CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 settembre 2020, n. 20478
Perequazione automatica – Ammontare lordo della prestazione pensionistica – Pensione di reversibilità – Principi costituzionali di adeguatezza e proporzionalità dei trattamenti pensionistici
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 10.4.2014, la Corte d’appello di Milano, in riforma della pronuncia di primo grado, ha accolto la domanda di D.B. volta ad ottenere la condanna dell’INPS a corrispondergli la perequazione automatica di cui all’art. 1, comma 19, l. n. 247/2007, previo ricalcolo dell’ammontare lordo della sua prestazione pensionistica con l’espunzione della quota non cumulabile ex art. 1, comma 41, l. n. 335/1995, già detrattagli.
La Corte, in particolare, ha ritenuto che la pensione di reversibilità che incorresse nel divieto di cumulo di cui all’art. 1, comma 41, cit., non dovesse essere considerata, ai fini dell’applicazione della perequazione automatica prevista dall’art. 1, comma 19, l. n. 247/2007, nel suo importo lordo, ma andasse considerata nell’importo effettivamente corrisposto al pensionato, e che, essendo tale ultimo importo non superiore, in specie, ad otto volte il trattamento minimo, non potesse negarsi il diritto del pensionato medesimo alla chiesta perequazione.
Avverso tali statuizioni ha proposto ricorso per cassazione l’INPS, deducendo un motivo di censura. D.B. ha resistito con controricorso, poi ulteriormente illustrato con memoria.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione degli artt. 1, comma 19, l. n. 247/2007, e 1, comma 41, l. n. 335/1995, per avere la Corte di merito ritenuto che, ai fini dell’applicazione del beneficio della perequazione automatica, la pensione di reversibilità che incorresse nel divieto di cumulo non dovesse essere considerata nel suo importo lordo, bensì nel suo importo al netto della parte non corrisposta: ad avviso dell’Istituto, infatti, considerando la pensione di reversibilità al netto della quota incumulabile, sarebbero esclusi dall’ambito del blocco della perequazione proprio quei pensionati che, in quanto destinatari della normativa anticumulo, versano in quella situazione di solidità economica che giustifica il temporaneo sacrificio della rivalutazione della pensione.
Il motivo è infondato.
Questa Corte, in tema di blocco della perequazione automatica delle pensioni ex art. 1, comma 19, l. n. 247/2007, ha già avuto modo di chiarire che, per le pensioni di reversibilità, l’importo-base sul quale calcolare l’eventuale superamento della soglia di otto volte il trattamento minimo, oltre la quale il blocco della perequazione di cui all’art. 1, comma 19, l. n. 247/2007, è destinato a operare, è costituito dal trattamento pensionistico al netto, e non al lordo, delle riduzioni derivanti dall’applicazione dei divieti di cumulo con gli altri redditi percepiti dal superstite, ai sensi dell’art. 1, comma 41, l. n. 335/1995: e ciò sia in relazione all’argomento letterale desumibile dal richiamo contenuto nell’art. 1, comma 19, cit., all’art. 34, l. n. 488/1998, che ancora il meccanismo della rivalutazione delle pensioni in relazione all’«importo complessivo del trattamenti corrisposti», ossia effettivamente percepiti dal pensionato, sia per considerazioni di ordine sistematico ispirate ai principi costituzionali di adeguatezza e proporzionalità dei trattamenti pensionistici, dal momento che la valorizzazione dell’importo della pensione comprensivo dell’importo virtuale non percepito dal pensionato richiederebbe un sacrificio economico maggiore ai pensionati titolari di due trattamenti pensionistici, ai quali la perequazione non si applicherebbe, rispetto ai titolari di un unico trattamento pensionistico, pur di pari importo complessivo, che avrebbero, invece, diritto alla perequazione ancorché a parità di condizioni di debolezza rispetto all’erosione del potere di acquisto delle pensioni (così Cass. n. 6872 del 2019; nello stesso senso Cass. n. 9008 del 2019).
Il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza. Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 3.700,00, di cui € 3.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.