CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 agosto 2018, n. 21374
Associato in partecipazione – Pagamento dei compensi dovuti
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Trieste, con sentenza n. 298 depositata il 24.7.2013, ha respinto l’impugnazione proposta dal sig. C. confermando la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato inammissibile la domanda del predetto in ragione del giudicato formatosi con la sentenza n. 47 del 2007 del Tribunale di Trieste.
2. La Corte territoriale ha dato atto di come la sentenza n. 47 del 17.1.07 fosse stata emessa su ricorso del sig. C., associato in partecipazione del C., al fine di ottenere la condanna di quest’ultimo al pagamento dei compensi dovuti, per gli anni 2002 e 2003, in relazione all’esecuzione del contratto.
3. Ha precisato come nel corso del predetto giudizio, in sede di accertamento contabile affidato al c.t.u., era emerso un credito del sig. C. verso l’associato in partecipazione riferito all’anno 2001, per avere il predetto erogato importi superiori al dovuto, senza tuttavia che in quella sede giudiziale l’assodante avesse eccepito o dedotto alcunché sul punto.
4. Ha ritenuto che il credito del sig. C., derivante dal medesimo rapporto negoziale posto a base delle pretese del sig. C., dovesse essere azionato in quella sede giudiziale e che l’esame della domanda, formulata in questo giudizio ai sensi dell’art. 2033 c.c., fosse preclusa dal passaggio in giudicato della sentenza n. 47 del 2007.
5. Per la cassazione della sentenza il sig. C. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso il sig. C..
Ragioni della decisione
1. Col primo motivo il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 324 c.p.c., 2909 e 2033 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.;
2. Ha sostenuto come la causa petendi dell’azione proposta dal sig. C. nel procedimento definito con la sentenza n. 47 del 2007 fosse costituita dal contratto di associazione in partecipazione mentre la domanda azionata in questo procedimento avesse la propria causa petendi nell’art. 2033 c.c.
3. Nello stesso modo, il petitum della domanda proposta dal sig. C. era relativo ai compensi per gli anni 2002 e 2003 laddove la domanda oggetto di questo procedimento attiene alle somme indebitamente erogate dall’associante nell’esercizio 2001.
4. Ha quindi affermato come la diversità degli elementi costitutivi delle due azioni separatamente proposte fosse preclusiva al formarsi del giudicato esterno che la Corte territoriale ha invece rinvenuto nella sentenza n. 47 del 2007.
5. Col secondo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1241, 1242, 1246 e 2033 c.c. e dell’art. 416, comma 2, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c..
6. Ha sostenuto come, in presenza di crediti reciproci che abbiano autonoma fonte, il singolo creditore, ove convenuto in giudizio dal contro creditore, possa far valere la propria pretesa in quella sede, proponendo domanda o eccezione riconvenzionale, oppure agire in separato giudizio, non sussistendo alcun obbligo giuridico di formulare le proprie pretese nel giudizio in cui si è convenuti.
7. Ha aggiunto come erroneamente la Corte territoriale avesse considerato l’assodante tenuto a far valere il proprio credito nel giudizio promosso dal sig. C., poiché a tal fine sarebbe stata necessaria un’eccezione di compensazione propria o tecnica, di cui agli artt. 1241 e ss. c.c., soggetta al regime delle preclusioni di cui all’art. 416 c.p.c..
8. Il primo motivo di ricorso è fondato.
9. Secondo l’insegnamento di questa Corte, il giudicato, ai sensi dell’art. 2909 c.c., fa stato tra le parti, i loro eredi ed aventi causa, nei limiti oggettivi costituiti dai suoi elementi costitutivi, ovvero il titolo della stessa azione (causa petendi), e il bene della vita che ne forma oggetto (petitum mediato), a prescindere dal tipo di sentenza adottato; entro tali limiti, il giudicato copre il dedotto e il deducibile, cioè non soltanto le questioni di fatto e di diritto fatte valere in via di azione o di eccezione e, comunque, esplicitamente investite dalla decisione, ma anche le questioni che, non dedotte in giudizio, tuttavia, costituiscano presupposto logico e indefettibile della decisione stessa, restando salva ed impregiudicata soltanto l’eventuale sopravvenienza di fatti e situazioni nuove; costituendo regola del caso concreto, il giudicato partecipa della natura dei comandi giuridici e la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio in fatto; pertanto l’interpretazione datane dal giudice di merito può essere denunciata in cassazione sotto il profilo della violazione di norme di diritto, (Cass., 11493 del 2004; Cass. n. 1760 del 2006; Cass. n. 14477 del 1999).
10. In relazione ad una fattispecie relativa a crediti nascenti da un medesimo rapporto di durata, si è precisato (Cass. n. 14593 del 2004) come “ricorre l’effetto preclusivo del giudicato esterno allorché tra il giudizio in corso e quello definito con sentenza inoppugnabile sussista una piena identità di causa petendi e di petitum, il che non può verificarsi qualora siano azionati in giudizio due crediti diversi, sebbene relativi ad uno stesso rapporto che si protrae nel tempo, per la cui concreta realizzazione sono necessari due distinti titoli esecutivi. (Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva negato la sussistenza di un giudicato costituito da un precedente giudizio in cui venivano azionati crediti relativi al mancato pagamento di oneri consortili in riferimento a un anno differente rispetto a quello dedotto in causa, e di conseguenza aveva negato efficacia di giudicato alla esclusione della responsabilità solidale tra condominio e condomini, affermata in quella sede)”.
11. Nel caso in esame, pur dovendosi riconoscere la corretta qualificazione giuridica, ad opera della Corte territoriale, dell’azione proposta dal sig. C., fondata sul medesimo rapporto di associazione in partecipazione e non sull’art. 2033 c.c., deve tuttavia rilevarsi la diversità del petitum azionato dai due ricorrenti, associato e associante, nei due distinti procedimenti.
12. Costituisce dato pacifico, desumibile dalla stessa sentenza impugnata, come il credito fatto valere dall’associato sig. C. nel procedimento definito con la sentenza irrevocabile n. 47 del 2007, avesse ad oggetto differenze di compensi dal medesimo vantate per gli anni 2002 e 2003, laddove la domanda proposta dal sig. C. nel procedimento in oggetto concerne crediti azionati per compensi versati in eccesso nell’anno 2001.
13. Non solo vi è diversità nel petitum delle azioni proposte dai due diversi soggetti nei due distinti procedimenti, ma deve anche escludersi che l’accertamento contenuto nella sentenza n. 47 del 2007, quanto al credito dell’associato per gli anni 2002 e 2003, postuli logicamente e necessariamente l’assenza di controcrediti in capo all’associante relativi al medesimo rapporto.
14. La mancanza di identità di petitum tra la precedente causa e quella in corso, e il dato secondo cui la domanda successivamente proposta non costituisce antecedente logico essenziale e necessario della pronuncia già emessa, impediscono che possa operare l’effetto preclusivo del giudicato esterno.
14. La statuizione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l’azione proposta dal sig. C. sarebbe preclusa per effetto del giudicato esterno, sul rilievo che il predetto avrebbe dovuto far valere il proprio credito nel procedimento instaurato dal sig. C., si pone in contrasto con l’art. 2909 c.c..
15. In base alle considerazioni svolte, si accoglie il primo motivo di ricorso, risultando assorbito il secondo, con cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvio alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame della fattispecie alla luce dei principi di diritto sopra esposti e alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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