CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 settembre 2021, n. 26262
Cessione del ramo d’azienda – Invalidità – Mancanza dei requisiti richiesti dall’art. 2112 c.c. – Inconfigurabilità di una cessione negoziale – Mancanza del consenso della parte ceduta quale elemento costitutivo della cessione
Fatti di causa
1. Con sentenza 29 dicembre 2016, la Corte d’appello di Venezia, in accoglimento dei due appelli riuniti di T.I. s.p.a., revocava i decreti ingiuntivi emessi dal Tribunale di Venezia in favore di L.C., P. C., R.F., O.C., L. B. e rigettava le pretese economiche (ulteriori) di O.C., S. S., G. B. e C.A., in relazione al mancato pagamento delle retribuzioni che sarebbero maturate in loro favore in conseguenza della sentenza dello stesso Tribunale del 14 giugno 2006, di accertamento della illegittimità del loro trasferimento (con effetto dal 10 marzo 2003), nell’ambito della cessione del 27 febbraio 2003 di ramo d’azienda dalla predetta società a C. L. s.p.a., con la conseguente persistenza del loro rapporto con la cedente e la condanna di questa alla loro riammissione in servizio: così riformando le decisioni di primo grado, che avevano invece rigettato l’opposizione di T. I. s.p.a. ai decreti ingiuntivi e accolto le pretese dei lavoratori.
2. Dato atto che, nelle more dei giudizi, essi erano stati licenziati (in esito a procedura collettiva) dalla società cessionaria con la quale avevano poi conciliato la causa di impugnazione del licenziamento, ottenendo soddisfazione delle pretese economiche (in rispettiva via monitoria e ordinaria) in assenza di ricostituzione dalla cedente dei rapporti di lavoro e di costituzione in mora dei lavoratori il 1 dicembre 2007, la Corte territoriale, sul presupposto di unicità del rapporto di lavoro, riteneva che l’intervenuta conciliazione, comportante rinuncia all’impugnazione e risoluzione del rapporto lavorativo originato dalla cessione in una con la rinuncia ad ogni pretesa economica anteriore ad esso, determinasse la sopravvenuta carenza dell’interesse ad agire dei lavoratori.
3. Con atto notificato il 30 giugno 2017, G. B., L. B., P.C., O.C., L.C. e R.F. ricorrevano per cassazione con sette motivi, cui resisteva con controricorso T. I. s.p.a.; entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
4. In esito a differimento per la pendenza di ricorso di revocazione della sentenza d’appello impugnata, estinto per rinuncia con ordinanza 10 settembre 2020 della d’appello di Venezia agli atti, la causa era nuovamente fissata per la discussione all’odierna udienza.
5. Il P.G. rassegnava proprie conclusioni scritte, nel senso della fondatezza del ricorso (accoglimento del primo motivo, rigetto del quinto e assorbimento degli altri) e i lavoratori comunicavano una nuova memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. In via di premessa, occorre affermare la tempestività del ricorso, in quanto notificato (il 30 giugno 2017) nel termine semestrale, ai sensi dell’art. 327 c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis, dalla pubblicazione della sentenza (il 29 dicembre 2016), scadente il 29 giugno (2017), festività religiosa riconosciuta come giorno festivo per il Comune di Roma, ai sensi dell’art. 1 d.p.r. 792/1985. Sicché, qualora il giorno per proporre ricorso per cassazione scada il 29 giugno, la scadenza viene prorogata al giorno seguente non festivo, a norma dell’art. 155, ultimo comma c.c., per l’attribuzione del carattere di “festività” in base all’art. 2 I. 260/1949 e all’art. 1 d.p.r. 792/1985, che includono espressamente, diversamente che per i Santi patroni delle altre città, il giorno dei Santi apostoli Pietro e Paolo, patroni di Roma, nell’elenco di quelli festivi agli effetti civili (Cass. 2007, n. 17079; Cass. 24 marzo 2015, n. 5895; Cass. 12 dicembre 2016, n. 25430; Cass. 27 febbraio 2020, n. 5320).
2. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono violazione degli artt. 2112 e 1406 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente assunto, nonostante l’accertata carenza dei requisiti di un valido trasferimento d’azienda (o di suo ramo) né del consenso dei lavoratori alla cessione del contratto, anziché l’istituzione di un nuovo e distinto rapporto di lavoro con la parte cessionaria, la prosecuzione de jure di quello originario con la parte cedente, restando invece questo rapporto, per effetto del suo ripristino a causa dell’illegittimità del trasferimento, in capo ad essa seppure in uno stato di quiescenza, per la mancata accettazione delle prestazioni dei lavoratori, con ininfluenza delle vicende riguardanti un tale distinto e diverso rapporto su quello con la cedente, ancorché quiescente.
3. Esso è innanzi tutto ammissibile, posto che, in merito alla prospettata novità di deduzione dalla difesa dei lavoratori di duplicità dei rapporti a fronte dell’unicità sostenuta in memoria di primo grado, essa è stata esplicitamente introdotta, come si evince dalla specifica disamina della Corte veneziana (dall’ultimo capoverso di pg. 8 al secondo di pg. 9 della sentenza), a confutazione della distinzione dei due rapporti di lavoro per effetto della illegittimità della cessione e con espresso richiamo di giurisprudenza di legittimità (in particolare: Cass. 13485/2014, a pgg. 9 e 10 della sentenza).
4. Ma esso è pure fondato nel merito.
4.1. Con orientamento ormai consolidato, (Cass. 3 luglio 2019, n. 17784 e 17876; Cass. 11 novembre 2019, n. 29092; Cass. 14 maggio 2020, n. 8951), meritevole di continuità, questa Corte ritiene, infatti, che soltanto un legittimo trasferimento d’azienda comporti la continuità di un rapporto di lavoro che resta unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi, esclusivamente nella misura in cui ricorrano i presupposti di cui all’art. 2112 c.c.: con il conseguente venir meno dell’unicità del rapporto, qualora, come appunto nel caso di specie, il trasferimento sia dichiarato invalido, stante l’instaurazione di un diverso e nuovo rapporto di lavoro con il soggetto (già, e non più, cessionario) alle cui dipendenze il lavoratore “continui” di fatto a lavorare.
4.2. Una volta che pertanto ne sia accertata l’invalidità, il rapporto con il destinatario della cessione è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere, rimasto in vita con il cedente (sebbene quiescente per l’illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale), determinandosi il trasferimento del medesimo rapporto solo quando si perfezioni una fattispecie traslativa conforme al modello legale. Diversamente, nel caso di invalidità della cessione (per mancanza dei requisiti richiesti dall’art. 2112 c.c.) e di inconfigurabilità di una cessione negoziale (per mancanza del consenso della parte ceduta quale elemento costitutivo della cessione), quel rapporto di lavoro non si trasferisce e resta nella titolarità dell’originario cedente (Cass. 28 febbraio 2019, n. 5998; in senso conforme, tra le altre: Cass. 18 febbraio 2014, n. 13485; Cass. 7 settembre 2016, n. 17736; Cass. 30 gennaio 2018, n. 2281, le quali hanno pure ribadito il consolidato orientamento circa l’interesse ad agire del lavoratore ceduto nonostante la prestazione di lavoro resa in favore del cessionario).
4.3. Si spiega così come i rapporti di lavoro siano due (uno, de iure, ripristinato nei confronti dell’originario datore di lavoro, tenuto alla corresponsione delle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora del lavoratore; l’altro, di fatto, nei confronti del soggetto, già cessionario, effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa), a fronte di una prestazione solo apparentemente unica: posto che, accanto ad una prestazione materialmente resa in favore del soggetto con il quale il lavoratore, illegittimamente trasferito con la cessione di ramo d’azienda, abbia instaurato un rapporto di lavoro di fatto, ve n’è un’altra giuridicamente resa in favore dell’originario datore, con il quale il rapporto di lavoro è stato de iure (anche se non de facto, per il rifiuto ingiustificato del predetto) ripristinato, non meno rilevante sul piano del diritto.
5. La fondatezza del motivo comporta l’assorbimento di tutti gli altri, in quanto formulati nella prospettazione dell’unicità del rapporto di lavoro, disattesa per le ragioni dette. E pertanto: del secondo motivo, relativo a nullità della sentenza per violazione dell’art. 2909 c.c., per la ritenuta proponibilità di fatti asseritamente estintivi del rapporto di lavoro con T. I. s.p.a. (quale l’atto abdicativo dei lavoratori) anteriori alla formazione del giudicato sulla sentenza del Tribunale di Venezia 14 giugno 2006 n. 576, a seguito dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 17863/2014 (di rigetto del ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello reiettiva del gravame avverso la prima sentenza), sull’accertamento di persistenza di tale rapporto, siccome riguardante il dedotto e il deducibile; del terzo, relativo ad erronea inferenza di una volontà dei lavoratori di risoluzione del rapporto in atto con T. I. s.p.a. dal solo fatto dell’impugnazione del licenziamento loro intimato dalla cessionaria C. L. s.r.l. e della conciliazione della relativa controversia, senza alcuna verifica di altri comportamenti (quali la reiterata offerta di prestazione lavorativa e di successiva denuncia-querela per inottemperanza all’ordine del giudice di ripristino del rapporto), dopo la prima pronuncia del Tribunale) incompatibili con una tale volontà dismissiva; del quarto, relativo ad omesso esame di fatti decisivi, risultanti dagli atti di causa, di esclusione della possibilità di attribuire al comportamento dei lavoratori il significato di una risoluzione del rapporto di lavoro con T. I. s.p.a., anzi deponenti per la sua voluta persistenza; del quinto, relativo a nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per vizio di ultrapetizione, avendo la Corte territoriale riformato la sentenza di primo grado anche sul capo di condanna di T. al pagamento, in favore dei lavoratori, di differenze retributive del periodo antecedente al licenziamento loro intimato da C. L., in mancanza di un motivo d’appello al riguardo; del sesto motivo, relativo a nullità della sentenza per violazione degli artt. 115, 101 c.p.c. e 111, secondo comma Cost., in difetto di acquisizione agli atti del fondamento della decisione impugnata su una clausola di verbale di conciliazione, neppure riportato da alcuna delle parti, con lesione del principio del contraddittorio; del settimo, relativo a violazione degli artt. 1362, primo e secondo comma, 1364 c.c., per erronea interpretazione della Corte territoriale del passo dell’accordo di conciliazione relativo alla rinuncia dei lavoratori nei soli confronti di C. L. s.p.a.
6. Dalle superiori argomentazioni consegue raccoglimento del primo motivo, con assorbimento degli altri, la cassazione della sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvio, anche in relazione alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche in relazione alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.
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