CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 dicembre 2020, n. 29722
Tributi – Cessione d’azienda – Contestazioni tributarie in corso – Responsabilità solidale del cessionario – Cartella di pagamento – Notifica dell’avviso di accertamento al cessionario – Obbligo – Esclusione
Fatti di causa
1. D.A. Srl impugnò innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Ancona quattro cartelle di pagamento, per IRPEF, IRAP, IVA, per le annualità 2004, 2005 e 2006, che le erano state notificate dall’Agente della riscossione, quale responsabile verso l’Amministrazione finanziaria in solido con il cedente, ai sensi dell’art. 14, del d.lsg. n. 472/1997, come cessionaria dell’azienda di ristorazione, di cui era titolare D.T., trasferitagli a mezzo di rogito notarile datato 08/06/2006, rettificato in data 03/09/2007.
2. La CTP di Ancona rigettò il ricorso, con distinte pronunce, confermate dalla Commissione tributaria regionale delle Marche, la quale, con la sentenza in epigrafe, nel contraddittorio dell’ufficio, ha rigettato l’unico atto d’appello proposto dal contribuente avverso le quattro decisioni di primo grado.
2.1. In dettaglio, la CTR, per quanto tuttora rileva, ha ritenuto che: (a) ai fini dell’invio della cartella al cessionario dell’azienda, responsabile in solido per il pagamento dell’imposta, delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno della cessione e nei due precedenti, ai sensi dell’art. 14, cit., non è necessario il preventivo invio dell’avviso di accertamento al medesimo soggetto. L’art. 14, al terzo comma, prevede che il cessionario si cauteli facendosi rilasciare dall’A.F. un certificato sulle contestazioni tributarie in corso e su quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti; (b) non è richiesto che la cartella rechi il limite quantitativo della responsabilità del cessionario, pari al valore dell’azienda ceduta, essendo sufficiente che essa esponga l’importo dell’imposta dovuta e delle sanzioni; (c) nella specie, la cessione deve intendersi avvenuta nel 2006 (anno di stipula del contratto di cessione, a prescindere dal successivo differimento dei suoi effetti a decorrere dal 03/09/2007), sicché è priva di fondamento l’eccezione del contribuente secondo cui la sua responsabilità solidale con il cedente per i debiti tributari non retroagirebbe fino al 2004; (d) le cartelle esattoriali, tutte tranne una emesse con procedura automatizzata ex art. 36-bis, del d.P.R. n. 600/1973, rispettano i requisiti contenutisti essenziali (indicando il tributo, il periodo d’imposta e la causale della pretesa tributaria), e, ai fini dell’estensione temporale della responsabilità solidale, è del tutto privo di rilievo che, nel 2004, D.A. Srl non fosse ancora costituita; (e) è infondata anche la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla contribuente, in relazione al citato art. 14, per la supposta disparità di trattamento del cessionario, perché privo della possibilità d’impugnare «la cartella anche nel merito», in ragione del fatto che a tale soggetto l’art. 1297, cod. civ., riconosce la facoltà di proporre tutte le eccezioni, di rito e di merito, che avrebbe potuto sollevare il debitore principale.
3. La società ricorre per la cassazione, con tre motivi; Equitalia Centro Spa e l’Agenzia resistono con distinti controricorsi.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso [«Violazione e falsa applicazione dell’art. 19, co. 3, del d.lgs. 31/12/92, n. 546; dell’art. 36 bis del dpr 600/73 e degli artt. 14 e 16 del d.lgs. n. 472/97. Difetto assoluto di motivazione. Eccesso di potere.»], la ricorrente censura la sentenza impugnata per i seguenti errori di diritto: (a) non avere rilevato la nullità delle cartelle perché non precedute dalla notifica (alla cessionaria) dei prodromici avvisi di accertamento; (b) per non avere dichiarato la nullità delle cartelle perché carenti di motivazione. Dal primo punto di vista (omessa notifica dell’avviso di accertamento che precede la cartella), la ricorrente prospetta anche questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, del d.lgs. n. 472/1997, in relazione agli artt. 2, 3, 23, 24 e 53, Cost., correlata alla lesione del diritto di difesa del cessionario, al quale sarebbe preclusa la facoltà di fare valere i vizi concernenti il merito della pretesa tributaria.
1.1. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
1.1.1. È infondato il rilievo critico sub (a) visto che la sentenza impugnata non si discosta dal quadro giurisprudenziale di riferimento, delineato da questa Sezione tributaria (Cass. 14/03/2014, n. 5979), secondo cui: «Le disposizioni dell’art. 14 del decreto legislativo 18 dicembre 1997 n. 472 introducono misure antielusive a tutela dei crediti tributari, di natura speciale rispetto alla ordinaria disciplina dell’art. 2560 co. 2 c.c., evitando che, attraverso il trasferimento dell’azienda o di un ramo d’azienda, od anche mediante il trasferimento frazionato di singoli beni appartenenti al complesso aziendale, l’originaria generale garanzia patrimoniale del debitore possa essere dispersa in pregiudizio dell’interesse pubblico alla riscossione delle entrate finanziare. Tali misure, che trovano giustificazione nella particolare rilevanza che il complesso dei beni destinati all’esercizio di una attività economica organizzata assume rispetto alla generale responsabilità patrimoniale cui il debitore è tenuto ai sensi dell’art. 2741 c.c., si risolvono nella previsione di una responsabilità solidale e sussidiaria del soggetto cessionario per i debiti tributari gravanti sul soggetto cedente, modulata secondo una diversa estensione correlata al legittimo affidamento ingenerato dalle informazioni fornite dalla Amministrazione finanziaria al soggetto cessionario, venendo la norma a distinguere nettamente la ipotesi di cessione d’azienda conforme a legge (art. 14 commi 1, 2 e 3) dal negozio di cessione d’azienda in frode al Fisco (art. 14 commi 4 e 5), nel primo caso conformando la responsabilità del soggetto cessionario come sussidiaria (beneficium excussionis) e limitata nel “quantum” (entro il valore della cessione della azienda o del ramo di azienda) e nell’oggetto (con riferimento alle imposte e sanzioni relative a violazioni commesse dal soggetto cedente nel triennio anteriore il trasferimento dell’azienda o del ramo, ovvero relative a violazioni commesse anche anteriormente, per sanzioni od imposte “già irrogate o contestate – nel triennio – comma 1 -, ovvero entro i limiti del “debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’Amministrazione finanziaria e degli enti preposti al l’accertamento dei tributi.” – commi 2 e 3-) secondo un criterio incentivante volto a premiare la diligenza del soggetto cessionario nell’acquisire dagli Uffici finanziari, prima della conclusione del negozio traslativo, le informazioni sulla posizione debitoria del soggetto cedente nei confronti del Fisco; nel secondo caso (accordo fraudolento), escludendo espressamente ogni precedente limitazione di responsabilità del cessionario (art. 14 comma 4), ed introducendo una presunzione legale “iuris tantum” di cessione in frode “quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante” (art. 14 comma 5).».
Con specifico riferimento alla censura de qua, si rileva che la norma in esame (art. 14, cit.), accanto alla responsabilità del cedente per i tributi gravanti sull’azienda ceduta, pone la responsabilità solidale del cessionario dell’azienda, della quale modula diversamente l’estensione, a seconda che si verta in ipotesi di cessione conforme alla legge (primi tre commi dell’art. 14) o di cessione in frode dei crediti tributari (quarto e quinto comma dell’art. 14). Tanto nella prima ipotesi (responsabilità solidale, sussidiaria e limitata, del cessionario) che nella seconda ipotesi (responsabilità solidale ed illimitata del cessionario), è escluso che al cessionario debba essere notificato l’avviso di accertamento diretto al cedente, in mancanza di un’espressa deroga al principio generale secondo cui l’avvio di accertamento è notificato al contribuente (art. 42, primo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600) e non ad altri soggetti che, a vario titolo, possano essere tenuti al pagamento dell’imposta accertata.
Per le medesime ragioni, del pari manifestamente infondata è la suaccennata questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, cit., prospettata dalla contribuente, per altro già disattesa dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 291 del 20/05/1991 (che ha scrutinato l’analoga fattispecie di cui all’art. 66, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, vigente ratione temporis).
1.1.2. Il rilievo critico sub (b) è inammissibile, per inosservanza del principio d’autosufficienza, a causa del mancato assolvimento, da parte della contribuente, dell’onere di trascrivere, nel ricorso per cassazione, sia pure sinteticamente, nelle sue parti essenziali, ovvero di localizzare, rispetto alle produzioni dei gradi di merito, o altrimenti allegare, ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., le cartelle di cui si assume il difetto di motivazione, ciò che non pone la Corte nella condizione di verificare la medesima doglianza esclusivamente mediante l’esame del ricorso.
2. Con il secondo motivo [«Difetto assoluto di legittimazione passiva – Anno 2004»], la ricorrente fa valere il proprio difetto di legittimazione passiva, con riferimento al debito tributario per l’annualità 2004, evidenziando che la costituzione di D.A. Srl è avvenuta in data 07/04/2005.
2.1. Il motivo non è fondato.
Si deve al riguardo considerare che la responsabilità solidale del cedente, ai sensi dei primi tre commi dell’art. 14, cit., si rifrange ex lege in un lasso cronologico triennale (e cioè l’anno in cui avviene la cessione e i due anni precedenti); sicché è del tutto irrilevante, sul piano giuridico, che la contribuente non fosse ancora costituita nel 2004, ossia nella prima frazione del segmento triennale che delimita la descritta responsabilità solidale del cessionario per i debiti tributari del cedente l’azienda.
3. Con il terzo motivo [«Violazione e falsa applicazione dei principi fondamentali e dei limiti della responsabilità solidale del cessionario di azienda. Violazione e falsa applicazione del d.lgs. 472/97 e della circolare dell’Agenzia delle entrate n. 180/E/98. Erronea valutazione dell’atto di cessione e della sua rettifica ed integrazione. Erronea considerazione delle circostanze di fatto e di diritto.»], la ricorrente denuncia la nullità della cartella in difetto di prova che essa, quale cessionaria dell’azienda, abbia agito in frode alla legge e, con riferimento alla cartella relativa all’annualità 2004, l’illegittimità della pretesa dell’A.F. in ragione della preclusione temporale connessa alla circostanza che il cessionario risponde in solido per il pagamento delle imposte e delle sanzioni relative alle violazioni commesse nell’anno della cessione e nei due anni precedenti, laddove, nel caso concreto, la cessione d’azienda ha avuto effetto a partire dal 03/09/2007, come attestato dall’atto di rettifica della cessione di cui al (primo) rogito datato 08/06/2006.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Il giudizio di cassazione è a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità e esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360, cod. proc.civ.
Nella specie, il complesso motivo del ricorso, senza essere sussunto specificamente, come invece sarebbe necessario, in alcuno dei diversi paradigmi dell’art. 360, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ. (violazione o falsa applicazione di norme di diritto, error in procedendo, vizio di motivazione [secondo la formulazione del n. 5, vigente ratione temporis], contiene una critica del tutto generica, inammissibilmente ampia e approssimativa, che non focalizza, con chiarezza, alcuna delle distinte ragioni giustificatrici della sentenza impugnata. Il risultato, censurabile in punto di diritto, è che a questa Corte viene demandato, in modo non consentito, il compito di sostituirsi alla ricorrente al fine di estrapolare, dall’insieme indistinto delle doglianze congiuntamente proposte, autonomi profili di critica (Cass. 18/04/2018, n. 9486).
4. Ne consegue il rigetto del ricorso.
5. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere le spese del giudizio di legittimità all’Agenzia delle entrate, liquidandole in euro 7.300,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito, e a Equitalia Centro Spa, liquidandole in euro 5.600,00, a titolo di compenso, oltre a euro 200,00 per esborsi, al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15% sul compenso, e agli accessori di legge.
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