CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 dicembre 2019, n. 52122
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Bancarotta fraudolenta patrimoniale – Specifiche doglianze formulate in appello, dotate del requisito della decisività – Sentenza – Argomentazioni prive di completezza – Vizio di mancanza di motivazione
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza deliberata il 12/10/2018, la Corte di appello di Potenza, per quanto è qui di interesse, ha confermato la sentenza del 16/07/2014 con la quale il Tribunale di Matera, sempre per quanto è qui di interesse, aveva dichiarato D.D. responsabile, in concorso con P.F. e quali cogestori di fatto della ditta individuale B.C., dichiarata fallita in data 08/03/2006, dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale (per aver totalmente distratto i beni acquistati negli anni 2004 e 2006 da vari soggetti per un valore complessivo di circa 343 mila euro e pagati a mezzo di assegni bancari privi di copertura ovvero a mezzo di assegni “clonati”) e di bancarotta fraudolenta documentale, condannandolo alla pena di giustizia e alle pene accessorie di cui all’ultimo comma dell’art. 216 I. fall.
2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Potenza ha proposto ricorso per cassazione D.D., attraverso il difensore avv. B.O., articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo denuncia inosservanza della legge penale e vizi di motivazione in ordine all’imputazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale. La Corte di appello non ha dato adeguata risposta alle censure proposte con il gravame tese ad escludere il ruolo gestorio attribuito all’imputato sulla base di plurimi rilievi: la teste L. ha riferito di aver ricevuto indicazioni e direttive sull’attività da svolgere solo da C.; anche il curatore non era mai venuto a conoscenza dell’imputato, così come E.P., che pur avendo riconosciuto in foto D., ha riferito che le contrattazioni per la vendita della merce erano intervenute solo con C.; la stessa deposizione di C., in ragione della sua intrinseca inattendibilità, non era stata immune da censure, tanto che aveva perfino negato di conoscere la sua segretaria, aveva affermato di aver assunto D. (in ciò smentito dagli accertamenti presso l’INPS) e aveva cambiato la sua versione in ordine ai ruolo di D. e di F.; la qualità e la significatività delle dichiarazioni del M. P., che aveva fatto riferimento ad altro procedimento riguardante D. e F., le cui posizioni non potevano comunque essere equiparate, essendo il secondo il “ragioniere” che collaborò alla stipula del contratto di locazione e al conseguente pagamento dei canoni quale formale dipendente della ditta. La Corte di appello ha motivato in modo apodittico a fronte delle specifiche doglianze, ritenendo che gli elementi valorizzati dalla sentenza di primo grado non fossero stati sconfessati, laddove, pur apparentemente numerosi, gli elementi evidenziati dai giudici dì merito non risultano espressivi in modo inequivoco del dato da accertare (la presenza dei due imputati in azienda non giustificata da un rapporto di lavoro subordinato, che, con riguardo al ricorrente, non può dirsi espressiva dell’esercizio di fatto di poteri gestori), non direttamente riferibili alla posizione di D. (la stipulazione del contratto di affitto da parte di F.), oggetto di un vero e proprio travisamento delle prove (l’individuazione di D. e F. quali acquirenti delle merci fornite alla ditta C., tanto che lo stesso pubblico ministero all’udienza del 06/11/2013 aveva sollecitato l’esame ex art. 507 cod. proc. pen. di cinque testi, per due dei quali – P. e S. – furono acquisiti i verbali di sommarie informazioni dai quali non risultano riconoscimenti fotografici o individuazioni di D., mentre il teste M. non ha fatto riferimento al ricorrente, il teste P.P. non ha riconosciuto l’imputato e il teste E.P. è stato del tutto generico, non individuando D. quale contraente per conto di C.), inconferenti rispetto alla prospettata condotta concorsuale del ricorrente (l’estraneità dei beni acquistati all’oggetto sociale della fallita) e del tutto generici (la pendenza di un procedimento penale nel quale era stato acclarato che entrambi gli imputati avevano rilevato aziende decotte poi condotte al fallimento). Nessuno dei testi ha individuato D. quale contraente in nome e per conto della ditta C., laddove il giudice di primo grado è incorso in un equivoco circa la dichiarazioni del M.A., che aveva distinto tra riconoscimento fotografico di individui da parte dei fornitori e indicazione delle persone presenti alle contrattazioni, sicché neppure da tale testimonianza si è potuto apprendere che l’imputato aveva contrattato l’acquisto della merce. Quanto alle dichiarazioni del coimputato C., la Corte di appello non ha risposto alle censure dedotte con il gravame con riferimento all’attendibilità intrinseca, alle rilevanti discrasie del narrato e alla penuria di elementi di riscontro, tale non potendosi considerare la presenza nei locali della ditta alla luce delle dichiarazioni di E.P. e di L..
2.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza della legge penale e vizi di motivazione in ordine all’imputazione di bancarotta fraudolenta documentale. Anche su tale capo, la motivazione della Corte di appello è apodittica, non considerando la sua autonomia rispetto alla bancarotta patrimoniale, non essendo stato acquisito alcun elemento sul ruolo concorsuale di D.. La Corte di appello ha travisato la prova disattendendo le dichiarazioni di C., secondo cui la denuncia di furto della documentazione è stata da lui solo decisa senza alcun coinvolgimento di altri soggetti.
Considerato in diritto
1. Il ricorso deve essere accolto, nei termini di seguito indicati.
2. In premessa, mette conto sottolineare che già la Relazione al progetto preliminare del nuovo codice di rito rilevava come la mancanza di motivazione debba essere intesa non solo in senso materiale o grafico, ossia come «totale mancanza della parte espositiva delle ragioni della decisione», ma anche quale «mancanza di singoli momenti esplicativi, sempre però che questi siano ineliminabili nel rapporto tra i temi sui quali si doveva esercitare il giudizio e il contenuto di questo». In questa prospettiva, la giurisprudenza di legittimità ha delimitato il campo in cui assume rilievo il vizio di mancanza di motivazione rilevante a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. chiamando in causa, principalmente, il rapporto tra la motivazione del giudice di appello e le censure ritualmente proposte con l’impugnazione, atteggiandosi, così, a presidio del devolutum: del tutto consolidato, nella prospettiva indicata, è il principio di diritto in forza del quale sussiste il vizio di mancanza di motivazione, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., quando le argomentazioni addotte dal giudice a fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’imputato siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate con i motivi di appello e dotate del requisito della decisività (Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013 – dep. 2014, Dall’Agnola, Rv. 257967; conf. Sez. 2, n. 10758 del 29/01/2015, Giugliano, Rv. 263129), requisito, questo della decisività, inteso dalla giurisprudenza di legittimità come «potenziale capacità dimostrativa della insussistenza delle contestazioni» rivestita dalla deduzione difensiva rispetto alla quale viene denunciata la mancanza di motivazione (Sez. 6, n. 35918 del 17/06/2009, Greco, Rv. 244763, in motivazione).
3. La Corte distrettuale non ha fatto buon governo dei principi di diritto richiamati.
L’atto di appello proposto nell’interesse di D., invero, aveva innanzitutto articolato una serie di doglianze sull’attendibilità delle dichiarazioni rese dall’amministratore di diritto C., richiamando una serie di elementi dedotti come dimostrativi dell’inaffidabilità di quanto dallo stesso riferito. La Corte di appello richiama la tesi secondo cui C., dopo essere caduto in depressione, avrebbe affidato la gestione della ditta a D., sottraendosi, tuttavia, alla disamina delle censure proposte dall’appellante.
La Corte distrettuale si sofferma poi su una serie di elementi ritenuti dimostrativi del ruolo gestorio svolto di fatto dal ricorrente e, tra l’altro, sull’individuazione di D. – nonché di un coimputato – quale acquirente delle merci fomite alla ditta di C. e che risultavano non pagate, non erano state rinvenute in sede di inventario ed erano estranee all’oggetto dell’impresa. Sul punto, l’atto di appello aveva dedotto che dei dieci fornitori sentiti dalla Guardia di Finanza solo quattro avevano riconosciuto D. e che uno di essi, ossia E.P., aveva riferito che la trattativa era intercorsa con il solo C.: anche sul punto le censure dell’appellante, all’evidenza significative al fine di dar conto di un apprezzabile ruolo gestorio svolto dall’imputato, sono state del tutto obliterate dal giudice di appello.
La Corte di appello ha poi richiamato – oltre alla stipula dell’affitto effettuata dal coimputato – la presenza all’interno dell’azienda di cui era titolare C., senza che fosse giustificata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. L’atto di appello aveva richiamato quanto riferito dalla teste L., segretaria dell’azienda di C., che, secondo l’appellante, aveva sì riferito della presenza in azienda dell’imputato, ma aveva precisato di aver ricevuto direttive e indicazioni solo da C.: il dato, rilevante al fine di attribuire valenza significativa alla presenza di D. in azienda nel senso prospettato dall’accusa, non è stato preso in considerazione dal giudice di appello.
La sentenza impugnata richiama poi la pendenza di un procedimento nel quale i due imputati avevano assunto la gestione di fatto di imprese decotte, ma il riferimento è del tutto generico, oltre che non correlato all’indicazione dell’esito del procedimento. D’altra parte, diversamente da quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, l’appello nell’interesse di D. aveva proposto censure anche in merito all’imputazione di bancarotta documentale, segnalando come la sentenza di primo grado avesse collegato l’affermazione di responsabilità per tale capo a quella relativa alla bancarotta patrimoniale.
4. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata deve annullata nei confronti di D. D. con rinvio per nuovo esame alla competente Corte di appello di Salerno.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Salerno.
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