CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 aprile 2020, n. 8405
Tributi – Accertamento – Accise sul gasolio – Società estinta – Responsabilità solidale dell’ex legale rappresentante – Esclusione
Fatti di causa
Per quanto in questa sede ancora rileva, A.L. ed X. s.r.l. (il primo nella qualità di ex legale rappresentante e di ex socio della L.P. s.r.l., cancellatasi dal R.I., e la seconda quale cessionaria di un ramo di azienda della società estinta) impugnarono con separati ricorsi l’avviso emesso nei loro confronti il 7.11.2014 dall’Agenzia delle Dogane dell’Aquila per il pagamento, in solido, delle accise su gasolio che, secondo l’indagine condotta dalla GdF a carico di L.P., i cui risultati erano stati trasfusi in un PVC del 2004, la predetta società aveva evaso nel periodo gennaio – aprile 2003;
la CTP dell’Aquila, riuniti i ricorsi, respinse integralmente quello proposto da X., mentre dichiarò A.L. tenuto a rispondere dell’obbligazione tributaria nella sola qualità di cessato legale rappresentante della società estinta, escludendo la sua legittimazione passiva quale ex socio della stessa;
gli appelli principali proposti dai contribuenti e quello incidentale proposto dall’Agenzia contro la decisione sono stati rigettati dalla CTR dell’Abruzzo, con sentenza in data 27.10.2016;
il giudice del gravame ha ritenuto:
– l’inammissibilità, per novità, del motivo di appello di A.L. relativo alla inapplicabilità in via retroattiva dell’art. 36 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, esteso alle accise solo a seguito della modifica apportata all’art. 19, comma 1, n. 46/99 (che ne limitava l’applicabilità alle sole imposte sui redditi) dall’art. 28, comma 7, d. lgs. 12 novembre 2014, n. 175;
– l’ inammissibilità, per novità, del motivo di appello di X. relativo all’ inapplicabilità, nella specie, dell’art. 14, comma 4, d. lgs. n. 472/1997, che prevede la responsabilità solidale e illimitata del cessionario d’azienda per il pagamento delle imposte e delle sanzioni dovute dal cedente quando la cessione è attuata in frode dei crediti tributari;
– l’infondatezza nel merito del medesimo motivo;
– l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione del credito tributario, risultando applicabile alla fattispecie l’art. 15 del d. lgs. n. 504/95 a seguito dell’esercizio, per i medesimi fatti, dell’azione penale a carico di A.L. e della definizione del relativo giudizio con sentenza del 20.01.2011;
– l’infondatezza della questione concernente l’abrogazione della suddetta norma per effetto dell’art. 20 d. lgs. 10 marzo 2000, n. 64, applicabile alle sole ILDD. e all’IVA e non anche alle accise;
– l’insussistenza dei presupposti della responsabilità solidale e sussidiaria di A.L. in qualità di ex socio della società estinta.
A.L. ed X. hanno proposto ricorso congiunto per la cassazione della sentenza, affidato a otto motivi, cui l’Agenzia delle Dogane ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1 – Con il primo motivo il solo A.L. denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 53 e 57 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 345 cod. proc. civ., nella parte in cui è stato dichiarato inammissibile il motivo di appello con il quale aveva contestato che l’art. 36 d.P.R. n. 602/73 (che stabilisce che «i liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori, rispondono in proprio del pagamento delle imposte se soddisfano crediti di ordine inferiore a quelli tributari o assegnano beni ai soci o associati senza avere prima soddisfatto i crediti tributari» nei limiti in cui i crediti di imposta «avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti») potesse applicarsi in via retroattiva nei suoi confronti per effetto della modifica all’art. 19 d. lgs. n. 46/99 introdotta dell’art. 28, comma 7, d. lgs. n. 175 del 21/11/2014, che ha esteso la portata della norma, sino ad allora limitata alle imposte dirette, anche ad imposte diverse. Il ricorrente rileva che la questione era stata dedotta sin dall’atto introduttivo, tanto che il giudice di primo grado l’aveva esaminata e respinta nel merito, con la statuizione che era stata poi oggetto di censura in appello.
Il motivo è fondato.
Nel processo tributario d’appello ricorre una domanda nuova, vietata ai sensi degli artt. 24 e 57 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e dunque un motivo inammissibile, solo nel caso in cui la nuova difesa del contribuente non sia riconducibile all’originaria causa petendi e si fondi su fatti diversi da quelli dedotti in primo grado, tali da ampliare l’indagine giudiziaria ed allargare la materia del contendere (Cass., Sez. V, 3 luglio 2015, n. 13742; conf. Cass., Sez. VI, 31 maggio 2016, n. 11223).
Nel caso di specie é la stessa sentenza impugnata a dare atto che in prime cure il contribuente aveva contestato di essere tenuto al pagamento delle accise evase da L.P. ai sensi dell’ art. 36 d.P.R. n. 602/1973 (ovvero quale cessato liquidatore della società estinta), attesa l’applicabilità della norma alle sole imposte sui redditi, e che la CTP aveva respinto nel merito tale motivo di impugnazione, ritenendo L. passivamente legittimato rispetto alla pretesa erariale proprio (ed esclusivamente) nella predetta qualità.
In particolare, secondo quanto specificamente riportato in ricorso, il giudice di primo grado aveva ritenuto che la responsabilità di A.L. trovasse fondamento nella citata disposizione a seguito della modifica all’art. 19 d. lgs. n. 46/99 introdotta dall’art. 28, comma 7, d. lgs. n. 175/014, così implicitamente attribuendo efficacia retroattiva alla norma modificatrice, entrata in vigore in data successiva all’emissione dell’avviso di pagamento impugnato.
Il motivo d’appello era dunque pienamente ammissibile, posto che, da un lato, il tema della non applicabilità dell’art. 36 d.P.R. n. 602/73 alle accise – in forza della formulazione originaria dell’art. 19 d. lgs. n. 46/1999 – era già stato introdotto in prime cure e che, dall’altro, L. non poteva far altro che contestare con uno specifico motivo di gravame la natura retroattiva dell’art. 28, comma 7, d. lgs. n. 175/2014, affermata in via interpretativa dal giudice di primo grado.
1.2 – Ciò premesso, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere nel merito ed accogliere il motivo d’appello erroneamente dichiarato inammissibile dalla CTR, atteso che, sia alla data di commissione dell’illecito (anno di imposta 2003), sia a quella di emissione dell’avviso di pagamento (7.11.2014), l’art. 36 d.P.R. n. 602/1973 era applicabile solo in materia di imposte dirette, e che non v’è alcuna ragione per ritenere che, in deroga ai principi generali dell’ordinamento (art. 11 disp. sulla legge in generale), l’art. 28, comma 7, d. lgs. cit. (pubblicato sulla G.U. del 28.11.2014) abbia efficacia retroattiva.
In conclusione – risultando coperta da giudicato interno la statuizione della CTR, non impugnata dall’Agenzia, che, respingendo l’appello incidentale, ha escluso che il contribuente fosse tenuto a rispondere dell’obbligazione tributaria quale ex socio della L.P., ed essendo, pertanto, la pretesa erariale fondata unicamente sul disposto dell’art. 36 cit., non applicabile al caso di specie ratione temporis – l’originario ricorso di A.L. va accolto.
Ne consegue l’assorbimento degli ulteriori motivi di impugnazione da questi proposti unitamente ad X. (il cui esame sarà condotto con esclusivo riguardo alla società) e l’annullamento nei suoi confronti dell’avviso impugnato.
Sussistono giusti motivi per compensare fra A.L. e l’Agenzia delle Dogane le spese del doppio grado del giudizio di merito. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono invece la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
2 – Con il secondo motivo X. s.r.l. deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 53 e 57 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 345 cod. proc. civ., per avere la CTR dichiarato inammissibile il motivo di appello con il quale essa aveva contestato l’applicabilità al caso di specie dell’art. 14 comma 4, d. lgs. n. 472/1997.
3 – Con il terzo motivo la ricorrente ripropone la questione di legittimità costituzionale della norma predetta, sollevata sotto il profilo della violazione dell’art. 76 Cost. in relazione all’art. 1, comma 133, respinta dal giudice a quo.
4 – Con il quarto motivo la società denuncia, a termini dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, lamentando il rigetto dell’eccezione di prescrizione. Sostiene che i fatti accertati dalla G.D.F. e riportati nel pvc del 2004, sui quali si fondava l’avviso impugnato, erano diversi da quelli contestati in sede penale ad A.L., oggetto del procedimento conclusosi nel 2011, e si duole che il giudice di appello non abbia svolto alcun raffronto sul punto, sostanzialmente ignorando il relativo motivo di impugnazione e dando erroneamente per scontata la coincidenza degli addebiti.
5 – Con il quinto motivo deduce violazione dell’art. 132, comma 4, cod. proc. civ., per avere la CTR rigettato l’eccezione di prescrizione sulla scorta di una motivazione apparente, limitandosi ad affermare, in maniera apodittica e senza tener conto di quanto illustrato in appello, che “il procedimento penale., è derivato proprio dalla verifica e daI relativo processo verbale della Guardia di Finanza, da cui è scaturito l’accertamento tributario..
6 – Con il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 7 I. 27 luglio 2000, n. 212, per avere la CTR ritenuto che, stante la coincidenza fra la sua compagine sociale e quella di L.P., essa fosse pienamente a conoscenza della verifica fiscale cui era stata sottoposta la cedente e che pertanto l’avviso emesso nei suoi confronti fosse correttamente motivato, ancorché rinviasse al pvc del 2004, che non le era mai stato notificato, senza allegarlo e senza riprodurne il contenuto essenziale.
7 – Con il settimo motivo, che denuncia violazione degli artt. 15, comma 3, d. lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (TUA), 15 disp. prel. cod. civ., 20 d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74 e 3 Cost, la ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto affermato dalla CTR, un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 20 cit., ancorché formalmente riferito solo alle imposte dirette ed all’IVA, dovrebbe condurre a ritenere che esso abbia abrogato anche l’art. 15, comma 3, TUA, secondo cui, in materia di accise, il decorso del termine di prescrizione è interrotto dall’esercizio dell’azione penale.
Solleva, in subordine, questione di legittimità costituzionale della norma.
8 – Con l’ottavo motivo X. lamenta, infine, che la CTR abbia statuito che, in quanto soccombente, essa era tenuta al versamento di una somma pari a quella corrisposta a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Secondo la ricorrente tale disposizione, collocata all’interno della disciplina delle spese nel procedimento civile, non si applica al processo tributario e non sarebbe suscettibile di interpretazione estensiva.
9. – Il secondo motivo è fondato.
Nel ricorso introduttivo la società aveva contestato la propria responsabilità a termini dell’art. 14, comma 1, d. lgs. n. 472/1997, quale cessionaria dell’azienda di L.P., assumendo che l’avviso di pagamento riguardava imposte estranee al perimetro di applicazione della norma, e la CTP aveva respinto tale tesi rilevando che la cessione era stata attuata in frode dei crediti tributari e che pertanto la fattispecie era disciplinata dal comma 4° dell’art. cit., che non prevede alcuna limitazione.
Va pertanto esclusa la novità del motivo di appello con il quale X. ha negato che ricorresse l’ipotesi regolata dal predetto 4° comma: come già si è osservato in sede di esame del primo motivo di ricorso, la doglianza era infatti rivolta avverso una specifica statuizione contenuta nella sentenza di primo grado e non modificava né l’oggetto sostanziale della contestazione (inapplicabilità dell’art. 14 d. lgs. n. 472/1997), né i fatti posti a suo fondamento.
Non rileva che la CTR, dopo avere dichiarato inammissibile il motivo, l’abbia esaminato e respinto nel merito, e che X. non abbia impugnato questo ulteriore capo della sentenza di appello.
Costituisce infatti principio consolidato che, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare la statuizione nel merito, essendo ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale e, viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata (Cass., Sez. U., 20 febbraio 2007, n. 3840; Cass., Sez. U., 30 ottobre 2013, n. 24469; Cass., Sez. IlI, 20 agosto 2015, n. 17004; Cass., Sez. VI, 19 dicembre 2017, n. 30393; Cass. Sez. VI, 17 gennaio 2019, n. 1093).
9.2 – Resta assorbito il terzo motivo del ricorso, attinente a questione logicamente subordinata al rigetto nel merito del motivo d’appello erroneamente dichiarato inammissibile dalla CTR.
10 – Il quarto e il quinto motivo, che pongono questioni fra loro connesse e possono essere congiuntamente esaminati, devono essere respinti.
La CTR ha affermato che “il procedimento penale … è derivato proprio dalla verifica e dal relativo processo verbale della Guardia di Finanza da cui è scaturito l’accertamento tributario oggetto del presente procedimento ha dunque dato conto, se pur sinteticamente, dell’accertamento in fatto compiuto, sulla cui scorta ha respinto il motivo d’appello con il quale X. aveva dedotto, a fondamento dell’eccezione di prescrizione, la diversità degli illeciti sui quali si fondava l’avviso impugnato rispetto a quelli per i quali l’ex socio e liquidatore di L.P. era stato rinviato a giudizio.
Spettava dunque alla ricorrente di indicare i fatti storici decisivi (ovvero idonei a condurre all’accoglimento della censura) che il giudice d’appello avrebbe omesso di esaminare, non potendo il vizio di cui all’art. 360, 1 comma n. 5 c.p.c. consistere nel mero, mancato esame di risultanze istruttorie. X., contravvenendo al disposto dell’art. 366, 1 comma, nn. 4 e 6 c.p.c., ha invece totalmente omesso sia di precisare quali fossero i fatti accertati dalla G.d.F e quali i reati ascritti ad A.L., chiarendo perché il procedimento penale a carico di quest’ultimo non poteva ritenersi fondato sulla verifica eseguita presso lo stabilimento della L.P., sia di indicare l’esatta sede processuale in cui sono stati prodotti il pvc e la sentenza penale (o altro documento) contenente l’elenco dei capi di imputazione: risulta pertanto precluso a questa Corte, che non ha accesso diretto agli atti di causa, di verificare la fondatezza dell’ assunto della società.
11 – Il sesto motivo è, del pari, inammissibile, avendo la ricorrente omesso di allegare al ricorso o di indicare l’esatta sede processuale in cui è stato prodotto l’avviso di cui lamenta il difetto di motivazione, nonché di contestare specificamente l’accertamento della CTR secondo cui, stante la coincidenza della compagine societaria, essa doveva necessariamente essere a conoscenza della verifica fiscale eseguita a carico di L.P..
12 – Il settimo motivo è infondato, posto che il d. lgs. n. 74/2000 detta, pacificamente, la nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e non anche in materia di accise e che, in ogni caso, attraverso l’art. 20 di tale decreto il legislatore non ha introdotto alcuna nuova regola in tema di decorso della prescrizione della pretesa erariale, ma si é limitato ad escludere che fra il procedimento penale e quello tributario possa ritenersi sussistente un rapporto di pregiudizialità tale da giustificare la sospensione del secondo, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., sino all’esito del primo. La questione di legittimità costituzionale della norma va, in conseguenza, dichiarata inammissibile per manifesta infondatezza.
13 – All’accoglimento del secondo motivo conseguono la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa tra X. s.r.l. e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli alla CTR dell’Abruzzo in diversa composizione, che liquiderà anche le spese del presente giudizio di legittimità.
14- L’ottavo motivo è assorbito,, atteso che la cassazione della sentenza travolge, in virtù dell’effetto espansivo interno ex art. 336, comma 1, cod. proc. civ., i capi accessori (Cass., Sez. I, 25 agosto 2017, n. 20399), tra cui quello relativo al raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
Nella causa tra A.L. e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli: accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente ed annulla nei suoi confronti l’avviso impugnato; compensa integralmente fra le predette parti le spese del doppio gradi di merito e condanna l’Agenzia al pagamento di quelle del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 10.000,00 oltre 15% spese generali, IVA e CPA. Nella causa tra X. s.r.l. e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli: accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti il terzo e l’ottavo, e rigetta nel resto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla CTR dell’Abruzzo in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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