, oggetto appunto dell’accertamento ICI, circostanza peraltro comunicata al Comune a mezzo fax e comprovata a mezzo deposito delle ricevute di pagamento delle utenze domestiche (WIND, ACEA, ENI GAS, ecc. ) per gli anni in contestazione, dovendo eventualmente disapplicarsi la disposizione (art. 14 bis) del Regolamento comunale ove interpretata nel senso della necessità, per l’applicazione delle aliquote ridotte, dell’uso di modulistica all’uopo predisposta dall’ente territoriale, avendo le risultanze anagrafiche valore meramente presuntivo; con riferimento agli immobili int. 3 (sub 5) ed int. 5 (sub 7), costituenti abitazione principale della contribuente, giacché la CTR ha dato erroneamente rilievo alla necessità, come prospettato dall’ente impositore, di un accatastamento unitario delle unità immobiliari destinate ad abitazione principale, ai fini qui considerati non richiesto dalla legge, essendo incontestato che l’int. 3, al quale è stata applicata l’agevolazione, è collegato all’int. 5 con una scala interna.
Giova premettere che il motivo di ricorso si appalesa inammissibile laddove la difesa della contribuente non tiene conto della intervenuta riformulazione dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5, disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in I. n. 134 del 2012, disposizione che deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, e che trova senz’altro applicazione anche nel giudizio di legittimità in materia tributaria, in quanto nell’attuale sistema normativo non esiste un “giudizio di legittimità tributario” disciplinato da proprie e specifiche norme (Cass. S.U. n. 8053/2014).
La contribuente ha dedotto l’applicabilità del regime agevolato dell’abitazione principale sia in relazione alle due unità immobiliari in proprietà “di cui ai progressivi 4 e 6”, catastalmente distinte con autonoma rendita, circostanza risultante dalla documentazione versata in atti dall’ente impositore e non contestata dall’odierna ricorrente, la quale, nel corpo della censura, si duole piuttosto del fatto che il diritto ad usufruire dell’aliquota agevolata va correlato all’utilizzo dell’immobile come abitazione principale, e non al luogo di residenza anagrafica, sia in relazione alle unità immobiliari concesse in uso gratuito ai figli, in quanto da essi adibite ad abitazione principale, come confermato dalla intestazione delle utenze domestiche, ed ha evidenziato la piena conoscenza, da parte dell’ente territoriale, di siffatta situazione, esistente peraltro sin dal 2000, giusta comunicazione a mezzo fax del 6/3/2006 con allegate dichiarazioni sostitutive di atto notorio dei propri congiunti.
La ratio decidendi della sentenza impugnata ruota attorno alla seguenti affermazioni: che, ai fini qui considerati, il contribuente è tenuto a dimostrare, ai sensi dell’art. 11 del Regolamento ICI, la sussistenza della residenza anagrafica nell’immobile adibito ad abitazione principale dell’interessato; che, per beneficiare della aliquota agevolata, si deve provvedere “alla presentazione entro il mese di giugno dell’anno successivo a quello d’imposta di una comunicazione … attestante il possesso dei requisiti soggettivi e oggettivi, utilizzando gli appositi moduli predisposti dal Comune”; che la comunicazione inviata a mezzo fax dalla contribuente non può dirsi equipollente a quella prevista dal Regolamento e neppure può ad essa “riconoscersi alcuna valenza probatoria”; che infine l’aliquota agevolata non è applicabile a più unità immobiliari distinte catastalmente.
Orbene, la motivazione non può dirsi apparente, né tantomeno risulta omesso l’esame di un fatto storico con carattere decisivo la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e sia stato discusso tra le parti, considerato che il giudice di appello ha dato conto di aver esaminato, e valutato, gli elementi istruttori raccolti per giungere alla decisione di cui si chiede la cassazione, e la ricorrente si limita a criticare l’esito di tale valutazione, ai fini del riconoscimento dell’agevolazione.
Ciò non di meno la sentenza merita di essere censurata, sotto il profilo della violazione di legge, nei limiti di seguito precisati.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, per quanto qui rileva, le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo di residenza effettiva, e possono essere superate da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento; il relativo apprezzamento costituisce valutazione demandata al giudice di merito e sottratta al controllo di legittimità, ove adeguatamente motivata (Cass. n. 26985/2009; n. 13151/2010).
Le conclusioni espresse dal giudice d’appello non tengono conto delle prove acquisite, in ordine all’utilizzazione, da parte della contribuente e dei suoi figli, come abitazione principale, delle unità immobiliare facenti parte della palazzina di Via Filiberto Petiti n. 19, non tengono conto, altresì, del fatto che “il concetto di abitazione principale è fattuale e prescinde dall’elemento volontario proprio del domicili” (Cass. n.14389/2010), che non è corretto dare rilievo unicamente alla non coincidenza tra “dimora abituale” e “residenza anagrafica”, che neppure è corretto affermare che “il concetto di abitazione principale è attribuibile esclusivamente alla residenza anagrafica” e che gli accertamenti anagrafici espletati dal Comune sono di ostacolo alla dimostrazione dell’utilizzo continuativo dell’abitazione quale dimora principale La detrazione di cui all’art. 8, comma 2, d.lgs. n.504 del 1992, il quale dispone che “per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente”, non è indissolubilmente legata alla residenza anagrafica, e ciò non è affatto contraddetto ma semmai reso più evidente dalla modifica normativa apportata dall’art. 1, comma 173, L. n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007), a tenore della quale “… al comma 2 dell’articolo 8, dopo le parole: “adibita ad abitazione principale del soggetto passivo” sono inserite le seguenti: “, intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica,” che si limita ad introdurre una presunzione relativa e non supera il concetto di abitazione principale fondato sul criterio della dimora abituale di cui si è prima detto.
La modifica, infatti, deve essere letta nel senso che – con effetto dall’annualità d’imposta 2007 – si considera abitazione principale quella di residenza anagrafica, salvo la prova contraria che consente al contribuente, nei casi appunto di mancata coincidenza, anche solo per un periodo di tempo, tra dimora abituale e residenza anagrafica, di riservare alla prima il trattamento fiscale meno gravoso previsto per “l’abitazione principale”, prova che deve riguardare l’effettivo utilizzo dell’unità immobiliare quale dimora abituale del nucleo famigliare del contribuente (Cass. n. 14398/2010).
La contribuente ha inteso fornire la dimostrazione della ricorrenza dei requisiti richiesti per il sorgere del diritto alla particolare “detrazione” cui si riferisce la pretesa fiscale dedotta in giudizio, attraverso la produzione di documenti, quali le bollette delle utenze relative alla rete idrica, elettrica e del gas, in quanto direttamente riferibili ai soggetti interessati, e poiché la normativa sopra richiamata non prevede alcuna limitazione circa la prova dell’utilizzo del bene che incombe sul contribuente, non essendo la stessa in alcun modo tipizzata, tale prova può essere offerta, contrariamente a quanto sembra ritenere il giudice di merito, con qualsiasi mezzo all’uopo idoneo, secondo le regole generali.
La sentenza della CTR attribuisce erroneamente rilievo dirimente alla circostanza che la comunicazione, con allegate dichiarazioni sostitutive di atto notorio, pacificamente inviata dalla contribuente all’ente impositore a mezzo fax, sarebbe priva di rilievo giuridico, prevedendo il Regolamento apposita comunicazione, su modello predisposto dal Comune, per l’applicazione di aliquote ridotte e delle ulteriori detrazioni, e richiama giurisprudenza afferente la questione della efficacia probatoria della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà che, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative (Cass. n. 6755/2010), cosa che, tuttavia, non esclude affatto l’ammissibilità della produzione di atti notori con valore indiziario, quali documenti facenti fede solo riguardo alla data, all’esistenza ed alla provenienza delle dichiarazioni in essi scritte, anche se non quanto all’attendibilità delle dichiarazioni medesime, da ritenersi soggette, allo stesso modo di qualsiasi altra scrittura privata, al vaglio del giudicante che deve tener conto di ogni elemento da cui possa desumersi la maggiore o minore veridicità delle stesse (Cass. 3724/2010).
Neppure appare legittima la interpretazione della disposizione di rango normativo secondario proposta dall’ente impositore, e fatta propria dal giudice di secondo grado, secondo cui sarebbe preclusa al contribuente, in sede giudiziaria, la possibilità di offrire la dimostrazione della ricorrenza delle condizioni per fruire dell’aliquota agevolata nel periodo temporale oggetto dell’accertamento impugnato, perché l’ente locale era già stato messo a conoscenza della volontà della contribuente benché quest’ultima non avesse redatto l’apposita modulistica, tenuto conto del principio di collaborazione e buona fede che, ai sensi dell’art. 10, I. n. 212 del 2000, deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente (Cass. n. 12304/2017; n. 18455/2016).
Quanto, poi, alla possibilità di applicazione dell’agevolazione per più di una unità immobiliare solo ove il contribuente abbia proceduto al preventivo accatastamento unitario, non bastando la circostanza che gli immobili siano utilizzati congiuntamente come abitazione principale, la CTR ha erroneamente applicato all’ICI la diversa regola che vale, invece, per l’IMU, in forza dell’art. 13, comma 2, d.l. 201 del 2011, per cui è sufficiente richiamare il principio, affermato da questa Corte, secondo cui, “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), il contemporaneo utilizzo di più unità catastali non costituisce ostacolo all’applicazione, per tutte, dell’aliquota agevolata prevista per l’abitazione principale (agevolazione trasformatasi in totale esenzione, ex art. 1, d.l. 27 maggio 2008, n. 93, a decorrere dal 2008), sempre che il derivato complesso abitativo utilizzato non trascenda la categoria catastale delle unità che lo compongono, assumendo rilievo a tal fine non il numero delle unità catastali, ma l’effettiva utilizzazione ad abitazione principale dell’immobile complessivamente considerato, ferma restando la spettanza della detrazione prevista dal comma 2 dell’art. 8 d.lgs n. 504 del 1992 una sola volta per tutte le unità.” (Cass. n. 25902/2008; n. 25729/2009; n. 3393/2010; n. 15198/2014).
Con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, n. 4 e n. 5, violazione degli artt. 112 c.p.c., 32, 33, 61, d.lgs. n. 546 del 1992, insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, giacché la CTR ha ritenuto di censurare la condotta processuale della contribuente, per non avere la B. partecipato alla udienza dell’11/6/20013, ancorché svoltasi in camera di consiglio e senza la presenza dei difensori, trattandosi di una controversia da decidere su base puramente documentale e non potendo farsi discendere conseguenze, essendo sindacabile, dalla mancata richiesta di trattazione in pubblica udienza.
La censura si appalesa inammissibile per difetto d’interesse ad impugnare, in quanto dall’affermazione che si legge nella sentenza della CTR non è fatta discendere alcuna concreta conseguenza sul dispositivo della decisione, e l’interesse in questione non può certo consistere nella sola correzione della motivazione della sentenza impugnata ovvero di una sua parte (Cass. n. 1236/2012; n. 549/2016; n. 30354/2017).
Con il quinto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, n. 4 e n. 5, violazione degli artt. 11, d.lgs. n. 504 del 1992, 2697 c.c., insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, motivazione apparente, giacché la CTR ha ritenuto l’avviso di accertamento “correttamente motivato”, trascurando la censura concernente l’illegittimità dell’atto impositivo per insufficiente e contraddittoria motivazione, non essendo in esso specificate le ragioni della maggiore imposta e della irrogazione delle sanzioni.
La censura si appalesa inammissibile per difetto di autosufficienza sancito dall’art. 366 c.p.c. in quanto nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass. n. 16147/2017; n. 9536/2013). Con il sesto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, n. 4 e n. 5, violazione degli artt. 112 c.p.c., 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, motivazione apparente, giacché la CTR non ha pronunciato su motivi riproposti in appello, avendo la contribuente eccepito l’intervenuto giudicato interno sulla illegittimità della richiesta di maggiore imposta ICI come da Tabella C, come dalla CTP riconosciuto, stante l’ininfluenza dell’errore commesso dalla contribuente nella indicazione delle singole rendite, avuto riguardo a quanto complessivamente versato, capo della sentenza di primo grado non specificamente appellato, e neppure sulla inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento per posta ed in un’unica busta, e sulla mancanza di firma autografa in calce all’atto notificato.
Quanto alla denunciata omessa pronuncia sulla eccezione di giudicato interno, va rilevato che l’effetto devolutivo dell’appello di Roma Capitale ha riaperto la cognizione sull’intera statuizione del primo giudice, essendo la impugnazione proposta volta ad ottenere l’integrale ribaltamento della prima decisione, con la integrale conferma della legittimità dell’accertamento ICI, né la censura della ricorrente per come formulata, rispetto alle questioni di fatto e di diritto suscettibili di devoluzione ma non singolarmente appellate, consente di pervenire ad una diversa soluzione, non essendo dato alla Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunciata violazione supplendo all’attività espositiva spettante alla parte ricorrente.
Quanto alla omessa pronuncia sulle ulteriori eccezioni riproposte in appello, afferenti profili formali dell’avviso di accertamento (inesistenza della notificazione di più atti in busta unica, mancanza di firma autografa ed insufficienza della sottoscrizione “a stampa”), va osservato che II motivo è infondato in quanto per gli estremi del vizio in esame non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice sulla specifica questione oggetto di domanda o eccezione proposte dalla parte, quando la decisione adottata ne comporti comunque la sostanziale reiezione, ancorché implicitamente ed in mancanza di specifiche argomentazioni addotte al riguardo (Cass. n. 20311/2011; n. 17956/2015; n. 24155/2017), considerato che tanto il primo che il secondo giudice hanno esaminato nel merito la pretesa impositiva ritenendo evidentemente superabili le deduzioni difensive della contribuente.
Tanto appare in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, in tema di ICI, “la spedizione di plurimi avvisi di accertamento in un’unica busta raccomandata non integra alcuna nullità, riverberando esclusivamente sul piano delle mere irregolarità formali, laddove non venga accertato un effettivo pregiudizio all’esercizio, da parte del destinatario, del diritto di difesa” (Cass. n. 27175/2011), da escludere avuto riguardo alla compiutezza dei motivi svolti nel ricorso introduttivo del giudizio, e In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), e “qualora l’avviso di accertamento sia prodotto mediante sistemi informativi automatizzati, la sottoscrizione di esso può essere legittimamente sostituita, ai sensi dell’art. 1, comma 87, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, che deve essere contenuto in un apposito provvedimento di livello dirigenziale” (Cass. n. 15447/2010; n. 20628/2017).
La sentenza impugnata non si è attenuta ai principi che precedono va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa, per nuovo esame, alla medesima CTR, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo, il secondo ed il sesto, inammissibili gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.