CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 novembre 2018, n. 30776
Accertamento – Movimentazioni bancarie – Bonifici dall’estero – Contenzioso tributario – Procedimento – Ricorso per Cassazione
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle entrate emetteva sei avvisi di accertamento nei confronti di C. M. (anni 2002 e 2003), P. M. E., P. E. e P. G. (anni 2002 e 2003), evidenziando, per quel che ancora qui rileva, che sui conti correnti nella loro disponibilità erano stati versati “bonifici dall’estero”, per i quali non era stata ritenuta plausibile la giustificazione fornita in sede di contraddittorio, ai sensi dell’art. 32 d.p.r. 600/1973, consistente nello smobilizzo di una polizza assicurativa per € 1.000.000, pagata con denaro proveniente da un transazione con la società Studi cinematografici (lire 11.450.000.000 di lire) , costituita il 6-2-2002 quale “garanzia” per ottenere un finanziamento da società estera per € 875.000,00 (richiesta alla BSI Itd il 10-3-2002), qualificata dalla Agenzia delle entrate come contratto di “capitalizzazione”, con somme poi riversate, dopo la restituzione del finanziamento (6-2-2003), in parte sul conto corrente dei P. ed in parte su quello della madre C., per pagare lavori di ristrutturazione.
2. La Commissione tributaria provinciale dichiarava tardivi i ricorsi proposti da P. G., disponeva consulenza tecnica d’ufficio, accoglieva in parte gli altri ricorsi, riducendo gli importi richiesti dalla Agenzia delle entrate ed eliminando le sanzioni.
3. La Commissione tributaria regionale dichiarava (in motivazione) l’estinzione del giudizio riguardante la C. per definizione della lite ai sensi dell’art. 39 comma 12 del d.l. 98/2011, accoglieva l’appello principale dell’Agenzia solo in relazione alle sanzioni, che erano legittime, rigettando l’appello incidentale dei contribuenti.
4. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.
5. Resistevano con controricorso i contribuenti.
6.In sede di udienza il difensore dei resistenti chiedeva la liquidazione delle spese in suo favore, nella sua qualità di difensore antistatario.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “nullità della sentenza per motivazione (per relationem) meramente apparente, violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.”, in quanto la sentenza della Commissione regionale ha solo espresso una acritica condivisione alla pronuncia del giudice di prime cure, enunciando in sole 12 righe le risposte alle singole censure avanzate dall’Agenzia con la proposizione dell’appello.
1.1. Tale motivo è infondato.
1.2. Anzitutto, si rileva che il ricorso, seppure confezionato in qualche misura con la tecnica dell’assemblaggio (l’atto di appello è riportato per intero da pagina 14 a pagina 35), e quindi con una esposizione dei fatti “non sommaria”, in violazione dell’art. 366 comma 1 n. 3 c.p.c., tuttavia rispetta il principio della autosufficienza, in quanto, estrapolando i documenti riportati per intero, consente a questa Corte di individuare il contenuto delle singole censure (Cass.Civ., 18 settembre 2015, n. 18363).
1.3. Invero, la motivazione della Commissione regionale, pur richiamando la pronuncia della Commissione provinciale, ha anche provveduto, pur nella sua estrema sintesi, a rispondere alle singole critiche avanzate dalla Agenzia delle entrate con l’atto di appello, con l’indicazione specifica dei documenti posti alla base della difesa dei contribuenti, rendendo possibile l’individuazione delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass.Civ.,Sez.Un., 4 giugno 2008, n. 14815; Cass.Civ., 8 gennaio 2015, n. 107; Cass.Civ., 6 marzo 2018, n. 5209; Cass.Civ., 22022 del 2017).
1.4. La sentenza della Commissione regionale è stata pubblicata il 24-2-2014, sicché il ricorso per cassazione, dopo le modifiche di cui al d.l. 83/2012 (applicabile alle sentenze depositate a partire dall’ 11-9-2012), non solo non poteva essere articolato ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per insufficiente o contraddittoria motivazione (ma solo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti), ma doveva superare anche il vaglio del principio della “doppia conforme” di cui all’art. 348 ter comma 5 c.p.c., con inammissibilità del ricorso per cassazione se la motivazione del giudice di appello è fondata sulle “stesse ragioni” inerenti alle “questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata”.
La ricorrente, invece, ha optato per censura di “apparente motivazione”, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., a seguito della motivazione per relationem alla pronuncia di primo grado.
1.5. La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.|. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass.Civ., Sez.Un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass.Civ., 2 ottobre 2017, n. 23940).
1.6. Ricorre, però, il vizio di apparente motivazione solo se il giudice di appello ha sostanzialmente riprodotto la decisione di primo grado, senza illustrare – neppure sinteticamente – le ragioni per cui ha inteso disattendere tutti i motivi di gravame, limitandosi a manifestare la sua condivisione alla decisione di prime cure (Cass.Civ., 18 giugno 2018, n. 16057;) oppure se ha omesso di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento oppure li ha indicati senza una approfondita loro disamina logica e giuridica (Cass.Civ., 7 aprile 2017, n. 9105).
1. 7. In realtà, la motivazione della Commissione regionale risponde alle nove censure formulate con l’atto di appello dalla Agenzia delle entrate.
La prima parte della motivazione si diffonde nell’esame dei motivi 1, 3, 4, 5, 6, e 7 (l.Recepimento delle conclusioni del CTU senza adeguata motivazione;
3. Mancata descrizione del CTU in ordine alla provenienza delle somme originarie; 5. Alcuni allegati alla relazione non erano “sufficientemente probatori”; 5.”Alcuni giroconto non sono tali”;6.I P. hanno messo in atto una commistione fra i conti correnti personali e quelli delle attività societarie; 7.Alcuni documenti non recano prova dell’esecuzione di quanto desunto dalle lettere dei contribuenti).
In realtà, la Commissione regionale , dopo avere richiamato la motivazione della pronuncia della Commissione provinciale, fondata sulla CTU espletata (“Per quanto riguarda gli accertamenti nei confronti di altri soggetti, si rileva come non esistano motivi per non condividere le conclusioni dei primi giudici che si sono avvalsi delle relazioni del CTU…in proposito questa Commissione rileva come il consulente abbia validamente ridotto, avvalendosi di idonea documentazione, le somme accertate dall’Ufficio ammettendo quelle prive di giustificazione della loro provenienza ed eliminando quelle provenienti da giroconti”), ha poi chiarito l’origine della provvista utilizzata per costituire la polizza di € 1.000.000,00, necessaria per ottenere il finanziamento di € 875.000 da società estera, poi estinto con lo “smobilizzo” di tale polizza, con i conseguenti bonifici dall’estero verso il conto corrente dei contribuenti (prima presso il conto corrente di M. E. e poi in favore degli altri).
Infatti, la Commissione regionale, con autonomo ed indipendente ragionamento, ha chiarito che “lo stesso [il consulente] ha individuato la provenienza iniziale delle somme, in una transazione del 2002, riguardante un risarcimento dovuto alla famiglia P. da parte della Società Studi Cinematografici Pontini s.p.a. per cui questa aveva depositato la somma di lire 11.450.0. 000 sul c/c 2332/8 intestato a P. M. presso la detta Banca Popolare di Spoleto”.
Con riferimento alle movimentazioni successive da tale conto corrente per la costituzione della polizza di € 1.000.000,00, da utilizzare per ottenere il finanziamento di € 875.000,00, poi restituito attraverso lo smobilizzo della stessa e la restituzione del residuo ai contribuenti (€ 578.479,14, quindi entro il margine dell’affidamento bancario suddetto) con bonifici recanti la dizione “bonifici dall’estero”, la Commissione regionale ne ha descritto le modalità nella prima parte della motivazione, riportando il contenuto dei ricorsi presentati (cfr. pag. 1 “Nel merito assumevano che le movimentazioni bancarie erano frutto solo di partite di giro e somme erogate dai figli, tramite istituto estero BSI Itd per consentire alla madre, C. M., opere di ristrutturazione edilizia e che la stessa avrebbe poi restituito il residuo agli stessi figli che, successivamente, riscattavano una polizza di 1.000.000,00 di euro stipulata, presso la Banca Popolare di Spoleto, con la Growlife, tramite la società lussemburghese Sdeven Ventures Holding SA appartenente alla famiglia P.”).
La Commissione, poi, si sofferma sulla censura formulata al punto 2 dell’atto di appello della Agenzia delle entrate (“Il CTU nulla dice sulla natura della polizza”), evidenziando che “quanto al punto 2, la relazione del CTU circa i movimenti ed i giroconti, ricomprende anche la somma investita per la stipulazione della polizza e, peraltro, questa riguarderebbe la posizione della signora C. M. che, si ripete, si è avvalsa dell’istanza di definizione di lite pendente…A nulla rileva la natura della polizza poiché, ancorché di natura finanziaria anziché assicurativa, per la tassazione di eventuali rendimenti dovrebbero aver provveduto gli istituti di credito”).
Tale motivazione, quindi, nel suo complesso potrebbe essere, al più insufficiente, ma non è certo apparente, in quanto si sofferma su fatti e circostanze precise e determinate, già peraltro analizzate dalla motivazione della sentenza di primo grado con le medesime valutazioni, in tal modo sterilizzando la possibilità per la ricorrente di proporre censure ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. (omesso esame di un fatto decisivo e controverso), stante il divieto di cui all’art. 348 ter comma 5 c.p.c..Infatti, in caso di “doppia conforme” è, comunque, consentito il sindacato sulla esistenza e non mera apparenza della motivazione ai sensi dei numeri 3 e 4 dell’art. 360 c.p.c.
1.8. Il giudicato richiamato solo nelle controdeduzioni di primo grado dall’Agenzia delle entrate, e riportato nel primo motivo di impugnazione, è relativo ad altra annualità (anno 2004).
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “nullità della sentenza per ultrapetitum in violazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 306 e ss. c.p.c. nei giudizi riuniti in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c.” “, per cui la sentenza sarebbe nulla per avere la Commissione regionale dichiarato l’estinzione del giudizio nei confronti della C. per sopravvenuta definizione della lite pendente a seguito di condono, senza distinguere in motivazione che la contribuente era stata attinta da due diversi giudizi di accertamento, rispettivamente del 2002 e del 2003, mentre la definizione della lite concerneva solo l’accertamento per l’anno 2003.
2.1. Tale motivo è infondato.
In realtà, la Commissione regionale ha chiarito nella prima parte della motivazione che “i contribuenti controdeducono e presentano appello incidentale con la sola esclusione del ricorso di cui all’avviso di accertamento 8720100502 anno 2003, in quanto, nelle more del processo, in data 25-11- 2011, la contribuente C. M. aveva prodotto istanza di definizione di lite pendente, ai sensi dell’art. 39 comma 12 del d.l. 6-7-2011, n. 98” (cfr. pagina 3), aggiungendo che “successivamente in data 24-9-2012, l’Agenzia delle entrate conferma che in data 25-11-2011, la contribuente C. ha prodotto istanza di definizione di lite pendente, ai sensi dell’art. 39 comma 12 del D.L. 6-7-2011 n. 98” (cfr. pagina 3 ultime tre righe).
Pertanto, quando a pagina 4 della motivazione la Commissione afferma che “Occorre preliminarmente dichiarare l’estinzione del giudizio riguardante C. M. per sopraggiunta valida istanza di definizione di lite pendente, ai sensi dell’art. 39 comma 12 del d.l. 6-7-2011, n. 98, come confermato”, non v’è dubbio che l’estinzione parziale riguarda solo l’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2003.
Il tenore del dispositivo, quindi, nel senso che “La Commissione accoglie l’appello principale dell’Ufficio, limitatamente alle dovute sanzioni. Respinge totalmente l’appello incidentale dei contribuenti. Conferma per il resto, la sentenza impugnata”, non impedisce di tenere conto della dichiarazione di estinzione parziale chiaramente affermata in motivazione, anche se solo per l’anno 2003, in quanto la portata precettiva della sentenza va individuata tenendo conto non solo del dispositivo, ma anche integrando questo con la motivazione (Cass.Civ., 17 luglio 2015, n. 15088), sicché ove manchi un vero e proprio contrasto tra dispositivo e motivazione, deve ritenersi prevalente la statuizione contenuta in una delle due parti del provvedimento, che va interpretato secondo l’unica statuizione in esso contenuta.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, n. 7, 39, commi 1, lettera d) e 40 d.p.r. 600/1973 anche con riferimento agli obblighi di motivazione ai principi di riparto dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.”, in quanto ai sensi dell’art. 32 comma 1, i versamenti ed i prelevamenti danno luogo ad una presunzione legale relativa di maggiori ricavi non dichiarati, mentre incombe sul contribuente l’onere della prova circa l’estraneità delle singole operazioni rilevate all’attività oggetto dio verifica o comunque la loro irrilevanza fiscale. Nella specie, invece, la Commissione regionale ha ritenuto che tale prova contraria fosse stata fornita attraverso gli elementi presuntivi offerti dai contribuenti e confermati dal CTU, che ha fatto riferimento solo alla “probabilità” che le somme di cui ai bonifici dall’estero provenissero dal conto corrente acceso presso in Italia presso la Banca Popolare di Spoleto, su cui erano depositate le somme relative alla transazione stipulato nel 2002, ed ha ritenuto irrilevante la natura finanziaria della polizza in quanto “alla tassazione …dovrebbero aver provveduto gli istituti di credito”.
3.1. Tale motivo è infondato.
Invero, non v’è stata violazione delle regole di riparto dell’onere della prova, evidenziandosi anche che la prova contraria in capo al contribuente ai sensi dell’art. 32 comma 1 d.p.r. 600/1973, può anche essere fornita con presunzioni semplici, aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza, in relazione a ciascun movimento bancario (Cass.Civ., 30 novembre 2011, n. 25502; Cass.Civ., sez. 5, 29 luglio 2016, n. 15857; Cass.Civ., 5 maggio 2017, n, 11102), e nella specie, gli elementi risultanti dalla CTU, la sussistenza di ingenti somme sul conto corrente acceso presso la Banca Popolare di Spoleto, derivanti dalla transazione stipulata nel 2002, la costituzione della polizza fideiussoria di € 1.000.000,00, con prelievo delle somme dal predetto conto corrente, l’acquisizione del finanziamento dalla società estera per € 875.000,00, lo smobilizzo della polizza per l’estinzione del finanziamento ad appena un anno di distanza dalla costituzione della stessa, il rientro in Italia delle somme (bonifici dall’estero) dopo l’estinzione del finanziamento, inducono a ritenere correttamente fornita dai contribuente la prova contraria di cui all’art. 32 comma 1 d.p.r. 600/1973.
4. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente e si liquidano, in favore del difensore antistatario dei resistenti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al rimborso in favore del difensore antistatario dei contribuenti delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi € 6.000,00, oltre accessori di legge e rimborso spese forfettarie nella misura del 15 %.
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