CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 agosto 2018, n. 21377
Indennità di fine rapporto ex art. 1751 cc – Prescrizione quinquennale
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Bari, con sentenza del 27.10.2009, ha parzialmente accolto la domanda proposta da G.L., agente della F. spa, già A.I. spa, e per l’effetto ha condannato la società a pagare in favore del ricorrente la complessiva somma di euro 43.883,00 a titolo di indennità di fine rapporto ex art. 1751 cc, liquidando tale indennità secondo equità e abbattendo il limite massimo previsto ex lege di un terzo; ha, poi, respinto la domanda relativa all’indennità incassi fino all’anno 1995 per intervenuta prescrizione quinquennale, quella relativa agli interessi sui ritardati pagamenti, alle spese sostenute per gli incassi e al risarcimento del danno biologico e all’immagine, e ai mancati guadagni; ha, infine, compensato per metà le spese di lite e ha condannato la società al pagamento della residua parte.
2. La Corte di appello di Bari, con la pronuncia pubblicata il 27.12.2012, in parziale riforma della gravata sentenza, che confermava nel resto, ha rideterminato in euro 50.000,00, oltre accessori, la somma dovuta al L., compensando anche in questo caso la metà delle spese del grado e con condanna della società al pagamento della restante parte.
3. A fondamento della decisione la Corte di merito ha rilevato che: 1) nella valutazione equitativa della indennità ex art. 1751 cc non poteva essere condiviso il criterio adottato dal Tribunale circa una diminuzione del rendimento negli anni 1999 e 2000, dovendo invece essere considerati, da un lato, a beneficio del L., la durata del rapporto di agenzia pari a 24 anni in cui erano stati realizzati fatturati importanti e, dall’altro, a beneficio della società, la circostanza che il L. era agente plurimandatario; 2) relativamente all’indennità di incasso maturata nel periodo compreso tra il 1976 ed il 1995, vi era stato, nella prospettazione della pretesa da parete del ricorrente, una modifica della causa petendi e, comunque, la stessa era infondata perché nel contratto del 1976, novato nel 1995, non era previsto alcun obbligo di riscossione dei crediti; 3) l’avvenuta compensazione della metà delle spese era corretta in considerazione dell’esito complessivo della lite e della soccombenza solo parziale della società.
4. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione G.L. affidato ad un motivo.
5. Ha resistito con controricorso la C.E.D.M. & F. srl (già A.I. spa), illustrato con memoria.
Ragioni della decisione
1. Con un unico articolato motivo il ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, la violazione ed erronea interpretazione dell’art. 1751 cc laddove la Corte territoriale, nella determinazione del quantum debeatur, ha ritenuto di dovere valutare anche la sussistenza di altri incarichi provenienti da terzi, che invece era un elemento del tutto ultroneo e non rientrava nella previsione dei criteri di cui alla citata disposizione la quale fa riferimento, quali dati fattuali cui avere riguardo, alla durata del rapporto, al contributo dato dall’agente alla creazione e/o all’incremento della clientela e ai vantaggi sostanziali che la preponente abbia avuto a ricevere dagli affari con tali clienti.
2. Il motivo non è fondato.
3. L’art. 1751 cc, ratione temporis applicabile, prevede:
«All’atto della cessazione del rapporto il preponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità se ricorrono le seguenti condizioni: – l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente rileva ancora sostanziali vantaggi dagli affari con tali clienti; -il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti»
4. Orbene, la Corte di merito non è incorsa nella denunziata ed erronea interpretazione dell’art. 1751 cc perché la suddetta disposizione distingue i presupposti, che possono definirsi di natura strutturale e tipici, per il riconoscimento della indennità, che sono costituiti dal fatto che l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente ricavi ancora sostanziali vantaggi dagli affari con tali clienti, dal requisito di natura funzionale non tipizzato e, cioè, che l’attribuzione sia, comunque, rispondente ad equità.
5. Per i primi, la legge individua chiaramente le condizioni per la sua rilevabilità; per il secondo, invece, il riferimento normativo non è tassativo e riguarda tutte «le circostanze del caso», individuando, a titolo esemplificativo, il riferimento alle provvigioni che l’agente perda e che risultino dagli affari con i clienti (cfr. in termini Cass. 22.9.2008 n. 23966).
6. Può, quindi, affermarsi che la finalità dei presupposti di cui alla prima parte si pone con riferimento ad una prospettiva economica positiva per il preponente, mentre quella del requisito della seconda parte concerne un profilo economico negativo per l’agente.
7. La valutazione delle «circostanze del caso», pertanto, nell’ottica di cui sopra, da un lato non può identificarsi nei presupposti già previsti dall’art. 1751 cc e, dall’altro, deve avere riguardo a tutti quegli elementi che sono idonei a pervenire ad una adeguata personalizzazione del quantum spettante all’agente (cfr. riferimenti in motivazione a Cass. 14.1.2016 n. 486).
8. Si tratta di una tipica ipotesi di equità giudiziale, che la dottrina ha definito come correttiva o integrativa, perché opera come criterio per determinare un elemento patrimoniale, attinente sia a regolamenti contrattuali sia a rapporti extracontrattuali ed è censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo della logicità e congruità della motivazione.
9. Ricostruito sistematicamente l’impianto normativo, rileva il Collegio che la Corte di merito non è incorsa nella denunciata violazione ed erronea applicazione dell’art. 1751 cc in quanto, proprio in virtù di tale valutazione equitativa, ha considerato, da un lato, la durata del rapporto di agenzia pari a 24 anni (dal 1976 al 2000) durante i quali era stata creata una rete di clientela con fatturati importanti e, dall’altro, ha rilevato che il L. era plurimandatario, come emergeva da un documento in atti circa l’esistenza di numerosi incarichi di agenzia di cui questi era titolare.
10. Tale circostanza è stata logicamente e ragionevolmente valutata dalla Corte poiché è coerente ritenere che essere plurimandatario rende meno gravosa la cessazione del rapporto con un singolo preponente proprio perché la esistenza di vari rapporti attribuisce una maggiore autonomia economica all’agente e rende meno importante, sotto l’aspetto economico, il recesso.
11. Alla stregua di quanto sopra il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
12. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.