CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 maggio 2019, n. 14684
Cooperative – Turnazione con orario a tempo pieno – Variazione in riduzione dell’orario di lavoro – Prova dell’accordo
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza del 4.7.2014, in accoglimento del gravame della Società Cooperativa S.C.D.L., rigettava integralmente la domanda di D. N., confermando la revoca del decreto ingiuntivo 1091/2007, ottenuto dalla predetta per il pagamento delle differenze retributive reclamate in relazione al maggiore orario lavorativo previsto dal CCNL Cooperative Sociali (38 ore settimanali), a fronte del minore orario lavorato di 36 ore.
2. La Corte, con riferimento all’orario di lavoro settimanale previsto contrattualmente, rilevava che dall’istruttoria svolta era emerso che la Cooperativa si era resa aggiudicataria del Comune di Sassari del servizio di asilo nido in una struttura comunale, che l’amministrazione aveva imposto orari di apertura e chiusura della struttura e che inizialmente era stata effettuata una turnazione con orario a tempo pieno per tutte le educatrici, orario che, tuttavia, non era risultato compatibile finanziariamente con i termini dell’aggiudicazione e le variabili necessità della struttura, sicché, per evitare licenziamenti, era stato concordemente deciso di ridurre le ore settimanali a 34-36, con predisposizione delle turnazioni a cura di un “referente” della cooperativa che determinava, con un incaricato del Comune, i fabbisogni della struttura, che il ruolo di referente era stato assunto dalla D.
3. La Corte riteneva che la riduzione di orario, mediamente a 36 ore settimanali, fosse stata predisposta ed accettata da tutti i soci e che anche la D. avesse condiviso tale scelta anche nella sua qualità di referente, tenuta alla predisposizione delle turnazioni. Ancor più la sua condotta si poneva in contrasto con i principi di buona fede e correttezza governanti l’attuazione del rapporto di lavoro in ambito cooperativistico, non avendo la stessa espresso riserve rispetto alla determinazione liberamente assunta, senza peraltro alcuna questione di violazione dell’art. 36 Cost., considerato che la riduzione del compenso era connessa ad una riduzione di orario e che gli importi retributivi erano rispettosi della disposizione costituzionale.
4. Di tale decisione domanda la cassazione la D., affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, la società.
5. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la D. denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 5 d. Igs. 61/2000, sostenendo che la trasformazione dal rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno in rapporto a tempo parziale ai sensi della norma indicata non possa avvenire a seguito di determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma necessiti in ogni caso dell’esplicito consenso scritto del lavoratore (con richiamo a Cass. 16089/2014), e che la Corte del merito abbia disatteso il dettato normativo ritenendo legittimo l’atteggiamento di parte datoriale che, in violazione del contratto intervenuto tra le parti, ha diminuito l’orario di lavoro mensile.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., per non avere la Corte territoriale precisato quando e da chi sarebbe stata decisa la riduzione di orario e per avere ritenuto che non sussisteva la base della presunzione, ossia l’esistenza di fatti noti attraverso i quali il giudice del merito poteva giungere a ritenere provata l’esistenza del fatto ignoto, mancando altresì i caratteri della gravità, precisione e concordanza degli indizi; aggiunge che era stato anche trascurato di considerare che, nell’effettuare la trattenuta per il mancato preavviso, la Cooperativa aveva trattenuto due mensilità di lavoro a tempo pieno.
3. In relazione al primo motivo, va condiviso l’orientamento già espresso recentemente da questa Corte, secondo cui: “il rapporto di lavoro subordinato, in assenza della prova di un rapporto part – time, nascente da atto scritto, si presume a tempo pieno ed è onere del datore di lavoro, che alleghi invece la durata limitata dell’orario di lavoro ordinario, fornire la prova della consensuale riduzione della prestazione lavorativa (Cass. 18 marzo 2004, n. 5518; Cass. 23 febbraio 2000, n. 2033). In ordine poi alla variazione in diminuzione dell’orario lavorativo, si ritiene che il datore di lavoro non possa unilateralmente ridurre o sospendere l’attività lavorativa e specularmente rifiutare di corrispondere la retribuzione: diversamente incorrendo nell’inadempimento contrattuale previsto in linea generale dalla disciplina delle obbligazioni corrispettive, secondo cui il rifiuto di eseguire la prestazione può essere opposto da un contraente (nella specie il datore di lavoro) soltanto se l’altra parte (il lavoratore) ometta di effettuare la prestazione da lui dovuta; ma non già quando questa sia impedita dalla volontà datoriale unilaterale, salva la prova a carico del medesimo di una impossibilità sopravvenuta, a norma degli artt. 1256, 1463 e 1464 c.c., fondata sull’inutilizzabilità della prestazione lavorativa per fatti non addebitabili al predetto, perché non prevedibili, né evitabili, né riferibili a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale ovvero ad un calo di commesse o a crisi economiche o congiunturali o strutturali e “salvo comunque un eventuale accordo tra le parti” (cfr., in tali termini, Cass. 19.1.2018 n. 1375, con richiamo a Cass. 16 aprile 2004, n. 7300).
E’ stato, poi, aggiunto che “in merito alla prova di un tale accordo, il differente regime formale del rapporto a tempo pieno rispetto a quello a tempo parziale comporta una diversa e coerente modulazione dell’onere della prova. Esso può, infatti essere assolto, quanto alla modifica delle originarie condizioni contrattuali per facta concludentia, e ciò anche se il contratto sia stato stipulato per iscritto (Cass. 14 marzo 2006, con specifico riferimento agli aspetti retributivi, fermo restando il divieto di unilaterale riduzione)” e che “appare corretto, sotto il profilo di diritto, il ragionamento probatorio svolto” … ritenendosi “la variazione in riduzione dell’orario di lavoro, in assenza di pattuizione scritta, consensualmente concordata tra le parti in base al loro comportamento concludente, così come accertato”. In una tale prospettiva, è stato correttamente utilizzato il principio di effettività, alla cui stregua, al di fuori delle espresse deroghe legali o contrattuali, la retribuzione spetta soltanto se la prestazione di lavoro venga eseguita, salvo che il datore di lavoro versi in una situazione di mora credendi nei confronti dei dipendenti: con la conseguenza della validità, in linea di principio, dei patti conclusi tra i lavoratori e il datore di lavoro per la sospensione del rapporto di lavoro. E tali patti non hanno ad oggetto diritti di futura acquisizione né concretano rinunzia alla retribuzione, invalida a norma dell’art. 2113 c.c., atteso che la perdita del corrispettivo discende dalla mancata esecuzione della prestazione (cfr. Cass. 19.1.2018 n. 1375, con richiamo a Cass. 19 maggio 2003, n. 7843; Cass. 5 febbraio 2008, n. 2734; Cass. 21 aprile 2009, n. 9475).
4. Per quanto argomentato nella richiamata pronuncia, con riferimento al caso in esame i principi suddetti sono stati correttamente applicati dal giudice del gravame, che ha individuato, quale fondamento dell’operata riduzione dell’orario previsto in un rapporto a tempo pieno un accordo accettato da tutti i soci della cooperativa e non una decisione assunta unilateralmente dal datore di lavoro, peraltro difficilmente identificabile in una società cooperativa.
5. Tutto ciò senza considerare che la decisione impugnata si fonda su una doppia ratio decidendi, non impugnata nella parte in cui il giudice del gravame ha rilevato che la pretesa della D. si è posta in contrasto con i principi di correttezza e buona fede in sede di attuazione del rapporto di lavoro in ambito cooperativistico, in quanto solo alla cessazione del rapporto è stato richiesto il pagamento di ore non lavorate in base ad una decisione assunta nell’interesse comune e dopo che la lavoratrice aveva condiviso tale decisione con gli altri soci e senza esprimere alcuna riserva. Ciò comporta che divengano inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (cfr., in tal senso, Cass. sez. lav., 18.5.2006 n. 11660; Cass. 8.8.2005 n. 16602; Cass. 8.2.2006 n. 2811; Cass. 22.2.2006 n. 3881; Cass. 20.4.2006 n. 9233; Cass. 8.5.2007 n. 10374; Cass. sez. I 14.6.2007 n. 13906, conf. a Cass., sez. un. 16602/2005).
6. Con riferimento al secondo motivo, va osservato che non vi è stata inversione dell’onere probatorio e che la Corte neanche ha fatto ricorso al ragionamento presuntivo, avendo deciso la causa sulla base dell’istruttoria svolta e sulla base del comportamento della D., che non aveva espresso riserve sulla deliberata riduzione dell’orario lavorativo, osservando un orario ridotto e traendo un beneficio da tale riduzione, in relazione alla quale, in ragione del ruolo di referente, svolto nell’ultimo periodo, aveva provveduto a predisporre diverse turnazioni tra i soci lavoratori.
7. Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso va rigettato.
8. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo;
9. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115 del 2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la D. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma lbis, del citato D.P.R.
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