CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 maggio 2013, n. 13394
Lavoro autonomo e lavoro subordinato – Contratto di lavoro a progetto – Cessione di ramo d’azienda – Ex socio di maggioranza – Potere direttivo – Insussistenza dell’esercizio da parte del datore – Disponibilità di benefit aziendali – Irrilevanza – Legittimità – Sussiste.
Ragioni della decisione
1. M. S. chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Brescia, pubblicata il 19 dicembre 2009, che ha rigettato tutte le sue domande nei confronti di C. spa.
2. Nel ricorso introduttivo del giudizio, riportato nel ricorso per cassazione, si legge che il S., già socio di maggioranza e consigliere delegato della M. S. spa, concessionaria OPEL, sottoscrisse un contratto con la C. spa di vendita della società, pattuendo anche il suo personale apporto lavorativo mediante la stipula di un “contratto a progetto”, con il compenso annuo di 60.000,00 euro, oltre l’uso di un’autovettura aziendale e del cellulare.
3. Il relativo marchio e alcuni rami d’azienda vennero ceduti il 7 luglio 2005 e in quella stessa data le parti sottoscrissero il contratto a progetto ai sensi della legge 276 del 2003, con formale decorrenza dal 1 settembre 2005 e durata di 24 mesi.
4. Ciò premesso il S. assumeva che nei fatti egli aveva lavorato in rapporto di subordinazione, sottoposto alle direttive e disposizioni dell’amministratore della società.
5. La società recedeva poi dal contratto con preavviso di sei mesi e il rapporto si estingueva il 15 luglio 2006 alla scadenza del periodo di preavviso.
6. Il S., ritenendo il suo rapporto di natura subordinata, impugnò quello che considerava un licenziamento ai sensi dell’art. 6 della legge 604 del 1966 e chiese dichiararsi la natura subordinata del rapporto e l’illegittimità del licenziamento, con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro, o, in subordine, tutela obbligatoria. In ulteriore subordine, richiese la condanna della società a versargli il compenso a tutto il 1 settembre 2007 e cioè fino alla scadenza del termine originariamente fissato, ritenendo che il solo richiamo al comma 2 dell’art. 67 d. lgs 276 del 2003 non costituisse motivo per risolvere anzitempo il contratto.
7. Il Tribunale di Brescia dichiarò la natura subordinata del rapporto e l’inquadramento del S. come dirigente d’azienda, con conseguente diritto alla percezione del TFR, ma esclusione della tutela di cui all’art. 18 st. lav., respingendo la domanda di reintegrazione e le subordinate di tutela obbligatoria e risarcimento del danno con erogazione del compenso sino alla scadenza originaria del rapporto.
8. Proposero appello entrambe le parti.
9. La Corte d’appello di Brescia, rigettando l’appello del S. e accogliendo quello incidentale della società, rigettò tutte le domande.
10. Il ricorso per cassazione è articolato in tre motivi. La C. si è difesa con controricorso e memoria.
11. Con il primo motivo di ricorso si denunzia un vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto, controverso e decisivo per il giudizio, concernente la circostanza che il S. abbia iniziato a lavorare per la C. prima dell’entrata in vigore del contratto.
12. La Corte ha esaminato la tesi dell’inizio anticipato del rapporto rispetto alla data di avvio del progetto ed ha affermato che non è provato che il lavoro sia iniziato prima della stipulazione del contratto a progetto. In questa affermazione non vi è alcuna contraddizione.
13. Al contrario, non è pacifico come invece assume il ricorrente, che egli abbia lavorato alle dipendenze della C. già nel breve periodo estivo dal 7 luglio al 1° settembre 2005, né ciò si desume dal capitolo di prova formulato dalla società, se tale capitolo viene letto così come venne formulato e non con l’aggiunta operata dalla difesa del ricorrente. Il capitolo infatti, senza quella aggiunta, si limita ad affermare esattamente il contrario di quanto asserito dal ricorrente, e cioè che “il sig. S. M. nel periodo di luglio e agosto del 2005 si era occupato della gestione dell’autosalone M. S. spa”.
14. Con il secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 61 e ss. d. lgs. 276 del 2003 con riguardo alla validità del contratto a progetto, sostenendo che doveva escludersi che l’individuazione del progetto e degli altri requisiti formali prescritti dal legislatore fossero stati rispettati.
15. Il motivo non è fondato.
16. Il progetto di lavoro è così indicato nel contratto: “supporto ed assistenza all’organico amministrativo della società ed ai responsabili commerciali delle vendite. Il percorso del progetto sarà tracciato inizialmente dalla ricerca, tramite operazioni di marketing, di informazioni utili alla diffusione dei prodotti del committente nei grandi utilizzatori (aziende) consentendo di individuare quale o quali aree di mercato siano maggiormente predisposte, in un determinato momento alla ricezione di tali prodotti”.
17. Nel contratto si prevede poi la durata di 24 mesi salvo preavviso e verifiche con periodicità quindicinale su stato di avanzamento del progetto, risposte del mercato, iniziative da assumere.
18. La Corte d’appello ha ritenuto che tale configurazione risponda ai requisiti indicati dalla legge per la validità di un rapporto di lavoro a progetto, ai sensi dell’art. 61 del decreto legislativo 276 del 2003.
19. In particolare, la Corte ha rilevato che sono stati rispettati non solo tutti i requisiti formali richiesti dalla legge, ma anche la temporaneità e specificità di un progetto consistente nel mettere a disposizione della società che ha acquistato la concessionaria l’esperienza specifica acquisita in qualità di ex-proprietario della stessa al fine di ‘traghettare’ la nuova società all’interno del mercato.
20. La valutazione della Corte è fondata su di una corretta ricostruzione del dato normativo.
21. Il contratto di lavoro a progetto è una forma particolare di lavoro autonomo definita dall’art. 61 del d. lgs. 276 del 2003. La norma sancisce che deve mancare il vincolo di subordinazione e che quindi si deve trattare di un rapporto di lavoro autonomo. All’interno di tale categoria, perché possa individuarsi il lavoro a progetto è necessario che si sia in presenza di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore. Il progetto deve essere funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale.
22. Nel caso in esame la Corte ha ritenuto, e congruamente motivato, che questi requisiti sussistessero: il contratto non prevede soggezione ad un potere direttivo datoriale, bensì un lavoro autonomo, sebbene in rapporto di collaborazione coordinata e continuativa; l’attività lavorativa indicata nel contratto può ascriversi ad un progetto e sussiste il collegamento funzionale ad un risultato, quello appunto costituito dal contribuire a gestire la transizione da un assetto proprietario ad un altro posizionando la nuova società sul mercato mediante l’utilizzazione dell’esperienza e delle conoscenze del precedente titolare, assunto come collaboratore a progetto.
23. A queste valutazioni, che riguardano l’attività indicata nel contratto, la Corte aggiunge poi ulteriori e specifiche valutazioni in ordine alla effettività del lavoro svolto, che portano a fondare la conclusione che esclude la subordinazione, anche come mera situazione di fatto.
24. La Corte esamina compiutamente la prova documentale acquisita ed in particolare il carteggio intercorso con E. M. T., amministratore della C., che secondo il ricorrente avrebbe esercitato nei suoi confronti un potere di natura direttiva. La Corte rileva che, al contrario, da tali documenti emerge una certa deferenza del M. nei confronti del ricorrente, specie per tutto il primo periodo del rapporto, e comunque nessuno di tali documenti contiene ordini o disposizioni, meno che mai cogenti. Il carteggio in questione, attesta, secondo l’argomentato giudizio della Corte, che il rapporto intercorso tra il lavoratore a progetto e l’amministratore della società non si iscrive in una logica di subordinazione, ma di collaborazione e coordinamento, ed è quindi inquadrabile nello specifico contratto di collaborazione continuata e continuativa, prevalentemente personale previsto dall’art. 61 d. lgs. 276 del 2003.
25. Si tratta di valutazioni di merito che, essendo fondate su molteplici e coerenti argomentazioni, non possono essere rimesse in discussione in sede di giudizio di legittimità.
26. Infondato è infine l’ultimo motivo, con il quale si prospetta una violazione dell’art. 112 c.p.c. a causa della omessa pronuncia in ordine alla domanda subordinata avente ad oggetto il pagamento della somma di 67.500,00 euro. Il motivo non è fondato sotto un duplice profilo. Prima di tutto perché tale domanda era stata espressamente rigettata dal giudice di primo grado e la pronuncia sul punto non era stata oggetto di specifico motivo di impugnazione. In secondo luogo, perché la sentenza di appello si è comunque pronunciata anche sul punto, posto che sono state rigettate “tutte le domande proposte dal S. M.”, né il ricorso per cassazione pone il distinto problema di un eventuale un vizio di motivazione, essendo il motivo in esame incentrato esclusivamente sulla pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c.
27. Il ricorso per cassazione, pertanto, è infondato e deve essere rigettato. Le relative spese, per legge, devono essere poste a carico della parte che perde il giudizio e vengono liquidate in base ai parametri previsti dal D.M. Giustizia, 20 luglio 2012, n. 140 (cfr. Cass. Sez. un. 17405 e 17406 del 2012).
28. Nella decisione non si è tenuto conto, anche ai fini della liquidazione delle spese, della discussione dell’avv. P., il quale ha partecipato alla discussione in udienza dichiarandosi delegato del difensore della società, ma è risultato sprovvisto di poteri in quanto l’atto di delega depositato indicava un altro avvocato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso alla controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 50,00 euro, nonché 4.000,00 euro per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
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