CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 novembre 2018, n. 30911
Fondazione ENPAIA – Contributi – Opposizione a decreto ingiuntivo – Associazione riconosciuta e munita di autonomia patrimoniale – Elemento costitutivo di carattere giuridico – Irrilevanza della mancata contestazione della natura dell’associazione – Esclusa la corresponsabilità del proprio per le obbligazioni
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 8076/2012, ha riformato la pronuncia del Tribunale della stessa sede con cui, respingendosi l’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da Fondazione E.N.P.A.I.A., era stata accolta la domanda della medesima Fondazione nei confronti di G.P., già Presidente della Associazione Regionale dei Produttori di Vino, al fine di ottenere il pagamento della contribuzione omessa dall’associazione, sul presupposto che il P. ne fosse in parte responsabile ex art. 38 c.c. quale presidente dell’associazione ed inoltre avesse con il proprio comportamento reso impossibile il recupero creditorio, per avere, dopo la notifica del primo decreto ingiuntivo nei riguardi dell’ente, curato la cancellazione dell’Associazione dal registro delle imprese.
La Corte d’Appello riteneva inapplicabile l’art. 38 c.c., per il fatto che si trattava di associazione riconosciuta e come tale munita di autonomia patrimoniale che impediva di riconoscere una corresponsabilità del proprio presidente per le obbligazioni e sosteneva che la cancellazione dal registro delle imprese fosse conseguenza della revoca del riconoscimento da parte della Regione Puglia e non di autonome decisioni assembleari o del presidente, che quindi non aveva posto in essere comportamenti tali da poterlo ritenere responsabile a titolo risarcitorio.
Consequenzialmente la Corte territoriale pronunciava sentenza di revoca del decreto ingiuntivo e respingeva la domanda proposta da Fondazione E.N.P.A.I.A. nei confronti del P., regolando secondo soccombenza le spese dei due gradi di merito.
2. Avverso tale sentenza la Fondazione E.N.P.A.I.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, resistiti dal P. con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente sostiene la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ritenendo la tardività del rilievo, operato solo in grado di appello, del fatto che si trattasse di associazione riconosciuta, sicché non poteva trovare applicazione l’art. 38 c.c.
Il motivo è infondato.
La natura dell’associazione, quale presupposto necessario per radicare una responsabilità del presidente di essa per le obbligazioni che siano state assunte dal medesimo nell’agire in nome e per conto dell’ente, è elemento costitutivo del diritto azionato in giudizio.
D’altra parte, trattandosi di elemento costitutivo di carattere giuridico (la natura riconosciuta o meno dell’ente associativo) esso non può soggiacere alla dinamica del regime di contestazione/non contestazione propria dei soli fatti di caratura esclusivamente storico-materiale. E’ quindi irrilevante il fatto che nell’opposizione a decreto ingiuntivo il P. non avesse prospettato questioni rispetto alla natura giuridica dell’associazione, in quanto si tratta di profilo attinente come detto al fondamento giuridico della pretesa della Fondazione, che era quest’ultima, quale attore sostanziale del procedimento monitorio, a doversi far carico di allegare e provare.
Del tutto legittimamente, pertanto, la Corte territoriale ha accolto il motivo di appello con cui, facendosi leva sugli elementi che viceversa escludevano la natura giuridica (associazione non riconosciuta) addotta a fondamento della pretesa della ricorrente, ha rappresentato l’inapplicabilità della disciplina sulla responsabilità di cui all’art. 38 c.c., in quanto norma inerente le sole associazioni non riconosciute e non le associazioni riconosciute, quale era quella per cui il P. aveva agito.
2. Il secondo motivo, sempre rubricato come inerente la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, afferma che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che l’Associazione non si era trasformata in società commerciale e ciò aveva comportato la revoca del suo riconoscimento, sicché non avrebbero dovuto ritenersi ininfluenti i comportamenti tenuti, anche dal Presidente, in quella fase, in quanto tali da avere cagionato i fatti che poi avevano portato alla cancellazione dal registro delle imprese.
Con il terzo motivo è affermato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, precedentemente discusso, consistente nell’aver chiesto, il P., la cancellazione dal registro delle imprese, così ostacolando o impedendo la persecuzione dei crediti da parte dell’ente previdenziale.
2.1 Anche tali motivi, da esaminarsi congiuntamente data la loro stretta connessione, vanno disattesi.
2.2 In parte qua l’azione dispiegata ha evidentemente la natura di una pretesa risarcitoria, ricalcata sulle azioni di cui all’art. 2394 o 2476, co. 6, c.c., volta a far riconoscere la responsabilità del preposto all’associazione riconosciuta per i danni in ipotesi cagionati ai creditori da comportamenti inadempienti rispetto agli obblighi di diligenza su di esso gravanti.
2.3 Con riferimento più specifico al secondo motivo di ricorso, non risulta tuttavia che il comportamento ivi indicato, ovverosia il non avere curato la trasformazione, prevista dall’art. 4, co. 5, d. Igs. 102/2005, dell’associazione in società di capitali, cooperativa o consortile (con conseguente perdita, in mancanza, del riconoscimento), fosse tra quelli su cui si era fondata l’originaria domanda della Fondazione.
Secondo la narrativa di cui al ricorso per cassazione (v. pag. 2, nella parte in cui si richiama la motivazione della sentenza di primo grado) nell’agire in giudizio si era imputato al P., per quanto riguarda tale fase della vicenda associativa, di avere disposto la cancellazione dell’associazione dal registro delle imprese, così impedendo il recupero del credito contributivo.
Pertanto, la diversa questione in merito all’essersi determinate conseguenze sull’ente a causa della mancata trasformazione dell’associazione in società, non avrebbe potuto essere considerata dalla Corte d’Appello quale profilo della responsabilità azionata, pena l’esorbitanza della pronuncia dalla causa petendi immutabilmente delineata dalla parte. Del tutto consequenzialmente tale aspetto non può pertanto costituire motivo di ricorso avverso quella sentenza.
2.4 La questione, di cui al terzo motivo, in ordine all’asserita responsabilità del P. per avere chiesto la cancellazione dal registro delle imprese pur nella persistenza di debiti associativi insoluti, è a propria volta mal posta e non può quindi parimenti trovare accoglimento.
Intanto non è chiaro se l’iscrizione a registro delle imprese sussistesse per il fatto che vi fosse esercizio di attività imprenditoriale (art. 2188 c.c., con effetto di pubblicità-dichiarativa ex art. 2193 c.c.) o a titolo di mera pubblicità notizia (iscrizione al R.E.A., come parrebbe desumersi dal fatto che la delibera assembleare di cancellazione riguardava – secondo quanto afferma la sentenza impugnata – appunto la cancellazione dal Repertorio Economico Amministrativo).
In ogni caso, rispetto all’associazione riconosciuta, la cancellazione dal registro delle imprese non determina alcun effetto sostanziale (se non quello di far presumere ex art. 2193 c.c. la cessazione dell’esercizio di impresa, ove l’iscrizione fosse in ipotesi avvenuta per il fatto che veniva svolta una tale attività, con profilo che però resta privo di rilievo rispetto alla responsabilità per i debiti dell’ente), in quanto semmai rispetto alla responsabilità patrimoniale rileva la cancellazione dal registro delle persone giuridiche, di cui all’art. 3 d.p.r. 361/2000, previo svolgimento della fase liquidatoria ai sensi dell’art. 6, co. 1 e 2, del medesimo d.p.r. (Cass. 21 maggio 2018, n. 12528). Ma su tali ultimi aspetti nulla risulta detto in causa.
Senza contare che se poi, dalla perdita di riconoscimento dovesse farsi derivare la trasformazione di diritto in associazione non riconosciuta, addirittura nessuna formalità comporterebbe la cessazione dell’ente, fino a quando non fossero da aversi per estinte le obbligazioni da essa contratte (Cass. 12528/2018 cit., Cass. 10 marzo 2009, n. 5738; Cass. 19 agosto 1992, n. 9656).
Da quanto sopra deriva l’assoluta carenza di decisività, per ininfluenza rispetto al regime delle obbligazioni ed alla loro soddisfazione, dei fatti inerenti la cancellazione dal registro delle imprese su cui fa leva la ricorrente per sostenere l’esistenza di una responsabilità in capo al P..
Pertanto il motivo con cui si assume il mancato esame di tale profilo (art. 360 n. 5 c.p.c.) è inammissibile.
3. La integrale reiezione del ricorso comporta la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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