CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 marzo 2019, n. 8823
Tributi – IRAP – Avvocato – Utilizzo a titolo gratuito ed in qualità di mero collaboratore esterno, delle dotazioni e dei locali organizzati e gestiti esclusivamente da altro avvocato titolare dello studio – Non soggetto ad imposta – Diritto al rimborso – Sussiste
Svolgimento del processo
1. La Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, con sentenza in data 21 maggio 2009 accoglieva il ricorso proposto dall’avv. F.P. avverso il silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione Finanziaria alla richiesta di rimborso della somma di 16.117,00 Euro, a titolo di IRAP indebitamente versata con riferimento al periodo d’imposta 2006 in relazione all’attività di avvocato svolta presso lo studio legale dell’Avv. M.M..
2. Avverso tale pronuncia l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Firenze proponeva appello, sostenendo l’insufficienza, erroneità e contraddittorietà della relativa motivazione e ritenendo il contribuente responsabile di un’autonoma organizzazione avuto riguardo all’entità dei beni strumentali e dei compensi erogati a tirocinanti e collaboratori occasionali.
3. La Commissione Tributaria Regionale di Firenze accoglieva l’appello dell’Ufficio.
4. Avverso la decisione sfavorevole l’Avv. P. proponeva ricorso per cassazione affidandolo a quattro motivi illustrati con memoria.
5. L’Agenzia si è costituita al solo fine della eventuale partecipazione alla udienza pubblica.
Motivi della decisione
1. Il ricorrente, premesso di aver fatto parte fino al 31.12.2005 dell’Associazione professionale denominata “Studio Legale M. e Associati”, e di avere svolto nel 2006 la propria attività di avvocato “esclusivamente” nel contesto e nell’interesse dello studio del collega M., denominato “Studio Legale Tributario M.M.”, rilevava che per tale attività collaborativa, attestata dalle fatture emesse nell’esercizio 2006, egli aveva dichiarato di “fruire a titolo gratuito ed in qualità di mero collaboratore esterno, delle dotazioni e dei locali organizzati e gestiti esclusivamente dal titolare dello studio”; precisava inoltre di essersi avvalso di beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio della professione di avvocato.
2. Ciò premesso, contestava la decisione della Commissione Tributaria Regionale di Firenze che lo aveva ritenuto assoggettabile ad IRAP, sebbene non fosse ravvisabile alcuna delle condizioni che consentivano di ipotizzare la sussistenza di un’autonoma organizzazione, deducendo: a) con il primo motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3, comma 1, lett. c) del D.Lgs. n. 446/1997 (ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.); b) con il secondo violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. (ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.); c) con il terzo omessa o, comunque, insufficiente motivazione sul fatto controverso e decisivo rappresentato dall’inserimento del ricorrente in una struttura organizzativa riferibile ad altri (art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c); d) con il quarto omessa o, comunque, insufficiente motivazione circa il fatto decisivo e controverso secondo cui l’impiego dei beni strumentali del ricorrente non eccedeva, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale in assenza di organizzazione (art. 360, comma 1, n. 5 C.P.C.).
3. I motivi anzidetti, che possono essere trattati unitariamente in quanto riferiti alla medesima questione, cioè la sussistenza o meno dei presupposti per l’assoggettamento all’imposta, sono fondati.
4. Invero, presupposto per l’assoggettamento all’imposta è «l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla …. prestazione di servizi” (art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446), applicabile anche alle “persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate a norma dell’art. 5, comma 3, del predetto testo unico (d.P.R. n. 917/1986) esercenti arti e professioni, di cui all’art. 49 comma 1, del medesimo testo unico» (art. 3, lett. c, del d.lgs. n. 446/1997).
5. Quanto al significato di “autonoma organizzazione” già la Corte Costituzionale, con sent. n. 156 del 2001, aveva puntualizzato che l’imposta incide su un fatto economico diverso dal reddito, cioè su quel quid pluris aggiunto dalla struttura organizzativa alla attività professionale, tale da costituire un indice di capacità contributiva idonea a giustificare l’assoggettamento al tributo; il che non implica alcun limite quantitativo, di prevalenza o meno rispetto al lavoro autonomo esercitato, bensì semplicemente un giudizio di valore sulla idoneità di quella organizzazione a potenziare le possibilità produttive del professionista.
6. Questa Corte ha poi chiarito la nozione di autonoma organizzazione nell’esercizio dell’attività di lavoro autonomo, riconoscendola ai fini IRAP quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (in tal senso già cfr. Cass., sent. 3676 del 2007; Cass., sent. n. 25311 del 2014).
7. Nel demarcare ulteriormente l’assoggettamento ad IRAP del lavoratore autonomo sono intervenute da ultimo le Sezioni Unite, con sentenza n. 9451/2016, affermando che il requisito dell’autonoma organizzazione, previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerunnque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.
8. La Corte ha invero chiarito che per la soggezione ad IRAP dei proventi del professionista autonomo è necessario che la struttura organizzata di cui questi si avvalga faccia capo allo stesso, non solo ai fini operativi, ma anche sotto il profilo organizzativo, in conseguenza non riconoscendo ad esempio la soggettività passiva all’imposta del professionista che, collaborando presso importanti studi legali, ne aveva utilizzato la struttura organizzativa, traendone utilità (cfr Cass. sez. 6-5 ord. 2 dicembre 2013, n. 27032; Cass. sez. 5, ord. 13 giugno 2012, n. 9612; nonché con specifico riferimento alla attività di avvocato v. Cass. n. 4080/2017).
9. Nel caso in esame, è risultata pacifica sulla base delle prove acquisite in giudizio l’imputabilità ad altri, in particolare, al titolare dello “Studio Legale Tributario M.”, Avv. M.M., dell’intera struttura organizzativa; elemento questo assolutamente pacifico tra le parti e mai contestato dall’Amministrazione finanziaria, talché in assenza di una struttura organizzativa autonoma, nella specie mancava uno dei presupposti per l’applicazione del tributo.
10. Invero, come recentemente ribadito da questa Corte, con riferimento al caso di una domanda di rimborso IRAP presentata da un avvocato il quale aveva realizzato considerevoli profitti professionali, “ciò che rileva ai fini della autonoma organizzazione, che determina la sottoposizione ad IRAP, è l’esistenza di una struttura predisposta dal professionista con personale da lui dipendente. Questo requisito non si realizza quando il professionista operi all’interno di una struttura da altri gestita. Perciò ben può accadere che l’IRAP risulti inapplicabile a soggetti che realizzino guadagni cospicui, quando tali guadagni siano frutto di capacità professionali od artistiche, senza il concorso di una “stabile organizzazione” di supporto avente consistenza oggettiva” (cfr. Cass. n. 9692/2012 e n. 26681/2008).
11. Analoghe considerazioni valgono per la sussistenza dell’altro requisito indicato dalla Suprema Corte, cioè l’impiego di beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione oppure l’avvalersi in modo non occasionale di lavoro altrui (cfr. Cass. n. 890/2017; n. 3942/2017; 7455/2017; 11343/2017; 28538/2017).
12. Risulta, infatti, pacificamente accertato che, per quanto riguarda i beni strumentali, il contribuente utilizzava esclusivamente beni di uso comune indispensabili a qualsiasi professionista, quali un personalcomputer, alcuni mobili di arredo e comuni mezzi di locomozione, che non sono certo in grado di configurare un’autonoma organizzazione.
13. Tali essendo gli elementi di fatto acquisiti al processo e non smentiti dalla sentenza d’appello e dalle difese erariali, manifesta è la falsa applicazione delle norme di diritto sostanziali che regolano la materia nella vincolante interpretazione datane dalle Sezioni Unite con sentenza n. 9451/2016 (già citata).
14. Va peraltro osservato che il valore assoluto dei compensi e soprattutto dei costi sostenuti da ricorrente ed il loro reciproco rapporto percentuale non costituiscono elementi utili per desumere il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione di un professionista, atteso che, da un lato, i compensi elevati possono essere sintomo del mero valore ponderale specifico dell’attività esercitata, e, dall’altro, le spese consistenti possono derivare da costi strettamente afferenti all’aspetto personale (es. studio personale, veicolo strumentale, etc.), rappresentando, così, un mero elemento passivo dell’attività professionale, non funzionale allo sviluppo della produttività e non correlato all’implementazione dell’aspetto organizzativo (Cass., sez. 6-5, n. 23557 del 2016; conf. Cass., sez. 6-5, n. 23552 del 2016).
15. Il ricorso va pertanto accolto in relazione alle dedotte violazioni di legge, nei termini come innanzi precisati, restando assorbita ogni ulteriore censura.
16. La sentenza impugnata va per l’effetto cassata e, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 comma 2, ultima parte c.p.c., con accoglimento dell’originario ricorso del contribuente. Le spese del giudizio di legittimità possono essere interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso introduttivo del contribuente. Spese compensate.
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