CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 agosto 2018, n. 21297
Imposte indirette – IVA – Accertamento – Notificazione
Ritenuto in fatto
L’Agenzia delle entrate notificava alla E.S.E.C.S. Srl avviso di accertamento di rettifica della dichiarazione Iva per l’anno 2000 per aver la contribuente emesso fatture attive per operazioni non imponibili o in sospensione d’imposta ex artt. 8 e 9 d.P.R. n. 633 del 1972 in assenza di documenti idonei ad attestare il regime applicato; contestava altresì le relative violazioni e l’omessa regolarizzazione delle fatture irregolari, ricevute in assenza delle bollette doganali e delle lettere d’intento, nonché la presentazione della dichiarazione annuale con dati erronei, da cui era derivata una minore imposta o maggiore eccedenza rispetto a quella spettante.
Evidenziava l’Ufficio che le operazioni – di cantieristica e riparazioni su navi estere, con acquisto dei beni a tale scopo necessari – riguardavano unità da diporto battenti bandiera extracomunitaria per le quali, tuttavia, mancava la prova dell’arrivo nel porto italiano in ordine alla nave cui si riferivano le singole fatture, per l’omessa allegazione del cd. costituto in arrivo. Quanto ai beni acquistati per i lavori, il rilievo si fondava sull’assenza delle bollette doganali e di due lettere d’intento.
L’impugnazione era accolta dalla Commissione tributaria provinciale di Genova, decisione poi confermata dalla CTR della Liguria, che rilevava che i lavori su navi di provenienza estera si fondavano su un contratto di appalto, sicché era applicabile il regime di esenzione Iva indipendentemente dalla destinazione futura della nave.
L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione sulla base di quattro motivi; la contribuente è rimasta intimata.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992.
1.1. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 9, primo comma, n. 9, d.P.R. n. 633 del 1972.
2. I motivi, da esaminare unitariamente per connessione logica, sono fondati: l’Agenzia delle entrate lamenta, in sostanza, che la CTR non abbia bene considerato la domanda e le ragioni della pretesa tributaria, ancorata non alla destinazione futura dei beni ma, invece, sull’assenza di prova da parte del contribuente della condizione di temporanea importazione delle navi estere sulle quali erano stati effettuati i lavori.
2.1. Costituiscono «servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali» e non «si considerano effettuati nel territorio dello Stato», con conseguente non imponibilità Iva per difetto del requisito di territorialità ai sensi dell’art. 7, sesto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, vigente ratione temporis, tra l’altro i servizi ricompresi tra quelli elencati nel successivo art. 9, primo comma, n. 9, che cliegbme «i trattamenti di cui all’art. 176 del T. U. approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43, eseguiti su beni di provenienza estera non ancora definitivamente importati, nonché su beni nazionali, nazionalizzati o comunitari, destinati ad essere esportati da o per conto del prestatore del servizio o del committente non residente nel territorio dello Stato».
L’art. 176, primo comma, lett. c, d.P.R. n. 43 del 1973, poi, prevede “La temporanea importazione ai sensi del primo comma del precedente articolo è consentita a condizione che le merci da importare siano destinate a ricevere uno o più dei trattamenti appresso indicati e che sia possibile accertare l’impiego delle merci stesse nei prodotti da ottenere: […] c) riparazione, compresi il riattamento e la messa a punto;».
2.2. Dalla lettura delle citate norme, dunque, emerge che il Legislatore, ai fini del riconoscimento del regime della non imponibilità, ha considerato:
a) la tipologia oggettiva dell’intervento;
b) la natura del bene «di provenienza estera» «non ancora definitivamente importato» (ovvero «su beni nazionali» e simili se questi debbono essere «destinati ad essere esportati» da o per conto di soggetto «non residente»).
2.3. Con riguardo a questo secondo elemento (tralasciando l’ipotesi, qui non rilevante, dei lavori su beni nazionali destinati all’esportazione per soggetto non residente) assume dunque rilievo dirimente per l’applicazione del regime di non imponibilità che i beni, ossia le navi in relazione all’ipotesi in giudizio, siano esteri e in condizione di importazione temporanea ai fini dell’esecuzione delle lavorazioni di manutenzione e rifacimento.
2.4. Nella vicenda in esame, invero, è pacifico che le navi battevano bandiera straniera, non comunitaria.
Non è neppure controverso, poi, che sulle navi sono stati eseguiti lavori di riparazione (e altro) in forza di contratto d’appalto.
Manca, invece, la prova che le navi si trovassero in condizione di importazione temporanea.
2.5. Occorre sottolineare, sul punto, che la disciplina applicabile postula una ammissione esplicita per riconoscere il regime di importazione temporanea. In particolare:
– l’art. 179 cod. nav., applicabile anche alle navi straniere ex art. 185 cod. nav., prevede che le navi, al momento dell’arrivo in porto, debbono far pervenire una dichiarazione all’autorità marittima per fornire tutte le informazioni relative al viaggio, ai passeggeri, al carico ed altro;
– l’art. 723 del Regolamento CE n. 2454/1993 disciplina poi l’ipotesi dell’ammissione temporanea dei mezzi di trasporto adibiti alla navigazione marittima nelle acque interne che (comma 2) «possono restare nel territorio doganale della Comunità per tutto il tempo necessario allo svolgimento delle operazioni per cui è richiesta l’ammissione temporanea, quali l’inoltro, lo sbarco o l’imbarco dei passeggeri, lo scarico e il carico delle merci, il trasporto e la manutenzione»;
– la Convenzione di Ginevra del 18 maggio 1956, infine, prevede che i mezzi navali extra comunitari possano accedere nel territorio doganale con un documento di importazione temporanea, definito come «il documento che permette di riconoscere l’imbarcazione o l’aeromobile e d’accertare la prestazione della garanzia o il deposito dei diritti e tasse di importazione», e detta le condizioni, oggettive e temporali, che regolano la permanenza nelle acque comunitarie delle imbarcazioni.
L’autorità marittima del primo porto di approdo nazionale, a tal fine, rilascia alle imbarcazioni battenti bandiera estera (non comunitaria) il cd. costituto in arrivo – che costituisce il documento con cui vengono attestate le formalità di arrivo e partenza – avente la durata di 12 mesi e che deve poi essere restituito all’atto della partenza verso un porto estero.
2.6. Tale atto è dunque idoneo a comprovare che l’imbarcazione, straniera, si trova sulle acque nazionali (rectius: comunitarie) in regime di importazione temporanea.
2.7. La natura di regime agevolativo, poi, comporta che la prova dei presupposti per fruirne resta a carico del contribuente, sul quale incombe l’onere, dunque, di dimostrare che la nave si trova sul territorio nazionale in regime di importazione temporanea, prova che può essere adeguatamente assolta con l’esibizione del citato documento.
2.8. Orbene, la CTR non si è attenuta ai principi sopra esposti poiché ha ritenuto che le circostanze della nazionalità straniera dei beni e dell’esecuzione dei lavori fossero sufficienti per l’applicabilità del regime di non imponibilità Iva, neppure considerando le ragioni e l’effettiva consistenza e della pretesa erariale.
Va escluso, del resto, che la mera esistenza di un contratto di appalto per l’esecuzione dei lavori possa considerarsi in sé requisito sufficiente, trattandosi di elemento che rientra nella tipologia di situazioni (oggettive) che legittimano a richiedere l’ammissione dell’imbarcazione extracomunitaria al regime di temporanea importazione ma ha una incidenza neutra rispetto agli altri presupposti prima evidenziati.
2.9. Non appare necessario approfondire, infine, se la prova possa essere fornita con altra documentazione alternativa al costituto in arrivo poiché nella vicenda in esame – come emerge dalla stessa motivazione d’appello – il contribuente non ha allegato nulla in tal senso ma si è limitato a porre in evidenza, oltre all’irrilevanza della successiva destinazione dei beni assemblati, la tipologia di lavori effettuati e l’origine straniera delle navi.
3. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992.
3.1. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 6, comma 8, d.lgs. n. 471 del 1997.
4. I motivi, da esaminare unitariamente per connessione logica, sono fondati: l’Agenzia delle entrate, con riguardo alle sanzioni irrogate per l’omessa regolarizzazione delle fatture di acquisto dei beni da installare sulle navi, lamenta che la CTR abbia ritenuto le fatture esenti Iva perché riferibili ad un unitario appalto e, dunque, qualificabili come prestazioni di servizi, dovendosi considerare mero errore materiale l’inesatta indicazione, sulle fatture, delle norme di esenzione.
4.1. La questione si pone in termini omogenei a quelli sopra considerati: i beni acquistati per l’esecuzione dei lavori sulle navi estere sono in regime di esenzione d’imposta in quanto ciò risulti dalle bollette doganali (e dalle lettere di intento), nella specie – come risulta dall’avviso di accertamento e dal richiamato pvc riprodotto per autosufficienza – assenti, neppure scaturendo la prova da ulteriore documentazione munita dei necessari requisiti di certezza ed incontrovertibilità (v. Cass. n. 3193 del 18/02/2015, con riguardo alla diversa, ma comparabile, ipotesi di esportazioni al di fuori dei confini comunitari; v. anche Cass. n. 4161 del 21/02/2018).
Né giova, come ritenuto dalla CTR, la valutazione del complessivo intervento inclusivo dell’acquisto dei materiali come prestazione di servizi atteso che, in tale evenienza, la mancanza del costituto in arrivo esclude comunque l’applicazione del regime d’esenzione.
4.2. Pure rispetto a tali contestazioni, dunque, la CTR ha ritenuto applicabile il regime di non imponibilità – ed escluse le irregolarità contestate – senza considerare il contenuto e la portata effettiva della pretesa dell’erario ed in assenza di ogni prova, il cui onere incombe sul contribuente, della sottrazione al regime ordinario di imponibilità.
5. In accoglimento del ricorso, pertanto, la sentenza va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, il giudizio va deciso nel merito, rigettando l’originario ricorso della contribuente.
Attesa la peculiarità e novità della questione vanno compensate le spese per ogni fase e grado.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente.
Compensa le spese dell’intero giudizio.
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