CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 agosto 2018, n. 21439
Procedura di mobilità – Invalidità – Risarcimento dei danni cagionati
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Perugia, con sentenza n. 237 del 2012, ha accolto l’impugnazione dell’Inps avverso la sentenza di primo grado che, ritenuta illegittima la pretesa dell’Istituto di ottenere la restituzione degli importi dell’indennità di mobilità corrisposti a G.P. in seguito alla sentenza del Pretore di Terni n. 731 del 1997, passata in giudicato, che aveva dichiarato l’invalidità della procedura di mobilità adottata dalla datrice di lavoro B.I.M. s.p.a. e condannato l’azienda al risarcimento dei danni cagionati alla lavoratrice liquidati in lire 18 milioni.
2. La Corte territoriale ha ritenuto che la sentenza del Pretore di Terni, accertando l’illegittimità della procedura di mobilità attuata dalla B.I.M. s.p.a., aveva fatto venir meno il presupposto del riconoscimento del diritto alla corresponsione del trattamento di mobilità da parte dell’Inps, restando irrilevante la circostanza che la reintegrazione nel posto di lavoro non fosse stata in concreto disposta perché già prima della sentenza pretorile la dipendente era stata già riammessa in servizio e che il risarcimento del danno chiesto dalla lavoratrice non fosse stato comprensivo anche delle somme corrispondenti all’indennità di mobilità, che l’Inps avrebbe potuto pretendere fossero restituite una volta accertata l’illegittimità del collocamento in mobilità. Peraltro, la lavoratrice avrebbe potuto proporre appello avverso la decisione pretorile qualora avesse ritenuto scorretta la liquidazione del danno.
4. Avverso tale sentenza G.P. ha proposto ricorso per cassazione fondato su di un unico motivo, cui resiste l’Inps con controricorso illustrato da memoria.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la violazione e o falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare degli articoli 5 e 7 della legge n. 223 del 1991, degli articoli 34, 112 cod. proc. civ. e 2043 cod. civ. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ., posto che si addebita alla sentenza impugnata di aver ritenuto in modo erroneo che la declaratoria di illegittimità della procedura di mobilità adottata dalla sentenza pretorile sopra indicata contenesse implicitamente, ma necessariamente, l’affermazione dell’illegittimità del licenziamento collettivo sotteso alla procedura. Inoltre, il procedimento dinanzi al Pretore aveva avuto inizio successivamente alla nuova assunzione della ricorrente da parte della datrice di lavoro e, dunque, per tale ragione non sarebbe stato possibile formulare alcuna domanda di reintegra.
2. Il motivo è infondato.
Questa Corte di legittimità ha affermato che l’indennità di mobilità di cui all’art. 7 della legge n. 223 del 1991 (applicabile alla presente fattispecie ricadendo in ambito temporale antecedente alla legge 28 giugno 2012, n. 92, che ha introdotto le misure dell’ assicurazione sociale per l’impiego (ASPI) e la cd. mini ASPI) configura una prestazione previdenziale che resta regolata, ai sensi dei commi 8 e 12 della medesima disposizione, dalla “normativa dell’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, in quanto applicabile (Cass. 20 dicembre 2011, n. 27674), disciplina inderogabile laddove regola i tempi, le modalità e i requisiti oggettivi che presiedono all’erogazione della suddetta indennità (Cass. 24 novembre 2011, n. 24824).
3. Le liste di mobilità, infatti, erano liste speciali, istituite con la legge n. 223/1991, nelle quali venivano (fino al 31.12.2016) inserite le persone licenziate collettivamente dalle imprese con oltre 15 dipendenti per cessazione, trasformazione o riduzione di attività o di lavoro ed alla Direzione Regionale del Lavoro erano affidati i compiti di gestione della lista dei lavoratori in mobilità, contenente le informazioni utili per l’eventuale reimpiego degli stessi lavoratori.
4. Coerentemente con tali premesse, dunque, questa Corte di cassazione (Cass. 28 aprile 2010, n. 10164; n. 2928 del 2005; n. 7794 del 2017) ha pure costantemente affermato il principio già espresso da Cassazione Sezioni Unite n. 12194 del 2002, secondo cui, in caso di licenziamento illegittimo del lavoratore, il risarcimento del danno spettante a quest’ultimo a norma dell’art. 18 legge 300/1970, commisurato alle retribuzioni perse a seguito del licenziamento fino alla riammissione in servizio, non deve essere diminuito degli importi eventualmente ricevuti dall’interessato a titolo di trattamento previdenziale, atteso che tale diritto discende dal verificarsi di requisiti stabiliti dalla legge, <<sicché le utilità economiche che il lavoratore ne ritrae, dipendendo da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, si sottraggono all’operatività della regola della <<compensatio lucri cum damno>>.
5. Così ricostruito il quadro sistematico al cui interno si colloca la fattispecie, è evidente l’infondatezza della critica formulata alla pronuncia impugnata che, interpretando, correttamente, la sentenza pretorile nel senso della implicita affermazione della illegittimità sia del collocamento in mobilità di G.P. che del licenziamento della stessa, ha riconosciuto sussistente l’indebito e ritenuta fondata la pretesa dell’Inps tesa ad ottenere la ripetizione di quanto erogato alla odierna ricorrente a titolo di indennità di mobilità.
6. Il ricorso va, quindi, rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vanno poste a carico della ricorrente nella misura liquidata in dispositivo.
7. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del contro ricorrente, che liquida in complessivi Euro 1800,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15 per cento e spese accessorie di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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