CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 aprile 2020, n. 8345
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Sentenza di appello – Decisione di inammissibilità e improcedibilità del ricorso introduttivo – Implicita rilevazione d’ufficio da parte del giudice di prescrizione del diritto rimborso del credito – Illegittimità
Fatti di causa
1. L.I. s.p.a. (poi divenuta S.I. s.p.a.), con ricorso notificato all’Agenzia delle Entrate, ha impugnato, dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Milano, il silenzio rifiuto serbato dall’Agenzia delle Entrate sulla sua istanza di rimborso del credito d’imposta, di euro 8.466.710,74, in materia di Irpeg, risultante dalla dichiarazione dei redditi per l’anno 1993, cedutole dalla L. s.p.a. nel contesto della cessione, da quest’ultima alla stessa I. s.p.a., del ramo d’azienda “lavori”.
2. L’adita CTP ha accolto il ricorso.
3. L’Ufficio ha quindi impugnato la sentenza di primo grado e l’adita Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza n. 159/27/10, depositata il 31 dicembre 2010, ha accolto l’appello, ritenendo il ricorso introduttivo della contribuente inammissibile ed improcedibile.
4. La contribuente ha allora proposto ricorso, affidato a nove motivi, per la cassazione della predetta sentenza d’appello.
5. L’Ufficio si è costituito con controricorso.
6. La contribuente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2938 cod. civ. e 112 cod. proc. civ., per avere il giudice a quo affermato che il ricorso di primo grado della contribuente era «inammissibile ed improcedibile» in quanto tardivo, rilevando d’ufficio la pretesa prescrizione del credito avente ad oggetto il rimborso de quo, mai eccepita dall’Amministrazione.
1.1. Il primo motivo è fondato ed assorbente ogni ulteriore motivo.
Appare indispensabile trascrivere, in questa sede, la parte della motivazione della sentenza impugnata nella quale vengono rilevate, e dichiarate, con una formula unica ed indistinta, l’ “inammissibilità” e l’ “improcedibilità” del ricorso della contribuente (evidentemente supposte dalla CTR come conseguenze equivalenti e fungibili della pretesa tardività del ricorso): « La Commissione […] decide di accogliere l’appello. Intanto, perché il termine per impugnare il silenzio -rigetto del chiesto rimborso non può farsi decorrere dalla presentazione del sollecito del 17.6.02, bensì dalla scadenza del termine per la liquidazione automatizzata della dichiarazione dei redditi, ex art. 36 bis DPR 600/73, indifferente essendo la dilatoria comunicazione o non del relativo esito, per come indirettamente sostiene la stessa contribuente, che fa decorrere dal compimento di tale attività il termine entro cui l’Ufficio avrebbe dovuto esercitare il potere di accertamento e rettifica per far sì che non divenisse, definitivo il chiesto rimborso; certo, liquido esigibile il credito. Quindi, il ricorso in 1° grado era, ed è, inammissibile ed improcedibile.».
La criptica argomentazione del giudice a quo, peraltro totalmente scevra di riferimenti cronologici e normativi concreti, lascia intendere comunque che l’appello dell’Ufficio è stato accolto perché il ricorso introduttivo della contribuente sarebbe stato tardivo rispetto al « termine per impugnare il silenzio-rigetto del chiesto rimborso», e quindi inammissibile.
Tanto premesso, deve rilevarsi che:
a) non è controversa la data – il 14 novembre 2008 – di proposizione del ricorso di primo grado, indicata conformemente, nel ricorso e nel controricorso, dalle parti;
b) tanto meno è in discussione la data – 17 giugno 2002 – di presentazione dell’istanza di rimborso, indicata in conformità sia nel ricorso che nella sentenza, e non contraddetta nel controricorso;
c) è incontestato che la contribuente abbia impugnato non un atto di espresso rifiuto della sua domanda di rimborso, ma, come esplicitamente rilevato dalla stessa CTR, il rifiuto tacito mantenuto dall’Agenzia per i novanta giorni successivi alla ricezione della relativa istanza (e comunque, non risultando diversamente dalle deduzioni delle parti e dalla sentenza, anche successivamente).
Non vi era quindi spazio alcuno per l’applicazione del termine decadenziale legale di cui all’art. 21, comma 1, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che fa decorrere il termine per proporre ricorso dalla data di notificazione dell’atto, necessariamente espresso, impugnato, che nel caso di specie pacificamente non sussisteva.
La fattispecie, piuttosto, si prestava all’applicazione del comma 2 dello stesso art. 21, che, in materia di ricorso avverso il silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza di rimborso, determina un termine dilatorio ( « […] dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta[…] ») ed uno decadenziale (« […] e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto.»), coincidente con il termine di prescrizione del credito d’imposta.
Pertanto, nella fattispecie sub iudice, l’accertamento dell’intervenuta decadenza della contribuente creditrice dal diritto di proporre un tempestivo ed ammissibile ricorso avverso il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione presupponeva, necessariamente, il contestuale accertamento dell’intervenuta prescrizione del diritto sostanziale della stessa parte privata al rimborso dell’imposta.
Tuttavia, come eccepito dalla contribuente ricorrente, ai sensi dell’art. 2938 cod. civ., il giudice non può rilevare d’ufficio la prescrizione non opposta. E, nel caso di specie, né la sentenza impugnata, né il controricorso dell’Agenzia, hanno dato atto che l’Ufficio, nel giudizio di primo grado, avesse sollevato la relativa eccezione.
Ha quindi errato il giudice a quo nella parte in cui, violando gli artt. 2938 cod. civ. e 112 cod. proc. civ., ha, in via necessariamente implicita, rilevato, d’ufficio e per la prima volta in appello, la prescrizione del credito d’imposta controverso, quale presupposto, sostanziale, della dichiarata inammissibilità del ricorso introduttivo della contribuente.
Non contrastano efficacemente con tale conclusione le difese dell’Amministrazione controricorrente, secondo la quale l’art. 21, comma 2, d.lgs. n.546 del 1992, non sarebbe stato applicato dalla CTR alla fattispecie sub iudice, e comunque non sarebbe ad essa applicabile, in quanto «norma residuale che si riferisce ai rimborsi IVA: il caso che ci occupa riguarda un asserito rimborso IRPEG».
Infatti, la controricorrente, così come la sentenza impugnata, non indica alcuna norma specifica, in materia di termine per l’impugnazione del silenzio-rifiuto dell’istanza di rimborso, diversa dal predetto art. 21, comma 2, d.lgs. n.546 del 1992, la cui applicabilità generale, anche alle imposte dirette, è stata già affermata da questa Corte, secondo cui « In tema di contenzioso tributario, il ricorso del contribuente per ottenere il rimborso di somme che assuma indebitamente versate può essere proposto soltanto nei confronti di un provvedimento di diniego del rimborso, esplicito o implicito, la cui inesistenza, dovuta al non ancora avvenuto decorso del termine di novanta giorni dalla presentazione della domanda di restituzione (previsto dall’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992), comporta l’inammissibilità del ricorso per difetto dell’atto impugnabile, quale presupposto processuale, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio; mentre, una volta formatosi il silenzio-rifiuto, il ricorso è sempre proponibile fino a quando il diritto alla restituzione non sia prescritto» (Cass., 05/07/2017, n. 16520, peraltro proprio in materia di Irpeg). Tanto meno, poi, rileva la circostanza, pure dedotta dalla controricorrente, che la sentenza impugnata ha comunque dedotto anche in ordine al merito del ricorso ed alla sua infondatezza.
Infatti, la motivazione della sentenza d’appello (in combinazione con la quale va letto il dispositivo di accoglimento dell’appello e di generica riforma della sentenza di primo grado) evidenzia inequivocabilmente che la CTR ha ritenuto, in rito, il ricorso tardivo ed inammissibile, con decisione preliminare («Intanto, perché […]»), preclusiva del successivo esame del merito della controversia, affrontato pertanto dal giudice a quo solo dopo aver esaurito la potestas decidendi sulla lite e, quindi, meramente ad abundantiam.
Accolto il primo motivo di ricorso, va quindi cassata la sentenza impugnata e la causa va rinviata al giudice a quo per ogni altra questione, introdotta dalle parti in primo grado e riproposta in appello, rimasta assorbita o comunque inutiliter decisa ad abundantiam dalla CTR.
2. Restano pertanto assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso che, con riferimento alla medesima questione di rito relativa al dies a quo del termine per impugnare il silenzio-rifiuto, censurano la sentenza impugnata sotto il profilo della violazione di legge (secondo e terzo motivo) e della motivazione contraddittoria ed insufficiente (quarto motivo).
3.Sono invece inammissibili gli ulteriori motivi attinenti la ritenuta non ricostruibilità analitica del credito d’imposta controverso, sia sotto il profilo dell’errore in procedendo (quinto motivo) che della motivazione insufficiente (sesto motivo); nonché pertinenti l’assunta invalidità della cessione del credito d’imposta e della sua notifica, sotto il profilo dell’ errore in procedendo (settimo motivo), della motivazione insufficiente (ottavo motivo) e della violazione di legge (nono motivo). Infatti tutti tali motivi attingono il merito della controversia, che il giudice a quo ha esaminato, dopo aver esaurito la potestas decidendi sulla lite con la declaratoria di inammissibilità del ricorso, meramente ad abundantiam, senza che tale ulteriore pronunciamento integri una ratio decidendi della decisione impugnata che abbia effetto sul dispositivo di quest’ultima e solleciti un apprezzabile interesse delle parti all’impugnazione del relativo capo (Cass., Sez. U., 17/06/2013, n. 15122; conformi, ex plurimis, Cass., Sez. U., 20/02/2007, n. 3840; Cass. 10/04/2018, n. 8755; Cass. 19/12/2017, n. 30393; Cass. 04/01/2017, n. 101; Cass. 20/08/2015, n. 17004).
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo e dichiara assorbiti il secondo, il terzo ed il quarto ed inammissibili il quinto, il sesto, il settimo, l’ottavo ed il nono; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata, e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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