CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 giugno 2021, n. 18615
Inps – Indebito previdenziale – Determinazione della pensione di reversibilità – Comunicazioni all’Istituto previdenziale in ordine alla situazione reddituale – Onere della prova
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Ancona, con la sentenza n. 363 del 2017, in accoglimento del gravame svolto dall’INPS, ha rigettato la domanda di accertamento negativo proposta dall’attuale ricorrente perché venisse dichiarata irripetibile la somma pretesa dall’INPS, a titolo di indebito previdenziale (pari ad euro 24.105,65), a seguito di ricalcolo della pensione di reversibilità.
2. Riteneva la Corte d’appello che l’assicurata – onerata della prova di avere effettuato le comunicazioni all’Inps in ordine alla situazione reddituale relativa al periodo 2004/2011, agli effetti della determinazione della pensione di reversibilità in godimento dal 2004 – aveva provveduto a comunicare i dati reddituali solo in allegato alla domanda, presentata nel settembre 2012, di ricostituzione della pensione diretta in godimento dal 2010, dopo avere dichiarato, nella domanda presentata a luglio 2012 per la ricostituzione della pensione di reversibilità, di non essere titolare di altri redditi, risultando così omessa la tempestiva comunicazione della percezione di redditi rilevanti nell’intero periodo attinente alla ripetizione dell’indebito.
3. Tanto premesso, la Corte territoriale, a mente del disposto di cui all’art. 13, comma 1, legge n.412 del 1991 e dell’applicabilità della prescrizione decennale prevista per l’azione di indebito oggettivo, riteneva validamente interrotta la prescrizione con la nota dell’INPS, del 3 ottobre 2012, e inapplicabile, nella specie, il termine annuale di recupero dell’indebito previdenziale in assenza della comunicazione, da parte dell’assicurata, dei dati reddituali certi, preclusiva dell’obbligo, per l’INPS, di procedere annualmente alla verifica dei redditi dei pensionati.
4. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione E.E., con quattro motivi illustrati da memoria, ai quali ha resistito l’INPS, con controricorso.
5. All’esito della trattazione camerale, la sesta sezione della Corte ha richiesto un intervento nomofilattico in ordine alle censure svolte con il quarto motivo d’impugnazione.
Ragioni della decisione
6. Col primo motivo si deduce contraddittorietà della motivazione per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili nella motivazione e tra queste e il dispositivo, violazione di legge per error in procedendo, stante la contraddittoria omessa pronuncia sulla domanda principale ed incidentale e l’assenza di riferimenti, nel dispositivo, all’appello incidentale.
7. Col secondo motivo si deduce violazione dell’articolo 112 cod.proc.civ. e dell’articolo 118 disp. att. cod.proc.civ., nella parte in cui la Corte d’appello ha motivato la propria decisione su precedenti difformi al petitum e/o alla causa petendi della domanda e dei motivi d’appello del caso concreto e omessa, insufficiente, apparente motivazione in punto di ripartizione dell’onere della prova della domanda di accertamento negativo e in riferimento a precedenti giurisprudenziali non conformi.
8. Col terzo motivo si deduce omessa motivazione e, in via subordinata, erronea, insufficiente ed illogica motivazione su un punto decisivo della controversia, oggetto di prospettazione, discussione, allegazione delle parti, ed errata applicazione degli artt. 52 legge n.88 del 1989 e 13 legge n. 412 del 1991, per avere la Corte erroneamente escluso l’irripetibilità delle somme erogate dall’Inps in assenza di prova del dolo; si deduce, inoltre, violazione dell’articolo 2697 cod.civ. per l’erronea ripartizione dell’onere della prova e violazione dell’art. 115 cod.proc.civ., per non avere fondato la decisione sul compendio probatorio allegato dalle parti e acquisito in istruttoria.
9. Col quarto motivo si deduce omessa motivazione o, in via subordinata, insufficiente ed illogica motivazione su un punto decisivo della controversia, oggetto di prospettazione, discussione, ed allegazione delle parti ed errata applicazione dell’art. 13 legge n. 412 del 1991, per avere la Corte territoriale trascurato l’esame della conoscibilità dei redditi della pensionata da parte dell’ente previdenziale, trattandosi di redditi da gestione separata, conosciuti e conoscibili dall’ente, inseriti nelle sue banche dati.
10. Il ricorso è da rigettare, esaminati congiuntamente i motivi di ricorso per la loro connessione logica, superate le censure opposte a inesattezze terminologiche nella sentenza impugnata che, all’evidenza, non rendono incomprensibile o inintelligibile il percorso argomentativo svolto coerentemente con la statuizione – di infondatezza, nel merito, del gravame incidentale svolto dalla parte totalmente vittoriosa in primo grado – avverso la quale la parte ricorrente ha compiutamente svolto il gravame, in questa sede di legittimità, superando dette inesattezze.
11. Il tema della ripetizione dell’indebito pensionistico e dei profili inerenti all’elemento soggettivo e alla regolazione dell’onere probatorio sono già stati affrontati e risolti, da questa Corte, con decisioni condivise alle quali va data continuità (v., fra le altre, Cass. nn. 28771 del 2018 e 31832 del 2019).
12. L’art. 52, co. 2, legge n. 88 del 1989 stabilisce che le somme erogate indebitamente a titolo previdenziale non sono ripetibili, se non in presenza di dolo dell’interessato.
13. L’art. 13, co. 1, legge n. 412 del 1991, formulato come norma di interpretazione autentica, ma in realtà innovativa (Corte cost. n. 3 del 1993), integra tale regola, stabilendo che la ripetibilità di cui all’art. 52, co. 2, riguarda le somme indebitamente corrisposte per «errore di qualsiasi natura imputabile all’ente erogatore» e che la ripetibilità sussiste non solo in caso di comprovato dolo nella percezione, ma anche se l’errore sia dovuto ad «omessa od incompleta segnalazione da parte de/pensionato» di fatti che egli fosse tenuto a comunicare, salvo risulti che l’ente fosse già a conoscenza di essi.
14. L’indebito pensionistico I.N.P.S., per essere ripetibile, deve pertanto derivare da errore imputabile all’ente, oppure occorre che il percettore sia in dolo o abbia omesso la trasmissione di comunicazioni dovute rispetto a dati non noti all’I.N.P.S.
15. L’art. 13, co. 2, della citata legge n. 412 dispone che l’I.N.P.S. «procede annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e provvede, entro l’anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza».
16. Si è affermato, al riguardo, che l’obbligo dell’I.N.P.S. di procedere annualmente alla verifica dei redditi dei pensionati, prevista dall’art. 13 della legge n. 412 del 1991 quale condizione per la ripetizione, entro l’anno successivo, dell’eventuale indebito previdenziale, sorge unicamente in presenza di dati reddituali certi, sicchè il termine annuale di recupero non decorre sino a che il titolare non abbia comunicato un dato reddituale completo (v. Cass. nn. 3802 e 15039 del 2019; Cass. n. 953 del 2012, ma v. anche Cass. n. 1228 del 2011 e Cass. n. 18551 del 2017, su cui poi anche infra).
17. Da ciò il corollario che la questione attinente alle modifiche reddituali di cui l’ente previdenziale venga autonomamente a conoscenza, in ragione della propria attività istituzionale o che siano ad esso regolarmente rese note dall’interessato, non appartiene in sé all’ambito degli errori I.N.P.S. e quindi alla sfera della non ripetibilità, soggiacendo invece alla regola di ripetibilità, ma in un termine decadenziale stabilito appunto dal citato art. 13, co. 2.
18. Ratio della disciplina è che tra la percezione di una prestazione connessa al reddito e la verifica in merito al mantenersi dei redditi al di sotto della soglia che condiziona l’an o il quantum della prestazione stessa si manifesta una «fisiologica sfasatura temporale» (Corte Cost. n. 166 del 1996), data dai tempi tecnici affinché i dati disponibili all’Istituto siano «immessi nei circuiti delle verifiche contabili» (così ancora Corte Cost. cit. ).
19. Su tali tempi tecnici si esercita la discrezionalità legislativa finalizzata a contemperare le esigenze di certezza del beneficiario, con le difficoltà insite nella complessità organizzative del sistema pensionistico.
20. Tanto premesso e passando al tema specifico posto dal ricorso all’esame, va condivisa la lettura della norma nel senso ritenuto dalla Corte territoriale.
21. Come già affermato da questa Corte (v. Cass. n. 3802 del 2019), la norma non ha riguardo (solo) al momento della conoscibilità dei redditi maturati dal percettore di una data prestazione, ma ad un’attività di verifica, ovverosia di controllo organizzato sul rapporto tra prestazioni ed entrate, con riferimento alla moltitudine di persone che godono di diritti pensionistici dipendenti dai rispettivi redditi.
22. Il dato letterale fa poi riferimento ad una verifica da effettuare annualmente, ovverosia per ciascun anno civile (come tale intendendosi il periodo dal 1° gennaio al 31 dicembre), e ad un anno successivo entro cui deve procedersi al recupero.
23 II significato dell’avverbio annualmente è plurimo e fondante dell’intera disciplina: non contiene un termine decadenziale, ma solo la fissazione del referente temporale (a quo) del successivo termine (entro l’anno successivo) il cui superamento è idoneo a estinguere il diritto.
24. Pertanto, per un verso, la decadenza di cui all’art. 13, co. 2, riguarda il mancato rispetto del termine finale per l’attività di recupero e non il termine stabilito per le attività di verifica annuali, rispetto al quale la previsione ha la portata di una mera norma di azione della P.A., finalizzata a scandirne l’incedere accertativo.
25. Per altro verso, sulla scia della giurisprudenza di legittimità secondo cui la verifica può aversi solo allorquando l’ente sia in possesso di dati reddituali certi (v., fra le tante, Cass.n. 953 del 2012), il senso della previsione è quello per cui il termine, nel suo complesso, ha decorrenza dall’anno in cui l’ente ha avuto conoscenza (o conoscibilità) dei dati da cui emerge il superamento dei limiti reddituali e quindi li ha anche potuti verificare.
26. D’altra parte, proseguendo nell’esegesi della norma, essa non afferma che il recupero debba intervenire entro un anno dalla verifica, ma entro l’anno successivo, ove l’aggiunta dell’aggettivo «successivo» risulterebbe pleonastica se il senso fosse quello di fare riferimento al termine di un anno calcolato dal momento di conoscibilità dei redditi.
27. Pertanto l’art. 13, co. 2, si interpreta nel senso che, nell’anno civile in cui si è avuta conoscibilità dei redditi, deve procedersi alla verifica e che entro l’anno civile successivo a quello destinato alla verifica deve procedersi, a pena di decadenza, al recupero.
28. Nella specie, la condotta omissiva in riferimento alle comunicazioni reddituali dal 2004 al 2012, necessarie per definire annualmente la misura della pensione di reversibilità spettante al coniuge superstite, ha reso inoperativa la decorrenza del termine annuale di recupero.
29. Va poi ricordato, in continuità con la consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di indebito previdenziale, che il pensionato che chieda l’accertamento negativo della sussistenza del suo obbligo di restituire quanto percepito, ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto alla prestazione già ricevuta ovvero l’esistenza di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrispostogli (v., fra le tante, Cass. n. 1228 del 2011; Cass. n.2739 del 2016; Cass. n. 31832 del 2019).
30. Risulta ormai consolidato il principio generale di settore secondo cui è equiparata al dolo l’inosservanza di obblighi di comunicazione, prescritti da specifiche norme di legge, di fatti e circostanze incidenti sul diritto o sulla misura della pensione che non siano conosciuti dall’ente competente (Cass. n. 1919 del 2018 ed altre conformi).
31. Questa Corte ha anche aggiunto che tale equiparazione non si palesa prima facie suscettibile di censure d’incostituzionalità per irragionevole disparità di trattamento di situazioni ontologicamente differenti, atteso che il dolo ben può atteggiarsi quale dolo omissivo, cioè come volontà illuminata dalla consapevolezza del significato socialmente rilevante del mantenimento della situazione esistente (Cass. n. 1919 del 2018 cit. alla cui motivazione si rinvia).
32. Si è anche precisato che nell’indebito previdenziale il dolo non opera nel momento di formazione della volontà negoziale, bensì nella fase esecutiva, riguardando un fatto causativo della cessazione dell’obbligazione di durata che non è noto all’ente debitore, dal quale ultimo, in ragione del numero rilevantissimo di rapporti di cui è titolare passivo, non si può ragionevolmente pretendere che si attivi per prendere conoscenza della situazione, personale e patrimoniale, dei creditori senza la collaborazione attiva di ciascuno di essi (così Cass. nn. 21019 del 2007, 12097 del 2013 e 27096 del 2018).
33. Sotto altro ma concorrente profilo, si è precisato che il dolo del pensionato, pur non potendo aprioristicamente considerarsi presunto sulla base del semplice silenzio, deve tuttavia ritenersi sussistente allorchè questi abbia disatteso l’obbligo legale di comunicare all’INPS determinate circostanze rilevanti ai fini della sussistenza e della misura del diritto a pensione (cfr., fra le tante, Cass. nn. 4849 del 1986, 11498 del 1996, cui ha dato seguito Cass. n. 1919 del 2018).
34 Nella specie l’indebito si è verificato sulla pensione di reversibilità per la quale la coniuge superstite, fin dal momento della domanda per il trattamento pensionistico, avrebbe dovuto indicare la propria posizione reddituale dichiarando l’eventuale titolarità di redditi ulteriori; in presenza della dichiarazione iniziale di non possedere altri redditi e in assenza di successive comunicazioni annuali, il trattamento ai superstiti è stato erogato tenuto conto della posizione inziale, di non titolarità di altri redditi, al pari dei beneficiari del trattamento ai superstiti sprovvisti di altri redditi.
35. Dunque, non solo dolo originario dell’accipiens, per la mancata attestazione iniziale di percepire altri redditi, ma anche omissivo, per l’omessa comunicazione annuale dei dati reddituali e l’omessa presentazione del modello RED, in riferimento al periodo in contestazione, modello presentato, per ammissione della stessa parte ricorrente, solo nel giugno 2012 con il quale si evidenziavano redditi presenti negli archivi dell’ente (così nel ricorso, pag. 19) dandosi atto che i dati reddituali, mancanti nella domanda di ricostituzione della pensione di reversibilità, erano palesati nella domanda di ricostituzione della pensione diretta (pensione vecchiaia artigiani) nella quale venivano denunciati i redditi da lavoro a partire dall’anno di decorrenza di quest’ultima, cioè dal gennaio 2010, con ciò escludendo una condotta di occultamento dei dati reddituali (così, ancora, nel ricorso).
36. Correttamente la Corte territoriale, in applicazione degli esposti principi, ha ravvisato nell’omessa comunicazione dei redditi complessivamente percepiti e rilevanti agli effetti della determinazione della misura del trattamento ai superstiti, la condotta rilevante per la ripetibilità delle somme corrispondenti alla maggior misura percentuale indebitamente percepita della pensione di reversibilità.
37. La tesi difensiva ancorata alla conoscibilità, per l’ente previdenziale, della situazione reddituale desumendola dalla gestione separata alla quale l’assistita risultava iscritta, a partire dal 2006, non incrina l’illustrata ricostruzione per l’assorbente rilievo che il reddito da gestione separata compare, nella relativa banca contributiva, in riferimento alle posizioni aperte e sempre che risultino regolarmente, correttamente e integralmente effettuati i relativi versamenti di legge sul reddito effettivamente prodotto, in disparte la considerazione che la gestione della pensione di reversibilità risulta agganciata alla contribuzione del defunto titolare diretto.
38. Né possono ritenersi conoscibili, da parte dell’ente previdenziale, redditi del tutto estranei all’ente previdenziale, quali i redditi da casa di abitazione, da terreni e fabbricati, nella specie acquisiti solo all’esito del controllo effettuato con l’Agenzia delle Entrate dopo la dichiarazione, nel 2012, di ricostituzione della pensione diretta.
39. Rimangono assorbite tutte le altre censure svolte, peraltro, secondo il paradigma del vizio di motivazione nel testo antecedente alla novella dell’art. 360, n.5 cod.proc.civ., non più spendibile ratione temporis.
40. Infine, risulta fondata l’eccepita tardività del controricorso, la cui notificazione via PEC, entro l’ultimo giorno utile (il 31 luglio 2018) era stata corredata dell’allegazione di atti non pertinenti al giudizio all’esame ed è stata rinnovata, via PEC, con le pertinenti allegazioni, nel giorno immediatamente successivo.
41. Al riguardo va rilevato che l’art. 370 cod.proc.civ., nel disciplinare il controricorso, prevede che, in mancanza della notificazione nel termine (complessivamente di quaranta giorni) da esso stabilito, il controricorrente «non può presentare memorie, ma soltanto partecipare alla discussione orale», con regola costantemente intesa nel senso che il controricorso notificato e depositato oltre i predetti termini è inammissibile e da tale inammissibilità deriva il divieto per i giudici di conoscere il contenuto dell’atto e, per il resistente, di depositare memorie, fatta salva la facoltà di partecipazione del difensore di quest’ultimo alla discussione orale (v., fra tante, Cass. 23921 del 2020 e ivi ulteriori precedenti).
42. Nella specie, deviato il processo dal percorso camerale e svoltasi la discussione orale, deve provvedersi alla liquidazione delle spese in favore della parte controricorrente, come in dispositivo, secondo la regola della soccombenza.
43. Ai sensi dell’art.13,co.1-quater, d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13, co. 1, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Ai sensi dell’art.13,co.1-quater, d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13, co. 1, se dovuto.
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