CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 settembre 2018, n. 23596
Licenziamento – Superamento del periodo di comporto – Reiterazione di comportamenti scorretti – Intento vessatorio – Mobbing – Configurabilità
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 3665 pubblicata il 22.6.2016, ha respinto il reclamo della sig.ra M., confermando la sentenza di primo grado con cui erano state rigettate le domande dalla medesima proposte e dirette all’accertamento della condotta vessatoria di parte datoriale e alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato con lettera del 6.6.2014, per superamento del periodo di comporto.
2. La Corte territoriale ha ritenuto computabili nel periodo di comporto le assenze per malattia nei giorni 26 – 28 giugno e 20 – 25 novembre 2013, in mancanza di contestazioni sul punto da parte della lavoratrice.
3. Ha interpretato l’art. 175 del CCNL del Commercio, che fissa in “180 giorni in un anno solare” la durata massima di conservazione del posto di lavoro, come riferito sia al comporto secco e sia a quello per sommatoria. Ha aggiunto che, ove anche si ritenesse disciplinato dall’art. 175 solo il comporto secco, dovrebbe applicarsi in via di equità, ai sensi dell’art. 2110, comma 2, c.c., al comporto per sommatoria, il medesimo termine di 180 giorni, calcolato a ritroso dall’ultimo episodio morboso nell’ambito dell’anno solare di 365 giorni.
4. Ha sottolineato che, se anche si individuasse il limite esterno al periodo di comporto nella ordinaria durata triennale della contrattazione collettiva, lo stesso risulterebbe superato, dovendosi comunque escludere la possibilità che il termine ricominciasse a decorrere ad ogni scadenza contrattuale, ipotesi contraria ai principi di ragionevolezza e parità di trattamento tra i lavoratori.
5. La Corte d’appello ha escluso che, a decorrere dall’aprile 2012 e a seguito dell’insediamento del dirigente sig. D., la lavoratrice fosse stata destinataria di condotte vessatorie, non potendo desumersi utili indizi in tal senso dalle e-mail prodotte in atti, dal riconoscimento solo in marzo 2013 del bonus relativo all’anno 2012, dall’esito della valutazione annuale del 2013.
L’infondatezza dell’addebito disciplinare mosso alla lavoratrice per mancata comunicazione di crediti scaduti, ove anche rivestisse carattere vessatorio, non sarebbe idoneo, in quanto episodio isolato, ad integrare gli estremi del mobbing che richiede la reiterazione di comportamenti sorretti e unificati da un intento persecutorio. Tale addebito, peraltro, fu contestato il 31.1.2014, quando la dipendente era già assente per malattia da due mesi.
6. Ha giudicato irrilevante la mancata concessione dell’aspettativa richiesta dalla lavoratrice con lettera del 30.5.2014, sul rilievo che a tale data risultava superato il termine di 180 giorni per la maturazione del comporto, individuato dall’art. 181 del c.c.n.l. come termine ultimo per la presentazione della domanda.
7. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la lavoratrice, affidato a quattro motivi. La società datoriale, I.I. s.r.I., è rimasta intimata.
8. La sig.ra M. ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Ragioni della decisione
1. Col primo motivo la ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 414, 416, 420, 116 c.p.c., in relazione all’art. 5, L. n. 604 del 1966 e dell’art. 2697 c.c..
2. Ha sostenuto di avere, fin dall’impugnativa stragiudiziale del licenziamento, e poi nel ricorso introduttivo di primo grado, nelle note autorizzate, nella fase di opposizione e in sede di reclamo, contestato il superamento del periodo di comporto e le assenze di giugno e novembre 2013 (essenziali ai fini del superamento del comporto), laddove parte datoriale nulla ha allegato e prodotto al riguardo, con conseguente erronea applicazione, ad opera della Corte territoriale, del principio di non contestazione nonché dei criteri di distribuzione dell’onere probatorio in materia di licenziamento.
3. Col secondo motivo la ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 e ss. c.c. in relazione all’art. 175 c.c.n.l. Commercio e Terziario.
4. Ha argomentato come, in base al dato letterale, dovesse ritenersi disciplinato dall’art. 175 c.c.n.l. unicamente il cd. comporto secco e non quello per sommatoria o frazionato, richiamando pronunce di legittimità in tal senso (Cass. n. 23663 del 2011) e sottolineando come la diversa interpretazione data dalla Corte d’appello si porrebbe in contrasto con i criteri di ermeneutica contrattuale.
5. Ha censurato l’applicazione ad opera della Corte territoriale del criterio di equità, ai sensi dell’art. 2110 c.c., con estensione al comporto per sommatoria dello stesso termine fissato per il comporto secco, in quanto non idoneo a realizzare un adeguato contemperamento degli opposti interessi delle parti.
6. Ha richiamato la giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto conforme ad equità l’integrazione della disciplina collettiva nel senso di stabilire il termine interno del comporto frazionato in misura corrispondente a quello del comporto secco, ma individuando quale limite esterno il triennio di durata media dei contratti collettivi; ha invocato inoltre l’azzeramento del computo delle assenze all’atto di successione dei contratti collettivi.
7. Ha precisato come, in applicazione dei criteri proposti, la Corte territoriale avrebbe dovuto constatare il mancato superamento del periodo massimo di comporto.
8. Col terzo motivo la ricorrente ha dedotto omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c..
9. Ha rilevato come la Corte territoriale non avesse esaminato il fatto (oggetto del ricorso introduttivo e riproposto in sede di reclamo) dell’avvenuto trasferimento della lavoratrice dalla sede di Roma a quella di Lainate, in provincia di Milano, con decorrenza dal 16.12.2013.
10. Ha precisato di essere stata l’unica dipendente trasferita ad altra sede e come presso la sede di Lainate non vi fosse esigenza di copertura del posto alla medesima assegnato, rimasto vacante per due anni dopo il suo licenziamento.
Ha aggiunto di aver proposto ricorso al tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro (RG. N. 19407/2014) al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità di detto trasferimento.
11. Ha precisato ancora di essere stata l’unica dipendente esclusa dalle periodiche riunioni aziendali tenute a Lainate da maggio 2012 a novembre 2013, e che anche l’esame di tale fatto fosse stato del tutto omesso dalla Corte territoriale.
12. Ha ribadito di essere stata l’unica dipendente a non aver discusso e concordato gli obiettivi aziendali, a non aver percepito il bonus aggiuntivo della retribuzione per l’anno 2013, a non essere stata valutata dal diretto superiore per l’anno 2012.
13. Ha richiamato la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 13693 del 2015; Cass. n. 18836 del 2013; Cass. n. 18927 del 2012) secondo cui il giudice di merito, anche nella accertata insussistenza di un intento persecutorio idoneo a unificare gli episodi addotti dall’interessato, deve tuttavia valutare se alcuni dei comportamenti denunciati, singolarmente considerati, possano rivestire carattere vessatorio e mortificante sì da fondare una responsabilità datoriale.
14. Ha argomentato sulla configurabilità nel caso di specie di un’ipotesi di mobbing attenuato o, comunque, di una condizione di costrittività organizzativa che le ha provocato danni di natura psichica ed esistenziale, tradottisi nella malattia che l’ha costretta ad assentarsi dal posto di lavoro a partire dal 2.12.13 e fino al 27.5.2014, malattia imputabile ai sensi dell’art. 2087 c.c. alla illegittima condotta datoriale.
15. Col quarto motivo la ricorrente ha dedotto nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., error in procedendo per omessa pronuncia su un motivo di gravame, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c..
16. La Corte territoriale avrebbe, secondo la lavoratrice, del tutto omesso la pronuncia sul motivo di appello, debitamente trascritto, concernente la contrarietà a buona fede della condotta datoriale, specificamente per il rifiuto opposto alla richiesta di aspettativa non retribuita.
17. Il primo motivo di ricorso è infondato.
18. Occorre premettere come le norme poste dal codice civile in materia di onere della prova attengono al diritto sostanziale, la cui violazione dà luogo ad errores in iudicando, e non al diritto processuale, la cui violazione dà luogo ad errores in procedendo; pertanto incombe sulla parte che censuri per violazione dell’art. 2697 c.c. la sentenza di merito, di indicare dettagliatamente gli elementi necessari alla valutazione del fondamento delle censure stesse, non rientrando tra i compiti del giudice di legittimità l’esame diretto degli atti se non per la verifica dello svolgimento del giudizio in conformità al rito, (Cass. n. 6332 del 2014; Cass., n. 1247 del 2000).
19. La ricorrente ha riprodotto nel ricorso in esame (pag. 19) il contenuto delle note difensive depositate nella fase sommaria, del seguente tenore: “Nel caso di specie la società datrice non ha fornito prova (che grava sulla controparte e da tale onere è ormai con tutta evidenza decaduta) in alcun modo della veridicità dell’elenco di assenze per malattia posto a fondamento del licenziamento comminato. Segnatamente, in proposito dei suindicati singoli giorni di assenza per i mesi di giugno e novembre 2013 non ha prodotto alcun documento e, dunque, se ne contesta recisamente la sussistenza”.
20. Di contenuto analogo le note difensive depositate nel giudizio di opposizione e trascritte a pag. 22 nel ricorso in esame: “… dalla documentazione presente nella produzione avversaria non emerge alcun elemento idoneo ad attestare le assente assenze della lavoratrice per malattia nei giorni dal 27 al 28 giugno e dal 20 al 25 novembre 2013 (per complessivi 8 giorni). Di conseguenza, apprezzata la carenza di allegazione avversaria sul punto, alla data del 27 maggio 2014 alcun supposto superamento del periodo di comporto poteva essere contestato da parte datoriale”.
21. Sulla base degli atti processuali e nei limiti di quanto trascritto nel ricorso in esame, in ossequio al criterio di autosufficienza (non è riportato il verbale d’udienza del 27.11.2015, richiamato a pag. 21 del ricorso in oggetto), deve escludersi la dedotta violazione degli artt. 2697 c.c., 414, 416, 420 e 116 c.p.c..
22. Secondo l’insegnamento di questa Corte, “Il sistema di preclusioni su cui fonda il rito del lavoro (come il rito civile riformato) comporta per entrambe le parti l’ onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa, evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione; ne consegue che ogni volta che sia posto a carico di una delle parti ( attore o convenuto che sia) un onere di allegazione (e di prova), il corretto sviluppo della dialettica processuale impone che l’altra parte prenda posizione in maniera precisa rispetto alle affermazioni della parte onerata, nella prima occasione processuale utile (e perciò nel corso dell’udienza di cui all’art. 420 cod. proc. civ., se non ha potuto farlo nell’atto introduttivo), atteso che il principio di non contestazione, derivando dalla struttura del processo e non soltanto dalla formulazione dell’art. 416 cod. proc. civ., è applicabile, ricorrendone i presupposti, anche con riguardo all’ attore, ove oneri di allegazione (e prova) gravino anche sul convenuto”, (Cass. n. 3245 del 2003).
23. La circolarità tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova che caratterizza il rito del lavoro (Cass., S.U., n. 11353 del 2004), comporta che, in ipotesi di impugnativa del licenziamento, mentre grava sul datore di lavoro, ai sensi dell’art. 5, L. n. 604 del 1966, di allegare e provare i fatti costitutivi del legittimo esercizio del potere di recesso, compete al lavoratore la contestazione di fatti medesimi, non dedotti in esclusiva funzione probatoria, risultando altrimenti gli stessi non controversi e, come tali, non bisognevoli di prova, (Cass. n. 19709 del 2015; Cass. n. 5191 del 2008; Cass. n. 535 del 2003).
24. L’esame degli atti processuali sopra riportati conferma la valutazione di non contestazione operata dalla Corte d’appello sulle assenze di giugno e novembre 2013, incluse nel computo del comporto. Nelle note conclusive nel giudizio sommario e di opposizione, la lavoratrice ha unicamente rilevato il mancato assolvimento dell’onere di prova sul punto da parte datoriale, senza mai prendere posizione in maniera chiara e precisa sulla inesistenza delle assenze per malattia nei giorni suddetti, e la Corte territoriale ha precisato come la stessa, neanche in sede di reclamo avesse “nega(to) di essere stata in malattia in quei giorni”.
25. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
26. E’ vero che questa Corte, con sentenza n. 23663 del 2011, ha interpretato le clausole del c.c.n.l. del settore commercio, applicabile anche al rapporto in esame, come relative unicamente al comporto cd. secco (per un’unica ed ininterrotta malattia), e non a quello per sommatoria di malattie.
27. Nel caso di specie, la Corte di merito, se pure ha, in via principale, ritenuto disciplinato dal c.c.n.l. sia il comporto secco e sia quello per sommatoria, ha tuttavia preso in esame una possibile diversa lettura del c.c.n.l. e motivato sull’ipotesi di mancata disciplina del comporto per sommatoria.
28. Ha infatti proceduto ad individuare la disciplina del comporto per sommatoria secondo equità, come previsto dall’art. 2110, secondo comma, c.c. e ribadito dal consolidato indirizzo di questa Corte: “…se il contratto collettivo preveda.., soltanto il comporto secco o classico (per una malattia unica e continuativa), e non anche quello frazionato o per sommatoria (per plurimi episodi morbosi, tra loro variamente distanziati, e di varia durata, e anche di diversa natura), ci si trova in presenza di una lacuna che … deve essere colmata dal giudice, a norma dell’art. 2110, secondo comma, c.c., in mancanza di usi, secondo l’ equità (non normativa ma) integrativa (art. 1374 c.c.), in modo da contemperare i contrapposti interessi delle parti, attraverso la determinazione della durata massima complessiva (c.d. termine interno), raggiungibile entro un determinato arco di tempo (c.d. termine esterno), dell’assenza per malattia che il datore di lavoro deve sopportare, senza possibilità di recesso, ed entro i limiti della quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto, in caso di episodi morbosi reiterati e distinti (Cass., 5927 del 1996; Cass. n. 5924 del 1994; Cass. n. 896 del 1994).
29. Questa Corte, con giurisprudenza costante, ha ritenuto conforme al criterio di equità l’individuazione del limite interno come coincidente con quello previsto per il comporto secco, e del limite esterno come pari alla durata (media) di vigenza del c.c.n.l. pari a tre anni (cfr. Cass. n. 7037 del 2011; Cass. n. 14633 del 2006; Cass. n. 5978 del 1998; Cass. n. 2624 del 1996; Cass. n. 7672 del 1995; Cass. n. 267 del 1991; Cass. n. 3426 del 1989).
30. Nel caso di specie, l’equo contemperamento dei contrastanti interessi delle parti è avvenuto, ad opera della Corte territoriale, in senso più favorevole alla lavoratrice essendosi individuato il limite interno in 180 giorni, come per il comporto secco, ed il limite esterno non nel periodo triennale medio di durata della contrattazione collettiva, bensì nell’anno solare di 365 giorni, calcolati a ritroso dall’ultimo episodio morboso, con conseguente diritto alla conservazione del posto di lavoro in caso di assenze per malattia fino a 180 giorni in un anno.
31. Questa Corte ha avuto occasione di affermare il principio di diritto secondo cui in relazione alla cosiddetta eccessiva morbilità, il comporto per sommatoria, ove la contrattazione non lo preveda e non vi siano usi utilmente richiamabili, va determinato dal giudice con impiego della cosiddetta equità integrativa. In tal caso le determinazioni del giudice circa i termini cosiddetti interni ed esterni del comporto – durata complessiva delle assenze tollerate e ampiezza del relativo periodo di riferimento – sono censurabili in sede di legittimità solo sotto il profilo della logicità e della congruità della motivazione, (Cass., 14633 del 2006; Cass. n. 5978 del 1998; Cass. n. 7187 del 1990).
32. Il criterio di equità applicato nella sentenza impugnata appare corretto ed espresso in adesione ai parametri indicati nella materia in esame dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte quanto alla determinazione del limite c.d. interno e di quello c.d. esterno, come tale incensurabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio di motivazione, nel caso di specie secondo lo schema giuridico di cui al nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., in alcun modo dedotto.
33. Quanto detto rende evidente l’insussistenza della violazione dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 175 c.c.n.I., che la ricorrente pretende di desumere dalla mancata adozione, ai fini del computo del comporto per sommatoria, del limite esterno coincidente con la durata triennale dei contratti ma con azzeramento delle assenze alla scadenza di ciascun contratto collettivo. Criterio correttamente giudicato dalla Corte territoriale irragionevole e tale da creare disparità di trattamento tra i lavoratori in quanto del tutto aleatorio.
34. Sul terzo motivo di ricorso, è vero che la sentenza impugnata non ha preso in esame, quale componente della condotta vessatoria datoriale, il trasferimento disposto nei confronti della lavoratrice dalla sede di Roma a quella di Lainate, in provincia di Milano, e neanche l’esclusione della stessa dalla periodiche riunioni tenute a Lainate, risultando invece esaminati gli altri aspetti attinenti alla valutazione e al bonus per gli anni 2012 e 2013.
35. Occorre considerare che al ricorso in esame è applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. risultante dalle modifiche introdotte col D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni nella L. n. 134 del 2012.
36. Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, hanno precisato che l’art. 360 n. 5 c.p.c., come riformulato a seguito dei recenti interventi, “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”; con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.
37. Nel caso di specie, e sulla base della ricostruzione operata dalla Corte territoriale e non censurabile in questa sede, la censura appare priva del requisito di decisività, non essendo in alcun modo allegato e argomentato come la valutazione del trasferimento a Lainate, o meglio del proposito di trasferimento manifestato alla dipendente (poiché alla data del trasferimento la predetta era già in malattia), e parimenti la dedotta esclusione dalle riunioni, avrebbero potuto condurre ad una decisione diversa. Manca nel ricorso qualsiasi elemento a sostegno della efficacia determinativa causale dei fatti non esaminati sulla patologia che ha poi provocato l’assenza continuativa dal lavoro.
38. E ciò ove anche si ritenesse, in contrasto con quanto affermato nella sentenza impugnata, la singola azione datoriale vessatoria astrattamente idonea a produrre danno all’integrità psicofisica della dipendente (cfr. Cass. n. 3977 del 2018; Cass. n. 3291 del 2016).
39. Gli ulteriori rilievi oggetto del motivo in esame risultano inammissibili in questa sede dovendosi precisare che il “fatto storico” censurabile ai sensi discrezionalità valutativa del giudice di merito, senza violare le regole logiche o le leggi della razionalità (Cass. n. 27944 del 2013; Cass. n. 2869 del 2003); tanto meno sussiste vizio di motivazione solo perché “vi sia difformità rispetto alle attese e alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati”, altrimenti “il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito, che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione”, (Cass., SU., n. 24148 del 2013).
40. Infondato è, infine, il quarto motivo di ricorso.
41. La dedotta violazione degli obblighi di correttezza e buona fede per la mancata concessione dell’aspettativa richiesta dalla lavoratrice, appare inconferente rispetto alla motivazione adottata dalla Corte d’appello sulla tardività della richiesta medesima, avanzata dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 181 del c.c.n.l..
42. Né è in alcun modo allegato uno specifico nesso causale tra l’illegittimità della condotta datoriale per violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. e la patologia sofferta dalla dipendente e responsabile delle assenze per malattia.
43. Per le considerazioni svolte il ricorso deve essere respinto. 44. Non luogo a provvedere sulle spese poiché la società I.I. s.r.l. è rimasta intimata.
45. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del medesimo art. 13.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 settembre 2019, n. 22928 - Licenziamento per superamento del periodo di comporto - In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, devono essere inclusi nel calcolo del periodo, oltre ai giorni…
- Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza n. 582 depositata l' 8 gennaio 2024 - Al lavoratore assente per malattia è consentito di mutare il titolo dell'assenza con la richiesta di fruizione delle ferie già maturate al fine di sospendere il…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 dicembre 2020, n. 29672 - Licenziamento per superamento del periodo di comporto - Periodo di protrazione dell'assenza oltre il comporto - Sussistenza di un caso "particolarmente grave" - Condizioni per l'ulteriore…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 6336 depositata il 2 marzo 2023 - In tema di licenziamento per superamento del comporto, non assimilabile a quello disciplinare, il datore di lavoro non deve specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere…
- TRIBUNALE DI BARI - Ordinanza 12 maggio 2022 - Nel licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia la tempestività del licenziamento non può risolversi in un dato cronologico fisso e predeterminato e la valutazione del tempo decorso…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 marzo 2022, n. 8628 - In tema di licenziamento per superamento del comporto, il datore di lavoro non deve specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, anche sulla…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Le liberalità diverse dalle donazioni non sono sog
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 7442 depositata…
- Notifica nulla se il messo notificatore o l’
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5818 deposi…
- Le clausole vessatorie sono valide solo se vi è ap
La Corte di Cassazione, sezione II, con l’ordinanza n. 32731 depositata il…
- Il dipendente dimissionario non ha diritto all’ind
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 6782 depositata…
- L’indennità sostitutiva della mensa, non avendo na
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 7181 depositata…