CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 settembre 2018, n. 23619
Lavoro – Somministrazione – Effettive ragioni della somministrazione – Sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato
Fatti di causa
1. Con sentenza del 21.5.2014, la Corte di appello di Ancona respingeva il gravame proposto dalla s.r.l. P.I. avverso la decisione di primo grado che aveva dichiarato, in relazione ai contratti di lavoro dedotti in giudizio, intercorsi tra M.G. e la indicata società, la sussistenza tra le stesse di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far data dalla decorrenza del primo contratto di somministrazione, condannando per l’effetto la resistente utilizzatrice al ripristino del rapporto di lavoro ed alla corresponsione, in favore del lavoratore, dell’indennità ex art. 32 I. 183/2010 nella misura di quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge.
2. Riteneva la Corte che la dilazione dei termini di impugnazione di cui al Decreto Milleproroghe era estesa a tutte le ipotesi indicate nell’art. 32 della legge 183/2010, incluse quelle previste ai commi 2, 3 e 4, non potendo dubitarsi di tale applicazione anche alla ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro per scadenza del termine, equiparata, quanto al rito, alla risoluzione per licenziamento, sussistendo analogia di ratio legis, motivo ancor più preminente ed evidente con riferimento ad un termine del tutto nuovo e suscettibile di non essere rispettato per motivi ancor più giustificabili, trattandosi di ipotesi in precedenza non soggetta ad alcuna decadenza. Nella specie, più che un problema di retroattività della nuova normativa, doveva ritenersi che si fosse realizzata con la nuova normativa la ultrattività della precedente.
4. Osservava, quanto al merito: che le assunzioni a termine di lavoratori potessero avvenire solo per assunzioni di specifiche professionalità non altrimenti rinvenibili in azienda e che nella specie difettava anche il requisito della specificità delle motivazioni poste a fondamento della stipulazione del contratto; che era illegittima l’apposizione di un termine ad un contratto di somministrazione in assenza di condizioni analoghe a quelle che avrebbero consentito l’apposizione di un termine ad un contratto di lavoro subordinato; che il datore di lavoro, anche nelle vesti dell’impresa utilizzatrice, aveva l’onere, a fronte della contestazione del lavoratore in ordine alla sussistenza delle esigenze in questione, di esporre e rappresentare in giudizio l’assetto dell’impresa al momento della stipulazione del contratto di durata temporanea, il complessivo andamento dei cicli produttivi, l’impiego della forza lavoro, l’impegno in altre produzioni concomitanti con riferimento a connotati qualitativi particolari della produzione.
5. Aggiungeva che non poteva conferirsi rilevo nella specie alla sostanziale continuità dell’impiego del lavoratore in forza di una serie di cinque contratti (non solo di somministrazione, ma anche di diretta assunzione a termine), che certamente non offriva argomento contrario circa l’effettività dell’esigenza del ricorso iniziale alla somministrazione a tempo determinato e rafforzava il dubbio circa l’impiego esclusivo di tale schema negoziale.
6. La società ha proposto ricorso per cassazione avverso detta sentenza, affidando l’impugnazione a sette motivi, cui ha resistito, con controricorso, il Mariani e la sesta sezione, con ordinanza interlocutoria n. 11186/2016 del 30.5.2016, ha rimesso la controversia alla pubblica udienza della sezione ordinaria.
7. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la società denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 32, comma 1 bis, I. 183/2010 – introdotto dall’art. 1 legge 10/2011 -, dell’art. 32, comma 4, I. 183/2010, dell’art. 6, comma 1, I. 604/1966, come modificato dall’art. 32 I. 183/2010, dell’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale, contestando la ritenuta estensibilità del differimento dell’applicazione dei termini decadenziali previsto dal comma 54 dell’art. 2 del d. I. 225/2010 al di là delle fattispecie di cui all’art. 6, primo comma, della legge 604/66 e traendone la conseguenza che nel caso esaminato doveva essere rilevata la insanabile decadenza in cui era incorso il M. rispetto alla data in cui aveva impugnato per la prima volta i contratti a termini e di lavoro somministrato, con lettera inviata soltanto il 5.4.2011, ricevuta dalla società l’11.4.2011.
2. Con il secondo motivo, deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 32, comma 1 bis, I. 183/2010, introdotto dall’art. 1, I. 10/2011, dell’art. 32, comma 4, I. 183/2010, dell’art. 6, comma 1 della legge 604/1966, come modificato dall’art. 32 I. 183/2010, dell’art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale, dell’art. 15, comma 5, I. 400/88, rilevando l’erroneità dell’ interpretazione fornita dalla Corte con riguardo alla ritenuta portata retroattiva della norma introdotta dalla I. 10/2011 (art. 32 comma ibis I. 183/2010), in evidente violazione dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, e sostenendo che nel caso di specie non poteva invocarsi il differimento dell’efficacia delle disposizioni richiamate ad ipotesi per le quali già si era verificata la decadenza. Osserva che nella specie, essendo indubbio che la legge 10/2011, che aveva introdotto nell’art. 32 I. 183/2010, il comma 1 bis, acquistasse efficacia dal 27.2.2011, il M. era già incorso nella decadenza dalla facoltà di impugnare i contratti per cui è causa (i rapporti di lavoro erano cessati il 31.8.2008 e il termine di 60 gg. decorreva dalla data di entrata in vigore della I. 183/2010).
3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 27, comma 1, d. lgs. 276/2003, dell’art. 81 c.p.c. e dell’art. 1372, comma 2, c. c., sostenendo che l’unico oggetto delle censure erano i rapporti intercorsi tra il M. e l’Agenzia di somministrazione, dal che doveva trarsi la conclusione che unico soggetto dotato di legittimazione passiva fosse l’A. e non P., che l’eventuale illegittimità dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra il M. e l’agenzia di somministrazione non potevano determinare alcuna conseguenza in capo alla ricorrente. Evidenzia che l’unico caso in cui la disfunzione rispetto allo schema legale determina l’instaurazione del rapporto in capo all’utilizzatrice è quello della mancanza di forma scritta.
4. Con il quarto motivo, deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c. c. e dell’art. 1372, comma 1, c. c., sostenendo l’erroneità dell’interpretazione della norma da parte della Corte del merito, che non ha tenuto conto della circostanza che il comportamento del M., inerte e concludente, non sia consistito nella mera inerzia, ma in atteggiamenti volti a confermare la risoluzione del rapporto, stante il valore dichiarativo da attribuirsi non solo all’esecuzione del contratto ma anche alla sua inesecuzione. A ciò dovendo aggiungersi la considerazione in ordine all’esistenza di altro principio, quale quello dell’affidamento, in connessione con l’esigenza della certezza dei rapporti giuridici e della buona fede in ogni fase contrattuale e la rilevanza ai fini considerati di altre norme del diritto del lavoro tendenti a contenere la conflittualità tra lavoratore ed impresa entro circoscritti limiti temporali .
5. Con il quinto motivo, la società lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’allegazione e alla prova della sussistenza delle esigenze giustificatrici della somministrazione a tempo determinato, atteso che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice del gravame, la società, sin dalla memoria difensiva di primo grado, aveva dedotto fatti volti a dimostrare la sussistenza delle effettive ragioni della somministrazione, relativi, ad esempio, ad un forte picco registratosi presso lo stabilimento di Marino del Tronto nella produzione del farmaco D.X., ovvero al lancio dello stesso sul mercato americano che aveva causato detto picco temporaneo dei volumi produttivi del farmaco. Rileva che la Corte erroneamente abbia ritenuto il difetto di allegazioni e prove, costituenti il fatto decisivo del quale si era omesso ogni esame.
6. Con il sesto motivo, censura la decisione impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 27, co. 3, D. lgs. 276/2003 e dell’art. 41 Cost., osservando che, sulla base della interpretazione dottrinaria e giurisprudenziale anche di legittimità, l’obbligo di indicazione delle causali del contratto di somministrazione deve essere valutato in maniera diversa e meno rigorosa rispetto a quello previsto dal legislatore per l’ipotesi del contratto a termine e che, ai fini della valutazione delle ragioni di cui all’art. 20, commi 3 e 4, che consentono la somministrazione di lavoro, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali, all’accertamento della esistenza delle ragioni che la giustificano e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative e produttive che spettano all’utilizzatore.
7. Infine, con l’ultimo motivo, denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 20, comma 4, del d. lgs. 276/2003, evidenziando che tale norma individua come unica condizione causale di liceità del ricorso al contratto di somministrazione a tempo determinato la sussistenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore, prescindendo dal requisito delle temporaneità delle esigenze da soddisfare, richiamate, invece, dal giudice del gravame. Rileva, poi, che il limite dei 36 mesi previsto dall’art. 5, comma 4 bis, d. Igs 368/2001 riguarda solo i contratti a tempo determinato e non anche la somministrazione.
8. In ordine al primo ed al secondo motivo, deve osservarsi che l’art. 32 commi 1 – 4 della legge n. 183 del 2010, nel modificare l’assetto normativo dettato dall’art. 6, commi 1 e 2, della legge 15 luglio 1966 n. 604, ha esteso il regime delle decadenze a fattispecie che prima della legge 183 non ne erano toccate, compresa, per quel che qui interessa, la fattispecie dei contratti di lavoro in somministrazione.
9. Sotto la dicitura “Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato” il legislatore è intervenuto per modificare, in primo luogo, ed in via generale, la disciplina dell’impugnazione dei licenziamenti.
E’ stato introdotto, accanto al termine di decadenza di sessanta giorni per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, già esistente, un ulteriore termine di duecentosettanta giorni per la proposizione del ricorso giurisdizionale.
Tali termini sono stati successivamente modificati dalla legge 28 giugno 2012 n. 92 (c.d. legge Fornero) rispettivamente in novanta e centottanta giorni.
L’art. 32 della legge n. 183 del 2010, poi, nei commi da 2 a 4, estende questa nuova disciplina, formulata mediante la riscrittura dell’art. 6 cit., ad una serie di altre ipotesi e cioè”anche a tutti i casi di invalidità del licenziamento” (secondo comma), nonché (commi 3 e 4) ad altre forme contrattuali ed atti datoriali.
10. In questo contesto, il quarto comma assoggetta all’obbligo di impugnazione ed ai termini di decadenza ricordati: i contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del d. lgs. 6 settembre 2001, n. 368 , in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla scadenza del termine; i contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di legge previgenti al d. lgs. 6 settembre 2001, n. 368, e già conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge; le cessioni di contratti di lavoro avvenute ai sensi dell’articolo 2112 cod. civ. con termine decorrente dalla data del trasferimento; ogni altro caso, compresa l’ipotesi prevista dall’ art. 27 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, in cui si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto.
11. Il possibile decorso di un termine apprezzabilmente ampio tra l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento (da effettuarsi entro 60 giorni dalla comunicazione del recesso anche secondo il previgente art. 6 della L. n. 604 del 1066) e l’azione giudiziaria ovvero l’insussistenza di limiti temporali (in caso di azioni imprescrittibili) potevano configurare situazioni prolungate di assoluta incertezza per le parti che il legislatore ha ritenuto di disciplinare mediante l’introduzione di un doppio regime di decadenza esteso ad una ampia rosa di ipotesi, assetto più severo che è stato bilanciato da un congruo differimento dell’efficacia della novella (D.L. n. 225 del 2010), senza che si possa ravvisare – in tale bilanciamento – un “regolamento irrazionale” (Cass. S.U. n. 15352/2015, di seguito esposta) delle due contrapposte esigenze (garanzia di una sollecita definizione delle controversie, da una parte, ed affidamento a fruire del termine prescrizionale, dall’altra). Invero, come sottolineato da questa Corte (cfr. S.U. n. 4913/2016 e Cass. n.24258/21016), proprio la disciplina contenuta nel D.L. n.225 del 2010 consente di applicare il nuovo regime decadenziale a fattispecie (licenziamenti o altre ipotesi regolate dall’art. 32 l. n. 183 del 2010) intervenute prima del 24.11.2010, in quanto la rimessione in termini al 31.12.2011 risponde alla “ratio legis” di risolvere, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all’introduzione “ex novo” del suddetto termine di decadenza.
12. La soluzione adottata nel caso di specie, concernente i contratti di somministrazione stipulati o conclusi prima dell’entrata in vigore dell’art. 32 legge n. 183/10 (24.11.2010), si inquadra, pertanto, coerentemente, nell’ambito dell’orientamento di recente consolidato da parte di questa Corte che – con numerose e distinte pronunce (innanzi citate) – ha ritenuto applicabile ai licenziamenti e alle altre ipotesi regolate dall’art. 32 l. n. 183 del 2010, e risalenti a periodo precedente il 24.11.2010, sia il nuovo regime decadenziale sia il differimento al 31.12.2011 disposto dal D.L. n. 225 del 2010, proprio in considerazione del ragionevole bilanciamento effettuato dal legislatore tra esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e difesa del lavoratore.
13. Il principio di diritto, qui richiamato è quello secondo cui: “La decadenza di cui all’art. 32, comma 4, della L. n. 183 del 2010, e la conseguente proroga di cui al comma 1 bis del medesimo articolo, si applicano anche ai contratti a termine in somministrazione cessati o stipulati prima della data di entrata in vigore della legge stessa (24 novembre 2010)”.
14. Nel caso in esame, come ammesso dalla stessa società ricorrente (pag. 2 del ricorso ex art. 360 c.p.c.), l’ultimo contratto era scaduto il 31 agosto 2008, quindi precedentemente alla entrata in vigore della l. 183/2010 in data 24.11.2010, e l’impugnazione è stata proposta il 5 aprile 2011, sicché, diversamente da quanto sostiene la ricorrente (ossia che il M. avrebbe dovuto proporre l’impugnativa stragiudiziale nei 60 gg. decorrenti dalla data di entrata in vigore della I 183/2010 e quindi entro il 23 gennaio 2011, prima dell’entrata in vigore – 27.2.2011 – della legge 10/2011 di conversione del d.l. 225/2010, che consentiva la proroga dei termini con decorrenza degli stessi dal 31.12.2011), poiché si tratta di contratto scaduto per il quale il termine di impugnativa, applicabile anche ai contratti di somministrazione già scaduti ex Cass. 2420/2016 e ss. (v., tra le tante, per esauriente motivaz. e affermazione del principio di diritto: Cass. 26.4.2017 n. 10315), era ricompreso tra il 24.11.2010 ed il 23.1.2011, anche ad esso si applica il regime di proroga (Cass. s. u. 4913/2016). Il M. beneficiava anch’egli del disposto differimento e non rileva, pertanto, che l’impugnativa fosse già stata effettuata prima del 31.12.2011.
15. In ordine al terzo motivo, che riguarda le conseguenze sanzionatorie e che quindi imporrebbe un esame successivo agli altri, se non valutando lo stesso dal punto di vista del soggetto legittimato passivamente, già questa S.C. ha avuto modo di affermare – riguardo all’omologa figura del lavoro temporaneo di cui alla L. n. 196 del 1997 – che il contratto di fornitura non può omettere di indicare la relativa causale, né può indicarla in maniera generica limitandosi a riprodurre il contenuto della previsione normativa; ha altresì statuito che in tal caso la sanzione è l’illegittimità del contratto e la conseguente instaurazione del rapporto, a tutti gli effetti, con l’utilizzatore (v. Cass. 7.1.13 n. 1148). Ad analoga conclusione deve pervenirsi anche in ordine alla somministrazione di lavoro di cui agli artt. 20 e ss. Del D. Lgs. n. 276 del 2003. È pur vero che il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 21, u.c., prevede espressamente la sanzione della nullità in caso di difetto di forma scritta del contratto di somministrazione e che il successivo art. 27, comma 1, stabilisce che, quando la somministrazione di lavoro sia avvenuta al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui ai precedenti art. 20, e art. 21, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e), il lavoratore può chiedere in via giudiziaria la costituzione d’un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore con effetto dall’inizio della somministrazione. Nondimeno, la sanzione della nullità anche per indicazione omessa o generica della causale della somministrazione è nella logica del sistema, oltre che nel rilievo che l’art. 21, comma 1, lett. c), si riferisce, appunto, all’indicazione della causale. Argomento preliminare ed assorbente per ritenere prescritti a pena di nullità anche gli elementi di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 21, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e) è stato ravvisato nella seguente considerazione: ammessa la categoria degli elementi naturali del negozio (anche se autorevole dottrina ritiene debba parlarsi solo di effetti naturali), è innegabile che essi siano tali solo se derogabili dalle parti. Ma nessuno dei citati elementi è derogabile dalla volontà delle parti, nel senso che esse non potrebbero mai, ad esempio, escludere che il lavoratore debba eseguire la propria prestazione presso una data impresa utilizzatrice o lasciarne libera la scelta da parte dell’impresa fornitrice, perché ciò produrrebbe una palese alterazione causale del negozio. Né, infine, può ammettersi che il contratto di somministrazione taccia, puramente e semplicemente, le ragioni della somministrazione medesima riservandosi di enunciarle solo a posteriori in ragione della convenienza del momento, perché ciò vanificherebbe in toto l’impianto della legge e siffatta omissione sarebbe indice inequivocabile di frode alla legge e/o di deviazione causale del contratto (entrambe sanzionate in via di nullità). Pertanto, oltre alla forma scritta, devono ritenersi prescritti ad substantiam, per loro natura e/o per coerenza sistematica con altre disposizioni di legge, anche gli elementi di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 21, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e) (cfr. in tali termini, Cass. 1.8.2014 n. 17540 e, da ultimo, da ultimo, Cass. 1.3.2018 n. 4888, che ha chiarito che anche nel contratto individuale e non solo in quello di fornitura – e cioè nel contratto tra l’impresa fornitrice di mano d’opera e l’impresa utilizzatrice – le ragioni dell’assunzione devono essere indicate specificamente);
16. In ordine al quarto motivo, da ritenersi anch’esso infondato, è sufficiente osservare che la più recente giurisprudenza di questa S.C. – cui va data continuità – ha affermato che il solo decorso del tempo, in assenza di circostanze significative (essendo stati solo genericamente evocati, ma non specificamente dedotti “altri elementi indiziari” concorrenti), è inidoneo a costituire manifestazione di una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (Cass. 28 gennaio 2014, n. 1780; Cass. 1 luglio 2015, n. 13535; Cass. 22 dicembre 2015, n. 25844) e, inoltre, si tratta comunque di valutazione, tanto del significato che della portata del complesso degli elementi di fatto acquisiti, di competenza del giudice di merito (Cass. 13 febbraio 2015, n. 2906) le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto (Cass. 4 agosto 2011, n. 16932 con principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis n. 1 c.p.c.; Cass. 12 dicembre 2017, n. 29781);
17. Gli altri motivi, pur nella differente articolazione connessa alla prospettazione di vizi di violazione o falsa interpretazione di norme di legge, ovvero a vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, possono essere trattati congiuntamente in ragione della connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto. In tema di somministrazione di manodopera, il controllo giudiziario sulle ragioni che la consentono è limitato all’accertamento della loro esistenza, non potendo esso estendersi, ai sensi dell’art. 27, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003, al sindacato sulle valutazioni tecniche ed organizzative dell’ utilizzatore, il quale è tenuto a dimostrare in giudizio l’esigenza alla quale si ricollega l’assunzione del lavoratore, instaurandosi, ove tale onere non sia soddisfatto, un rapporto a tempo indeterminato con l’ utilizzatore della prestazione (Cass. 15.7.2011 n. 15610, Cass. 9.9.2013 n. 20598).
Deve considerarsi che la disciplina della somministrazione di lavoro è dettata dal D. Lgs. n. 276 del 2003, artt. da 20 a 28. Il primo di tali articoli, l’art. 20, intitolato “condizioni di liceità”, definisce il contratto di somministrazione e distingue tra somministrazione a tempo determinato e a tempo indeterminato. Con riferimento alla somministrazione a tempo determinato, le condizioni di liceità sono indicate al comma 4, con questa disposizione: “la somministrazione a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività dell’utilizzatore”. L’articolo successivo, il 21, statuisce che il contratto di somministrazione di manodopera deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere una serie di elementi. Tra gli elementi necessari, il punto c) indica “i casi e le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 20”. Il termine “casi” è riferito al terzo comma concernente la somministrazione a tempo indeterminato, consentita nella casistica delineata ai punti da a) e i) di quel comma. Il termine “ragioni” è riferito al quarto comma, concernente il contratto di somministrazione a tempo determinato, ammesso solo in presenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.
Tutto ciò premesso, come già osservato in precedenti di questa Corte (cfr, in tali termini, in particolare, Cass. 8.5.2012 n. 6933) “la risposta da dare al problema concernente la necessità o meno che le ragioni del ricorso alla somministrazione siano specificate non può che essere positiva”. Ed invero, la normativa prevede come “condizione di liceità” che il contratto sia stipulato solo in presenza di ragioni rientranti in quelle categorie ed impone di indicarle per iscritto nel contratto a pena di nullità (art. 21, u.c.); inoltre, l’art. 27, comma 3, sancisce che il controllo giudiziale è limitato “all’accertamento della esistenza delle ragioni”(e quindi consiste proprio in tale verifica). La conseguenza di tutto ciò è che tali ragioni devono essere indicate per iscritto nel contratto e devono essere indicate, in quella sede, con un grado di specificazione tale da consentire di verificare se rientrino nella tipologia di ragioni cui è legata la legittimità del contratto e da rendere possibile la verifica della loro effettività. L’indicazione, pertanto, non può essere tautologica, né può essere generica. Non può risolversi in una parafrasi della norma, ma deve esplicitare il collegamento tra la previsione astratta e la situazione concreta. (cfr. in tali termini, Cass. 6933/2012 cit.). A tale esigenza di specificazione della causale si ricollega il successivo controllo di effettività della esigenza che si intendeva soddisfare presso la realtà aziendale facente capo all’utilizzatore.
18. Nel caso in esame, le ragioni del ricorso al lavoro in somministrazione sono state ricondotte, in relazione a tutti i contratti di somministrazione a tempo determinato intercorsi tra le parti, alla necessità, al cospetto dell’incremento di domanda di determinati prodotti farmaceutici, di far fronte o al conseguente incremento di produzione di alcuni farmaci, ovvero all’esigenza di portare avanti progetti di adattamento delle linee di confezionamento a richieste specifiche provenienti dai mercati, senza indicare, tuttavia, come l’intensificarsi delle commesse abbia inciso sull’incremento delle attività e su quali di esse.
La indicazione delle ragioni in sede contrattuale non è stata ritenuta sufficientemente specifica sul punto dai giudici del merito, in quanto la ricorrente nulla di puntuale ha dedotto con riferimento alle specifiche causali di ogni contratto, se non che dalla norma non si rileva una esigenza di specificità nei sensi ritenuti e che non possa farsi rinvio alla normativa di cui al d. lgs. 368/2001. Tuttavia, anche ritenendosi che le esigenze specificate siano ascrivibili nell’ambito di quelle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che consentono, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato e che il riferimento alle stesse ben possa costituire valido requisito formale del relativo contratto, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. c, della legge stessa, quanto appena esposto concerne il problema della specificità delle ragioni indicate nel contratto commerciale di somministrazione a spiegazione del ricorso alla somministrazione, problema distinto essendo quello della verifica della sussistenza in concreto di tali ragioni. Potrebbe, invero, accadere che le ragioni siano indicate nel contratto in modo specifico, e perfettamente confacente a quanto richiesto dalla legge, ma che, , poi, la concreta utilizzazione del lavoratore non abbia alcun collegamento con tali ragioni.
A tale riguardo, il terzo comma dell’art. 27 del D. Lgs. n. 276 del 2003 precisa che il giudice, se non può sindacare nel merito le scelte tecniche, organizzative o produttive in ragione delle quali un’impresa ricorre alla somministrazione, deve orientare il suo controllo,”all’accertamento delle ragioni che (la) giustificano”, cioè che giustificano il ricorso alla somministrazione. Il controllo giudiziario è concentrato, quindi, nella verifica della effettività di quanto previsto in sede contrattuale (sul punto, cfr., Cass. 6933 del 2012, cit.; 2521 del 2012 cit.,15610 del 2011 e, da ultimo Cass. 8120 del 2013 nei sensi riportati). Questo accertamento è di competenza del giudice di merito e quindi, se motivato in maniera adeguata e priva di contraddizioni, non può essere rivalutato in sede di legittimità.
19. Nel caso in esame la Corte di appello di Ancona ha comunque rilevato, nell’ambito della verifica della effettività delle ragioni indicate dalla società, che le stesse ragioni non potevano essere considerate idonee, perché non vi era alcuna specificazione in termini di allegazione e prova con riguardo all’indicazione dei processi di organizzazione in atto, alle esigenze della produzione della singola unità produttiva, alle condizioni che rendevano necessario il ricorso anche ad assunzioni temporanee, con riferimento alle componenti identificative essenziali delle causali, sia quanto al loro contenuto, che alla relativa portata spazio temporale, e, più in generale, circostanziale, sì da rendere possibile il controllo della loro effettività. A fronte del ritenuto mancato assolvimento dell’onere di allegazione e prova da parte dell’utilizzatrice, la motivazione in fatto della decisione sul punto non è stata fatto oggetto di adeguata censura, poiché non si specifica in quali termini siano stati in sede di gravame formulati puntuali rilievi all’attività valutativa delle prove compiuta dal giudice di primo grado, attraverso l’indicazione di fatti idonei alla detta contestazione, rilevanti ai fini di causa ed aventi valore di decisività, né si riproducono le doglianze specificamente avanzate in conformità al principio di autosufficienza.
E’ stato reiteratamente affermato da questa Corte (cfr., tra le altre le recenti Cass. n. 14216/2013, Cass., s. u., n. 28547/2008; Cass. n. 22302/2008) che, in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del D. Igs, n. 40 del 2006, il novellato art. 366, comma 6, c.p.c., oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito e, in ragione dell’art. 369, comma 2 n. 4, c.p.c., anche che esso sia prodotto in sede di legittimità. In altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366, comma 1, n. 6, – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parti si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile ( Cfr. Cass. cit., 14216/2013).
In ogni caso, come già detto, va rilevata l’ omessa riproduzione, nei termini di relativa proposizione, del motivo di gravame che all’omesso esame delle allegazioni e prove si riferiva. Va, poi, evidenziato che l’intervento di modifica del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto.
20. Sotto altro profilo, deve considerarsi che la sentenza del 7 aprile 2014 n. 8053 delle Sezioni Unite di questa Corte ha chiarito, riguardo ai limiti della denuncia di omesso esame di una questio facti, che il nuovo testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. consente tale denuncia nei limiti dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
In proposito, è stato altresì evidenziato che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (sent. cit.). Il “fatto storico” censurabile ex art. 360 n. 5 c.p.c. non può, dunque, identificarsi con la pretesa erronea valutazione degli elementi di causa espressa dalla Corte del merito (picco di produzione del farmaco D.X., ovvero mancato esame delle allegazioni e deduzioni probatorie, che, come evidenziato, correttamente non sono state ritenute idonee a dimostrare la sussistenza della causale, essendo avulse da ogni contesto circostanziale riferito allo stato occupazionale specifico del settore, con riferimento alla posizione del lavoratore somministrato, alla precisazione dello squilibrio numerico tra personale a tempo indeterminato e personale somministrato, ed alle esigenze cui risultava finalizzata l’assunzione del M., oltre che alla temporaneità della causale in relazione al contratto stipulato a termine).
21. In conclusione, convenendosi sulla correttezza della decisione quanto alla ritenuta necessità del controllo di effettività delle ragioni poste a fondamento del contratto di somministrazione e sulla genericità del riferimento alle punte di maggiore attività ed ai picchi produttivi evidenziati, deve ritenersi che la ratio decidendi non sia stata scalfita da una precisa denunzia che configuri un vizio della decisione al riguardo.
22. Con riferimento alla contestazione della temporaneità della esigenza che giustifica il ricorso allo specifico strumento contrattuale, sostenendosene la rilevanza solo con riguardo al contratto a termine “diretto”, è sufficiente osservare che la straordinarietà o eccezionalità dell’esigenza rispetto alla ordinaria attività dell’utilizzatore è cosa diversa dalla permanente necessità del carattere temporaneo dell’esigenza produttiva, che è richiesta anche per tale tipologia contrattuale.
Non osta a tale ricostruzione – come sottolineato da Cass. I. 8. 2014 n. 17540, seppure a diversi fini – la sentenza della CGUE 11.4.13, Della Rocca, emessa in sede di rinvio pregiudiziale, che ha escluso che la direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato si applichi anche al contratto a tempo determinato che si accompagni ad un contratto interinale. Ed invero, tale inapplicabilità deriva solo dal tenore del preambolo dell’accordo quadro e dall’esistenza di altra più specifica regolamentazione (la direttiva 2008/104) per il contratto a termine che si accompagni ad un contratto interinale o di somministrazione e non già da una ritenuta sua incompatibilità ontologica, a tutti gli effetti, con un puro e semplice contratto a tempo determinato (cfr, in tali termini Cass. 17540/2014 cit.).
23. Alla stregua delle svolte considerazioni, il ricorso deve essere complessivamente respinto.
24. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate come da dispositivo, con attribuzione al difensore dichiaratosene antistatario.
25. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%, con attribuzione all’avv. P.A..
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1bis, del citato D.P.R..
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