CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 marzo 2022, n. 10114
Inail – Classificazione dell’attività assistenziale e alberghiera – Prestazioni fornite dal personale ASA – Giudizio di “attività complessa”
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Bergamo accoglieva parzialmente il ricorso proposto dall’odierna Fondazione nei confronti dell’INAIL.
2. Controversa la classificazione dell’attività assistenziale e alberghiera fornita dalla predetta in favore degli ospiti della struttura, attraverso le prestazioni del personale ASA (assistenti socio-assistenziali), il Tribunale giudicava che l’attività in questione fosse complementare a quella di assistenza sanitaria, pure prestata dalla Fondazione in epigrafe (di seguito anche solo Fondazione), e che, pertanto, andasse inquadrata nella voce di tariffa propria di quest’ultima ( la 0311) e non nella diversa voce in cui l’aveva inquadrata l’Inali (la 0312).
3. La Corte d’appello di Brescia, in accoglimento dell’impugnazione dell’INAIL, ha, invece, integralmente rigettato la domanda della Fondazione.
4. Per quanto qui di rilievo, la Corte d’appello ha, in primo luogo, respinto l’eccezione preliminare di inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 434 cod.proc.civ. A tale riguardo, ha osservato come l’atto di impugnazione indicasse i motivi di censura e le statuizioni giudicate erronee nonché, seppur implicitamente, la soluzione che il giudice avrebbe dovuto adottare.
5. Nel merito, premessa la questione controversa – relativa appunto all’inquadramento, ai fini del regime tariffario applicabile, dell’attività socio-assistenziale svolta dalla Fondazione attraverso le prestazioni fornite dal personale ASA ha riportato le reciproche difese: da un lato, la tesi dell’ Inail che, sul presupposto della natura autonoma dell’attività in oggetto rispetto a quella dell’assistenza sanitaria, richiedeva il premio sulla base dell’inquadramento nella voce di tariffa 0312 (riguardante le strutture assistenziale), dall’altro, quella della Fondazione, fatta propria dal giudice di primo grado, secondo cui l’attività di assistenza prestata dagli ASA dovesse considerarsi complementare a quella sanitaria (in considerazione del fatto che tutti gli ospiti sono malati e a causa della loro patologia cronica o stabilizzata devono essere curati presso l’ente) e, pertanto, fosse da inquadrare, come attività strumentale, nella voce di tariffa propria delle attività sanitarie (n.0311).
6. La Corte territoriale ha ritenuto di condividere la prospettazione dell’Istituto assicuratore.
7. In proposito, ha osservato come l’Ente offrisse un servizio di accoglienza residenziale, per lo più permanente, a soggetti non autosufficienti, per malattie, avendo come obiettivo lo svolgimento di attività sanitaria ma, al contempo, anche di natura assistenziale, garantendo ospitalità, recupero e mantenimento dell’autonomia psicofisica degli ospiti.
8. In particolare, ha evidenziato come la Fondazione assicurasse tutte le attività finalizzate a mantenere e/o a rafforzare le capacità funzionali, motorie, cognitive e relazionali dei degenti; che, dunque, la finalità dell’ente fosse quella, da un lato, di curare, dal punto di vista medico, gli ospiti accolti ma, dall’altro, (anche) quella di assistere gli stessi nell’espletamento di tutte le attività quotidiane: in definitiva, a garantire, a lungo termine, assistenza sia di tipo sanitario, sia di natura meramente socio-assistenziale, con riferimento agli aiuti personali per la mobilizzazione, l’igiene personale, le attività di alimentazione, le attività ricreative o culturali, le prestazioni di tipo alberghiero, ecc.
9. Nello specifico, la Corte territoriale ha, poi, evidenziato come la descritta attività fosse garantita attraverso un organico composto di ottantatré ASA, per lo svolgimento dell’attività assistenziale, cinque terapisti per lo svolgimento dell’attività di fisioterapia, quindici infermieri professionali per l’attività infermieristica, oltre un coordinatore. Ha osservato ancora che, per lo svolgimento dell’attività medica, la Fondazione non avesse, in forza, alcun medico e si servisse di tre professionisti, in qualità di collaboratori.
10. A fronte di tale quadro fattuale, la Corte territoriale ha ritenuto, dopo il richiamo della normativa di riferimento e dei principi che la informano, configurabile un’attività «complessa», nell’ambito della quale entrambe le attività (quella strettamente sanitaria e quella socio-assistenziale) fossero autonome, benché tra loro interagenti, in quanto ciascuna tesa a realizzare, attraverso cicli di operazioni differenti, l’obiettivo della struttura, ovvero quello di garantire agli ospiti sia il servizio sanitario che quello assistenziale (e non, principalmente, quello sanitario, come nelle strutture ospedaliere o nelle cliniche o case di cura).
11. Gli addetti alla attività socio-assistenziale dovevano, perciò, essere assicurati per un rischio proprio, diverso, dal punto di vista della sicurezza, da quello tipico del personale operante in strutture esclusivamente sanitarie.
12. Avverso la decisione, ha proposto ricorso la Fondazione, articolato in tre motivi, successivamente illustrato con memoria.
13. L’Inail ha resistito con controricorso.
14. Il P.M. ha depositato conclusioni scritte ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, nr. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla legge nr. 176 del 2020.
Ragioni della decisione
15. Si dà preliminarmente atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in camera di consiglio, senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, nr. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, nr. 176, perché nessuno di essi ha chiesto la trattazione orale.
16. Con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- parte ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art 54 del decreto legge 22 giugno 2012 nr.83 e degli artt. 342, 434, 436 bis cod. proc.civ., in relazione alla statuizione di ammissibilità del gravame proposto dall’Inail.
17. La ricorrente assume che la sentenza impugnata avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello dell’Istituto, carente di critiche alla ricostruzione, in fatto, operata dal Tribunale e volto a contestare le conclusioni di cui alla decisione di primo grado, senza neppure invocare precedenti giurisprudenziali favorevoli alla sua posizione.
18. Il motivo si arresta ad un rilievo di inammissibilità.
19. Ove, in questa sede, si censuri la statuizione di ammissibilità ( o di inammissibilità) dell’atto di appello, la parte ha l’onere non solo di precisare le ragioni per cui ritiene erronea la decisione del giudice di appello ma altresì di riportare, in ricorso, il contenuto dell’atto di impugnazione, nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa genericità ( o, in caso di declaratoria di inammissibilità, la pretesa specificità) (Cass. n. 20405 del 2006; conf. Cass. n. 21621 del 2007; Cass. n. 22880 del 2017; in motivaz. Cass. 4462 del 2019), in uno a quello della sentenza di primo grado.
20. Invero, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato (come nella specie) un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, nel rispetto delle prescrizioni di cui al combinato disposto degli artt. 366 nr. 6 e 369 nr. 4 cod.proc.civ. (ex plurimis, Cass. nr. 31671 del 2018);
21. Il motivo in esame non soddisfa i parametri indicati.
Esso difetta della trascrizione degli atti processuali indicati – anche solo nei passaggi salienti ad evidenziare le dedotte criticità della decisione- e, pertanto, come prospettato, è privo di completezza e riferibilità alla sentenza impugnata (Cass. nr. 14784 del 2015; Cass. nr. 13377 del 2015; Cass. nr. 22607 del 2014).
22. Con il secondo motivo – ai sensi dell’art.360 nr.5 cod.proc.civ.- la Fondazione deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697 cod.civ. e 116 cod.proc.civ. per avere la Corte d’appello ritenuto «complessa», ai fini e per gli effetti dell’art. 6 del d.m. del 12 dicembre 2000 – l’attività della RSA «nonostante una ben precisa istruttoria» di segno opposto svolta dal Giudice di primo grado.
23. Anche il secondo motivo è inammissibile.
24. Non è pertinente la censura formulata in relazione all’articolo 2697 cod.civ. La violazione della regola processuale assume rilievo nelle sole fattispecie in cui il giudice del merito, in assenza della prova del fatto controverso, applichi la regola di giudizio basata sull’onere della prova, individuando come soccombente la parte onerata della prova; è in tale eventualità che il soccombente può dolersi della non corretta ripartizione del carico della prova. Viceversa, non è configurabile, quando, come nella specie, all’esito di una valutazione delle acquisizioni istruttorie, il Giudice ritenga, semmai erroneamente, accertati determinati fatti. In questo caso, si è in presenza di un tipico apprezzamento di merito, sindacabile nei limiti di cui all’art. 360 nr.5 cod.proc.civ.(ex plurimis, Cass nr. 17313 del 2020).
25. Del pari inappropriata è la deduzione di violazione dell’art. 116 cod.proc.civ., deducibile, ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ., solo in caso di violazione delle regole di formazione della prova ovvero quando, ad esempio, il Giudice valuta secondo prudente apprezzamento una prova legale o, viceversa, attribuisce valore di prova legale ad un elemento di prova liberamente valutabile (ex multis, Cass. nr. 13960 del 2014).
26. La circostanza che il giudice, invece, abbia male esercitato il prudente apprezzamento della prova e, in sostanza, abbia errato nella valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova, ridonda, come si è detto, in un vizio deducibile ex art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. (Cass. n. 13547 del 2014).
27. Con il terzo motivo la Fondazione – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – deduce la violazione e la falsa applicazione del D.M. dicembre 2000.
28. Assume che, per la disciplina delle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali), occorre fare riferimento alla normativa regionale. In alcuni casi, si è in presenza di struttura di tipo socioassistenziali con funzione prevalentemente sanitaria, come nella specie, in altri, prevale la funzione alberghiera, come per le case di riposo.
29. La voce di tariffa 0311 costituisce la sola voce applicabile alle strutture sanitarie, come le case di cura e di salute, nel cui novero va ascritta la RSA gestita dalla Fondazione, che nulla ha in comune con gli ospizi e i pensionati.
30. Sotto diverso profilo, la Fondazione deduce la violazione e la falsa applicazione del DM, in merito al calcolo delle sanzioni e degli interessi.
31. Il motivo è, nel complesso, infondato.
32. Giova premettere la normativa di riferimento.
33. L’art. 40, comma 10, del Testo Unico di cui al d.P.R. 30 giugno 1965, nr. 1124, prevede che le tariffe dei premi e dei contributi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e le relative modalità di applicazione sono approvate con decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale su delibera dell’INAIL.
34. È, altresì, opportuno ricordare che, per giurisprudenza di questa Corte, i decreti ministeriali con i quali, ai sensi dell’art. 40 del Testo Unico, si approva la tariffa dei premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e si determinano le relative modalità di applicazione, hanno natura di regolamenti delegati. Come tali sono atti di normazione secondaria, dotati di rilevanza esterna, suscettibili di ricorso in cassazione ex art. 360 nr. 3 cod. proc. civ. nonché di esame diretto e di interpretazione da parte della Corte di legittimità (Cass. nr. 16547 del 2005; Cass. nr. 16586 del 2010), con applicazione dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale (Cass. nr. 20898 del 2007; Cass. nr. 9034 del 2012).
35. In attuazione del citato art. 40, le tariffe sono state approvate, per quanto qui rileva, con d.m. 12 dicembre 2000, recante non soltanto le tabelle di classificazione delle diverse lavorazioni, con i corrispondenti tassi di tariffa, ma altresì le disposizioni sulle «Modalità per l’applicazione delle tariffe» (c.d. M.A.T.), i cui principi fondamentali, per quello che qui solo interessa, possono così riassumersi:
a) «le tariffe dei premi sono ordinate secondo una classificazione tecnica di lavorazioni divise in dieci grandi gruppi, di norma articolati in gruppi, sottogruppi e voci» (art. 1, comma 2, d.m. 12.12.2000,, cit.);
b) «agli effetti delle tariffe, per lavorazione si intende il ciclo di operazioni necessario perché sia realizzato quanto in esse descritto, comprese le operazioni complementari e sussidiarie purché svolte dallo stesso datore di lavoro ed in connessione operativa con l’attività principale, ancorché siano effettuate in luoghi diversi» (art. 4, d.m. cit.);
c) «le lavorazioni sono classificate, secondo i criteri indicati nell’articolo 4, alla corrispondente voce della tariffa relativa alla gestione nella quale è inquadrato il datore di lavoro» (art. 5, comma 1, d.m. cit.).
d) «se un datore di lavoro esercita un’attività complessa, articolata in più lavorazioni espressamente previste dalla tariffa della relativa gestione, la classificazione delle lavorazioni è effettuata applicando, per ciascuna lavorazione, la corrispondente voce di tariffa, il relativo tasso medio, eventualmente ridotto o aumentato ai sensi degli artt. da 19 a 25» (art. 6, comma 1, d.m. cit.).
36. Come si è riportato nello storico di lite, la questione controversa riguarda l’inquadramento, ai fini delle voci di tariffa dei premi, dell’attività di assistenza socio-assistenziale svolta dalla Fondazione ricorrente, attraverso le prestazioni fornite dal personale ASA. In particolare, la lite verte sulla configurabilità o meno di detta attività quale lavorazione autonoma, piuttosto che complementare, nell’ambito dell’attività assicurata dall’Ente.
37. L’INAIL ha proceduto all’applicazione del tasso di tariffa corrispondente alla lavorazione «0312» (id est: strutture assistenziali) e tale inquadramento, ai fini della determinazione del premio, è stata ritenuta corretta dalla Corte di appello di Brescia, sulla base delle considerazioni sopra diffusamente esposte.
38. Giudica la Corte che l’operata classificazione sia coerente con il sistema applicativo delle tariffe dei premi delineato dal citato DM e con l’accertamento, in fatto, della coesistenza di due attività distinte (quella sanitaria e quella socio- assistenziale), ciascuna tesa a realizzare un autonomo risultato: quello medico-sanitario, realizzato dagli operatori sanitari e parasanitari e quello assistenziale, prestato dagli ASA.
39. E’, peraltro, il caso di osservare che la disciplina legale del rapporto assicurativo INAIL è fondata sulla necessaria corrispondenza tra l’entità del premio pagato dal datore di lavoro e l’esposizione del lavoratore al rischio, corrispondenza che deve improntare l’interpretazione della tariffa nelle ipotesi dubbie e che, trattandosi comunque di un’assicurazione, il premio per essa pagato è tendenzialmente in funzione del rischio assicurato, (cfr., per tutte, Cass. S.U. 7853/2001; v. pure, tra cui Cass. n.16688 del 2017; 7/3/2013, n. 5649).
40. Nella conduzione dell’indagine demandatale, la Corte di appello ha tenuto presente l’indicato principio di diritto.
Ha osservato come gli addetti alla attività socio-assistenziale fossero esposti ad un rischio «diverso» da quello tipico del personale operante in strutture esclusivamente sanitarie, in ragione del differente contenuto mansionistico della prestazione lavorativa. In punto di fatto, la sentenza impugnata ha accertato una separazione di compiti: i dipendenti addetti all’assistenza giornaliera degli ospiti, alla loro igiene e mobilizzazione non svolgevano attività di tipo infermieristico.
41. In definitiva, il giudizio di «attività complessa», riconducibile nell’orbita dell’art. 6 del D.M. cit., reso attraverso la verifica, in concreto, della realizzazione, nell’ambito della complessiva organizzazione aziendale, di distinte attività, riconducibili a due diverse voci di tariffa, si sottrare ai rilievi mossi che, nella sostanza, sono essenzialmente diretti a contrastare l’operata ricostruzione della situazione fattuale.
42. Quanto alle censure relative alle sanzioni e agli interessi applicati, le stesse sono inammissibili.
43. Si tratta di profili non affrontati dalla decisione impugnata che, anzi, chiarisce (v. pag. 18 della sentenza) come la domanda originaria della Fondazione fosse limitata all’accertamento di illegittimità della riclassificazione operata dall’INAIL, senza proposizione di difese subordinate. Nell’attuale sede, non è ammesso prospettare questioni nuove, presupponenti, cioè, temi di indagine che non hanno formato oggetto di rituale deduzione e di discussione nel giudizio di appello, e la cui risoluzione implichi accertamenti di fatto non espletati in precedenti gradi del giudizio. Parte ricorrente doveva indicare come e quando le questioni medesime erano state devolute al giudice di merito (v., ex plurímis, Cass. nr 25043 del 2015). Come prospettate, le critiche sono prive di specifica attinenza al decisum e, dunque, estranee al paradigma normativo di cui all’art. 366, comma 1, n. 4 cod.proc.civ. (ex plurimis, Cass. nr. 20652 del 2009; nr. 17125 del 2007; in motivazione, Cass. nr. 9384 del 2017).
44. Conclusivamente il ricorso va respinto.
45. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
46. Sussistono i presupposti processuali per il pagamento, da parte della ricorrente, del doppio contributo, ove dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della parte controricorrente, in Euro 8.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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