CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 gennaio 2019, n. 2435
Recupero di contribuzione versata in eccedenza – Decreto ingiuntivo – Eccezione di difetto di legittimazione passiva dell’INPS
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di L’Aquila ha respinto, con sentenza n. 540/2013, il gravame proposto avverso la pronuncia del Tribunale di Chieti, con cui era stata accolta, per euro 483.969,77 oltre accessori, la domanda dell’I.N.P.S., finalizzata ad ottenere la restituzione dagli eredi di S.V., da G.V., nonché da T.D.N. e G.G., delle somme erogate in forza di decreto ingiuntivo del Tribunale di Chieti emesso in favore della Società di S.A. s.n.c., a titolo di recupero di contribuzione versata in eccedenza rispetto al dovuto e poi caducato in esito a pronuncia della Suprema Corte 21474/2008 che aveva riconosciuto l’infondatezza della domanda avanzata dalla predetta società.
La Corte d’Appello, per quanto ancora interessa, riteneva che non fosse fondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva dell’I.N.P.S., per lo spettare del credito alla società di cartolarizzazione SCCI spa, e ciò in quanto la cessione riguarderebbe solo i crediti per i quali l’ente procede al recupero mediante riscossione coattiva e in quanto comunque l’I.N.P.S., essendo litisconsorte necessario anche in caso di cessione, dovrebbe essere considerato munito in ogni caso di legittimazione.
Quanto alla responsabilità dei convenuti, la Corte rilevava che S.V. e T.D.N. erano soci della s.n.c., e quindi illimitatamente responsabili, nel 1995, quando era stato emesso il decreto ingiuntivo poi caducato, mentre G.V. lo era diventato nel 2002, per cessione di quote dal di lui padre, e la G. parimenti aveva sottoscritto nel 2002 una parte delle partecipazioni societarie, in esito ad un aumento di capitale.
Negava infine la Corte che la sentenza intercorsa tra l’I.N.P.S. e la società A. s.r.L., con cui si era escluso che quest’ultima rispondesse dei debiti della diversa Società di S.A. s.n.c., potesse avere effetto tra le parti di giudizio, riguardando essa altro soggetto.
2. Avverso la sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione G.V., in proprio e quale unico erede di S.V., con tre motivi, poi illustrati da memoria, nonché T.D.N. e G.G., ancora con tre motivi cui ha parimenti fatto seguito memoria difensiva. L’I.N.P.S. ha resistito con separati controricorsi rispetto ad entrambe le impugnative avversarie.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo G.V. censura la sentenza impugnata per avere erroneamente riconosciuto la legittimazione dell’I.N.P.S. ad agire rispetto ad un diritto che apparteneva in realtà a S.C.C.I. s.p.a., società di cartolarizzazione dei crediti I.N.P.S., per effetto dell’art. 13 L. 448/1998.
Il motivo è infondato.
Premesso che l’I.N.P.S. ha agito in giudizio vantato il credito restitutorio oggetto di causa come diritto proprio, ne deriva che la questione attiene non tanto alla legittimazione ad agire, quanto alla titolarità sostanziale del diritto rivendicato.
In proposito è pacifico che il pagamento la cui giustificazione è venuta meno per effetto della pronuncia di questa Corte sia stato eseguito dall’I.N.P.S., dal che chiaramente discende che sia tale ente a poter vantare il corrispondente diritto restitutorio.
Il V., per contrastare efficacemente tale naturale risultanza, avrebbe dovuto supportare la propria eccezione con la prova che vi era stata cessione alla Società di Cartolarizzazione del corrispondente credito, atteso che, come risulta dal disposto dell’art. 13, co. 2 L. 448/1998 (secondo cui «le tipologie … dei crediti ceduti .. sono determinati con uno o più decreti del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, di concerto con i Ministri delle finanze e del lavoro e della previdenza sociale») il trasferimento non opera ope legis per qualsiasi credito e ciò a maggior ragione nel caso di specie in cui il diritto non ha tanto di mira un recupero contributivo in senso stretto (cui di regola è riferita la cartolarizzazione), quanto la rivendicazione di somme ingiustamente restituite dall’ente alla società.
Il ricorrente tuttavia neppure adduce di avere fornito od offerto una tale prova, non potendosi ritenere sufficiente, per quanto appena detto, il richiamo alle norme sulla cartolarizzazione dei crediti I.N.P.S., e dunque il motivo va disatteso.
2. Il secondo motivo del V. ed il secondo motivo proposto dal D.N. e dalla G. sono tra loro sovrapponibili ed affermano che si sarebbe determinata violazione dell’art. 2909 c.c. e del giudicato formatosi nella causa tra l’I.N.P.S. e A. s.r.l.
Inoltre il terzo motivo del ricorso D.N.G. censura ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa il contrasto che si veniva a manifestare con la sentenza resa nei confronti di A. s.r.l. rispetto al momento del sorgere del debito restitutorio.
Anche tali motivi sono infondati.
Dal testo della sentenza del cui giudicato i ricorrenti intenderebbero fruire, si evince che, nel 2003, la Società A. s.n.c. costituì, come unico socio, la società A. s.r.l., conferendo in essa l’azienda di cui era proprietaria.
Nella medesima sentenza la Corte aquilana ha assimilato la vicenda, per quanto attiene all’azienda, ad una cessione, disconoscendo gli obblighi solidali ex art. 2560 c.c. in capo alla trasferitaria, per il fatto che il credito non risultava dalle scritture contabili al momento della cessione, come non poteva non essere dal momento che esso era «sorto solo a seguito della sentenza della Corte di Cassazione n. 21474/08 in data 8.8.2008».
Qualunque cosa si voglia ritenere rispetto all’estensione oggettiva del giudicato in questione, è assorbente il fatto che esso si è formato sì nei riguardi dell’I.N.P.S., ma con riferimento ad una parte (A. s.r.l.) che è diversa dalle parti private di questa causa.
Tra una s.r.l. unipersonale e il proprio unico socio (che nel caso di specie è la A. s.n.c.) sussiste infatti piena autonomia patrimoniale e ricorrono distinte soggettività formali, sicché non vi è ragione per cui, se la s.r.l. non risponda di un debito dell’azienda da essa esercitata, di esso non possa essere responsabile la s.n.c. che ha conferito tale azienda nella società di capitali così costituita.
Né i soci adducono un titolo che legittimi la s.n.c. e quindi anche loro a fruire del giudicato favorevole verso l’I.N.P.S. formatosi a favore di terzi.
Del resto ad escludere un’estensione dei diritti (rispetto al giudicato) di A. s.r.l. ad A. s.n.c., per effetto del trasferimento di azienda insito nel conferimento, sta il fatto che fu A. s.n.c. a trasmettere l’azienda ad A. s.r.l., sicché in alcun modo la s.n.c. potrebbe dirsi avente causa della s.r.l.
Pertanto è corretta l’applicazione dell’art. 2909 c.c. operata dalla Corte di merito, nel senso di escludere efficacia di giudicato di quella pronuncia in questo giudizio, stante il fatto che, per la predetta norma, il giudicato fa stato soltanto «tra» le «parti, i loro eredi o aventi causa»..
2.1 Né può avere spazio la censura di difetto di motivazione.
Intanto va detto che, trattandosi di ricorso avverso sentenza pubblicata il 23.4.2013 trova applicazione il nuovo testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c., nel quale non sono contemplate l’insufficienza o contraddittorietà della motivazione, ma solo l’omesso esame di un fatto decisivo.
D’altra parte, pur a voler esaminare il motivo in questa prospettiva, è palese che la diversa collocazione storica degli effetti restitutori conseguenti alla sentenza della Suprema Corte è profilo giuridico e non fattuale, sicché nessun vincolo, neppure motivazionale, poteva derivare dalla diversa pronuncia resa dalla stessa Corte in altra causa, per giunta, in quella diversa sede, senza alcuna particolare motivazione in punto di diritto. Pertanto, l’omessa considerazione delle conclusioni assunte nel diverso giudizio riguardante A. s.r.l. non integra il vizio denunciato.
3. Il terzo motivo addotto da G.V. ed il primo motivo del ricorso D.N. – G. affermano invece, ancora con argomenti sostanzialmente sovrapponibili, che la Corte di merito avrebbe violato gli artt. 336-389 c.p.c.e 2290 (oltre che 2291 e 2269) c.c., per non avere ritenuto che la sentenza della S.C. dispiegasse effetti solo dal momento della sua emissione, nel quale nessuno dei convenuti era più socio sicché non sussisterebbe la loro responsabilità solidale.
Anche tali motivi sono da rigettare.
L’azione con cui la parte, nelle forme dell’art. 389 c.p.c. o in giudizio autonomo, persegua la restituzione di quanto corrisposto in forza di decisione giudiziale poi cassata, ha natura ripristinatoria di una situazione antigiuridica determinata dal provvedimento giurisdizionale rimosso.
La modificazione della realtà conseguente ad un provvedimento giurisdizionale non definitivo ha però strutturalmente natura interinale.
L’atto giudiziario solo provvisoriamente efficace, se può avere la conseguenza pratica di determinare il trasferimento di somme di denaro, anche in via esecutiva, non è infatti idoneo a realizzare effetti giuridici sostanziali definitivi, che discendono solo dal passaggio in giudicato della pronuncia.
Ne deriva che la rimozione di tali effetti interinali e provvisori ad opera della sentenza che cassi la precedente decisione già attuata tra le parti, ha effetto necessariamente ex tunc, proprio perché viene ad essere rimossa l’ingiustificata modificazione di fatto che è poi risultata contra ius, secondo quanto sancito dal successivo provvedimento giurisdizionale reso in sede di impugnazione ed a ciò abilitato (art. 336, co. 2, c.p.c.).
In tal senso è del resto la costante giurisprudenza di questa Corte, espressa soprattutto in tema di decorrenza (appunto ex tunc) degli interessi sulle somme da restituire (Cass. 21 dicembre 2017, n. 30658; Cass. 20 ottobre 2011, n. 21699; Cass. 15 gennaio 1985, n. 59) e va qui affermato che analoga efficacia va riconosciuta ad ogni altro fine rispetto al quale rilevi stabilire il momento del sorgere del diritto restitutorio, seppure per effetto di un atto giudiziario successivo che ne comporti l’emersione.
Rispetto al pagamento non dovuto ed eseguito in forza di provvedimento giudiziale poi rimosso, il debito restitutorio si deve quindi considerare sorto al momento del pagamento stesso.
3.1 D’altra parte i ricorrenti, radicando le rispettive difese sul presupposto che il credito dovesse considerarsi sorto solo allorquando intervenne la pronuncia della Suprema Corte caducatoria del decreto ingiuntivo, non mettono neppure in discussione che il pagamento sia avvenuto quando S.V. e il D.N. erano soci, sicché la responsabilità del secondo e degli eredi del primo è in re ipsa nella posizione che essi rivestivano al momento in cui si fissa il sorgere del debito, mentre quella degli altri ricorrenti deriva dal principio secondo cui «in tema di società di persone, il soggetto che entri a far parte di una società in nome collettivo già costituita risponde con gli altri soci – in base a quanto disposto dall’art. 2269 c.c., dettato in materia di società semplice, ma applicabile anche alla società in nome collettivo in forza del richiamo operato dall’art. 2293 c.c. – per le obbligazioni sociali anteriori all’acquisto della qualità di socio, non essendo una tale responsabilità condizionata dal fatto che dette obbligazioni risultino dalle scritture contabili della società» (Cass. 20 aprile 2010, n. 9326).
4. I ricorsi vanno quindi rigettati, con regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido a rifondere all’I.N.P.S. le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13.
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