CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 luglio 2018, n. 20095
Tributi – Accertamento – Riscossione – Notificazione – Dichiarazione dei redditi – Rettifica – Liticonsorzio – Contenzioso tributario
Fatti di causa
A seguito di processo verbale di constatazione, l’Agenzia delle Entrate notificava alla C. s.r.l. due avvisi di accertamento, relativi agli anni di imposta 1996 e 1997, con i quali, rilevando ricavi non dichiarati e costi non deducibili, procedeva al recupero a tassazione di maggiori redditi imponibili ai fini Irpeg e Ilor.
Gli atti impositivi venivano impugnati, con distinti ricorsi, dalla società contribuente dinanzi alla Commissione Tributaria provinciale, la quale, previa riunione, li accoglieva parzialmente, rideterminando i componenti positivi e negativi di reddito esposti dalla contribuente per l’anno 1996 e per l’anno 1997 e rigettando nel resto i ricorsi.
Proposto appello principale dall’Ufficio ed appello incidentale dalla contribuente, la Commissione Tributaria regionale li rigettava, confermando la sentenza impugnata.
Osservava, per quanto qui interessa, che i maggiori ricavi accertati dall’Ufficio concernenti “premi e contributi da fornitori” difettavano dei requisiti della certezza e determinabilità e che “l’errore sull’anno di competenza, in relazione ad acquisti ed interessi passivi”, non incideva sull’importo complessivo da versare; riteneva, altresì, legittima la esclusione dalla ripresa a tassazione della somma di lire 442.556.917, “trattandosi di spese di pubblicità ed attività promozionali svolte non dal Consorzio S., ma dai singoli consorziati, tra cui la ricorrente C. s.r.l.”
Avverso la suddetta decisione ricorre per cassazione, con cinque motivi, la C. s.r.l.
L’Agenzia delle Entrate resiste mediante controricorso e propone ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.
La contribuente ha depositato controricorso al ricorso incidentale.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la contribuente, deducendo violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., 36, comma 2, d.lgs. n. 546/92 e 111 Cost., censura la sentenza assumendo che la Commissione regionale ha respinto l’appello incidentale sulla base di affermazioni generiche ed inidonee ad evidenziare una qualsiasi ratio decidendi e che, in ogni caso, costituisce jus receptum che la motivazione della sentenza di appello per relationem alla sentenza di primo grado è legittima solo qualora il giudice di secondo grado mostri, seppure sinteticamente, dì avere esaminato i motivi di appello.
1.1. Il motivo è infondato.
La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, n. 22232 del 03/11/2016).
Questa Corte ha, infatti, più volte affermato che la motivazione per relationem è valida a condizione che i contenuti mutuati siano fatti oggetto di autonoma valutazione critica e le ragioni della decisione risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo (Cass. S.U. 14814 del 2008; Cass. 642 del 2015), precisando che il giudice d’appello è tenuto ad esplicitare le ragioni della conferma della pronuncia di primo grado con riguardo ai motivi di impugnazione proposti (Cass. n. 6326 del 2016; n. 16612 del 2015; n. 15664 del 2014; n. 12664 del 2012; n. 7477 del 2011), sicchè deve ritenersi nulla – perché meramente apparente- una motivazione la cui laconicità non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione d’infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello proposti (Cass. 3320 del 2016; n. 25623 del 2015; n. 22022 del 21/9/2017).
Nel caso di specie, la Commissione tributaria regionale, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, non si è limitata a richiamare le statuizioni contenute nella sentenza di primo grado, ma ha esplicitato, seppure con motivazione sintetica, il ragionamento logico-giuridico che l’ha condotta a respingere gli appelli proposti, valutando le risultanze probatorie emerse nel corso del giudizio di merito ed esprimendo una propria valutazione in ordine ai motivi di gravame.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente – deducendo violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ed error in procedendo – lamenta che il giudice di secondo grado ha omesso di pronunciarsi “sulle censure concernenti la non debenza delle sanzioni ed il diritto al rimborso delle imposte versate per gli anni di errata imputazione”.
Ha spiegato, al riguardo, che, sebbene con l’appello incidentale avesse espressamente lamentato che, con riferimento alle violazioni del principio di competenza, la sentenza di primo grado risultasse carente, “non avendo contrapposto alcuna motivazione di carattere giuridico alle argomentazioni contenute alle pagg. 6-7 del ricorso originario ove si contestava: l’indebito arricchimento dell’erario per violazione del divieto della doppia imposizione sancito dall’art. 127 (ora 163) del t.u.i.r. e la sussistenza di una causa di non punibilità, ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. 18/12/1997, n. 447…”, la pronuncia su tali eccezioni è stata totalmente omessa dalla Commissione Tributaria regionale.
2.1. La censura è fondata.
Nella sentenza impugnata il giudice di appello ha effettivamente omesso di esaminare le eccezioni richiamate dalla contribuente, la quale nelle conclusioni dell’appello, ritrascritte nel ricorso per cassazione, aveva formalmente chiesto che fosse dichiarata “…la errata imputazione per competenza negli esercizi 1996 e 1997 dei rilievi di cui alla colonna B del prospetto riepilogativo allegato sub. 1, per un importo imponibile complessivo di lire 90.262.099, e, pertanto, dovute le relative imposte e non anche le sanzioni, disponendo, al contempo, il rimborso delle imposte assolte dalla ricorrente per gli esercizi di errata imputazione…”, sicchè è ravvisabile il vizio denunciato per mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Infatti, l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, dello stesso codice, che consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare – l’esame degli atti del giudizio di merito, nonché, specificamente, dell’atto di appello (Cass. n. 22759 del 27/10/2014).
3. Con il terzo motivo, deducendo violazione degli artt. 38, 39 e 67 del d.P.R. n. 600/73, nonché dell’art. 163 del d.P.R. n. 917/86, la ricorrente censura la sentenza laddove i giudici di merito hanno confermato l’accertamento di un maggior reddito imponibile per l’anno 1996 nella misura di lire 48.237.490 (con le relative sanzioni), senza tenere conto del fatto che la contestuale dichiarazione di afferenza a quell’anno di costi di ben maggiore ammontare dalla società erroneamente imputati al 1997, anziché al 1996, poteva comportare la doppia imposizione di uno stesso reddito.
3.1. Il motivo è infondato.
3.2. In tema di reddito d’impresa, questa Corte ha più volte ritenuto che – poiché “l’imputazione di un determinato costo ad un esercizio anziché ad un altro ben può, in astratto, comportare l’alterazione dei risultati della dichiarazione, mediante i meccanismi di compensazione dei ricavi e dei costi nei singoli esercizi – le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dall’art. 75 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, sono inderogabili, non essendo consentito lasciare al contribuente la scelta di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza (Cass. 6331 del 10/3/2008; n. 3809 del 2007; n 16198 del 2001; n. 3418 del 12/2/2010).
3.3. Tale indirizzo trae origine dalla affermazione esplicita per cui “le regole sull’imputazione temporale dei componenti di reddito sono inderogabili, sia per il contribuente che per l’ufficio finanziario e, pertanto, il recupero a tassazione di ricavi nell’esercizio di competenza non può trovare ostacolo nella circostanza che essi siano stati dichiarati in un diverso esercizio: ciò infatti finirebbe per lasciare il contribuente arbitro della scelta del periodo più conveniente in cui dichiarare i propri componenti di reddito con innegabili riflessi sulla determinazione del proprio reddito imponibile” (Cass. n. 14774 del 15/11/2000, che si è specificamente occupata di un’ipotesi di ricavi contabilizzati nell’esercizio successivo, precisando come la circostanza che detti componenti avessero già concorso alla formazione del reddito di un altro esercizio non impediva la loro considerazione nel periodo d’imposta in cui si radica la competenza secondo le regole dettate dal t.u.i.r.).
L’applicazione di detto criterio non comporta la conseguenza, parimenti vietata, della doppia imposizione (art. 127 d.P.R. 917/1986), paventata dalla società ricorrente in rapporto alle circostanze del caso concreto, trattandosi di evento che scaturisce direttamente dalla legge e tenuto conto che essa, in base ai principi generali, è evitabile dal contribuente mediante l’esercizio, con richiesta di rimborso e conseguente impugnazione, ai sensi dell’art. 19 d. lgs. n. 546/1992, del silenzio rifiuto su di essa eventualmente formatosi, dell’azione di restituzione della maggior imposta corrisposta per la mancata esposizione nell’annualità di competenza dei costi negati in relazione a diversa imputazione temporale, e ciò a far data dal perfezionamento del giudicato sulla legittimità del recupero dei costi in relazione alla annualità non di competenza (Cass. n. 6331 del 10/03/2008). Né a diverse conclusioni può far pervenire la pronuncia di questa Corte n. 28016 del 30/12/2009, secondo cui l’imputazione di un costo in un esercizio diverso da quello determinato in forza del principio economico di competenza, pur determinando la formale violazione dell’art. 75, comma 2, del t.u.i.r., è privo di effetti se non vi è stata nel caso concreto sottrazione di materia imponibile, in quanto tale precedente, oltre ad essere contrastato da altra sentenza successiva di questa Corte, n. 28070 del 30/12/2009, non può assumere rilevanza nel caso in esame, se si considera che la società contribuente aveva l’onere di dimostrare l’assenza di pregiudizio economico a carico dell’Amministrazione finanziaria, onere che non risulta assolto.
4. Con il quarto motivo del ricorso principale, deducendo omessa motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., nonché violazione dell’art. 75, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 917/86 (ora art. 109, commi 1 e 2, del t.u.i.r.), la contribuente censura la sentenza nella parte in cui la Commissione regionale nega la imputazione all’anno 1997 a) di costi relativi a “merci in viaggio” al 31/12/1996 e consegnate nei primi giorni del 1997 b) delle spese promozionali sostenute nel 1998 per l’assolvimento di obblighi maturati nel 1997 c) degli interessi passivi addebitati nel 1997 da P. s.p.a. per ritardati pagamenti risalenti al 1995 ed al 1996.
4.1. La censura non è fondata.
4.2. Va, in primo luogo, rilevato che non è ravvisabile il dedotto difetto di motivazione, in quanto i giudici di secondo grado, in relazione agli acquisti ed agli interessi passivi, non hanno acriticamente confermato la sentenza della Commissione tributaria provinciale, ma hanno, piuttosto, evidenziato la infondatezza delle argomentazioni esposte dalla C. s.r.l. nell’appello incidentale, richiamando il principio enunciato da questa Corte, secondo cui deve escludersi la detrazione di costi in esercizi diversi da quello di competenza, non potendo essere rimesso alla scelta del contribuente il periodo in cui registrare i componenti negativi del reddito.
4.3. Deve, parimenti escludersi che il giudice di appello sia incorso nella violazione dell’art. 75 del t.ui.r..
In particolare, con riguardo ai costi concernenti le merci “in viaggio”, ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza, le spese di acquisizione di beni mobili, a norma dell’art. 75 del t.u.i.r., si considerano sostenute nel periodo di imposta in cui avviene “la consegna o la spedizione” delle merci (Cass. n. 3418 del 2010) e, pertanto, correttamente il giudice di appello ha confermato il recupero a tassazione, considerato che, nel caso di specie, le merci risultavano spedite dai fornitori prima del 31/12/1996, sebbene a quella data non fossero state ancora consegnate presso i magazzini della C. s.r.l. Relativamente alle spese promozionali, trattasi di costi pacificamente sostenuti dalla società nel 1998, come riconosciuto dalla stessa ricorrente, per l’acquisto dei “premi” da consegnare ai clienti a seguito di campagne promozionali effettuate nel 1997, tramite emissione di appositi “bollinipremio”, sicchè correttamente i relativi costi sono stati imputati all’anno 1998.
Quanto, poi, agli interessi passivi addebitati dalla società P. s.p.a. con tre fatture emesse nel settembre 1997, è incontestato che gli stessi si riferiscono a ritardati pagamenti effettuati nel 1995 e nel 1996 e concernono costi relativi a prestazioni di servizi. Ne consegue che la Commissione regionale ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui i costi relativi a prestazioni di servizio sono, a norma dell’art. 75 (ora 109), secondo comma, lett. b), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, di competenza dell’esercizio in cui le prestazioni medesime sono state ultimate, senza che abbia rilievo alcuno il momento in cui viene emessa la relativa fattura o viene effettuato il pagamento (Cass. n. 27296 del 23/12/2014).
5. Con il quinto motivo la contribuente deduce omessa motivazione su un punto decisivo della controversia e violazione dell’art. 75, comma 5, del d.P.R. n. 917/86 (ora art. 109 del t.u.i.r.) e 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600//3, nonché dell’art. 62, comma 3, d.P.R. n. 917/86 (ora art. 95 t.u.i.r.), nella parte in cui la Commissione Tributaria regionale ha confermato il recupero a tassazione dell’importo di lire 28.727.979, relativo a rimborsi per spese di viaggio e di trasferte, la cui deducibilità era stata contestata dai verificatori sotto il profilo del “difetto di inerenza”; secondo la prospettazione della ricorrente, vertendosi in ipotesi di addebito di natura “presuntiva”, le circostanze addotte dall’Ufficio non sono idonee ad integrare le presunzioni gravi, precise e concordanti richieste dall’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 917/86, perché si tratta di rimborsi chilometrici relativi a trasporti, la cui “inerenza” era stata negata unicamente per la mancata indicazione della targa dell’autovettura utilizzata nei relativi documenti di spesa, pur trattandosi di indicazione non richiesta da alcuna norma di legge.
5.1. Il motivo è infondato. La ricorrente non ha dimostrato, mediante riproduzione dei motivi dedotti con il ricorso introduttivo e con l’atto di appello incidentale, di avere contestato tali costi nel giudizio di merito.
Anzi, sul punto la C.T.R., nella parte della sentenza dedicata alla illustrazione dei fatti di causa e dei motivi di ricorso (pag. 1 della sentenza impugnata), ha evidenziato che la C. s.r.I., ritenendole fondate, non aveva contestato le riprese, ammontanti a complessivi euro 36.000.339, relative a costi non inerenti, che si riferivano a spese di ospitalità, viaggi e trasferte, assistenza software ed oneri di utilità sociale.
6. Venendo all’esame del ricorso incidentale, con un unico motivo l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 75 (ora 109) del t.u.i.r., in quanto i giudici di appello si sono limitati ad affermare, in modo generico, che i ricavi inerenti premi e contributi da fornitori non avevano i requisiti della certezza e della determinabilità, pur avendo l’Amministrazione evidenziato che si trattava di attività promozionali eseguite e di premi ricevuti dalla C. s.r.l. negli anni 1996 e 1997, che avrebbero, pertanto, dovuto concorrere alla formazione dei redditi negli esercizi di competenza.
Ha, inoltre, censurato la sentenza impugnata nella parte in cui i giudici di appello hanno escluso la ripresa a tassazione della somma di lire 442.556.917, riguardante spese per la pubblicità del marchio “A. Supermercati”, di proprietà del Consorzio S., partecipato dalla contribuente.
6.1. Il ricorso incidentale è inammissibile per tardività.
Come eccepito dalla società contribuente, il ricorso incidentale risulta notificato dopo il decorso del termine decadenziale di quaranta giorni imposto dal combinato disposto di cui agli artt. 370 e 371 cod. proc. civ., decorrente dalla notificazione del ricorso principale (Cass. 21829 del 17/10/2007).
Infatti, come risulta dagli avvisi di ricevimento allegati, i plichi contenenti il ricorso principale sono pervenuti alla Agenzia delle Entrate, sia presso la sua sede centrale che presso l’Ufficio di Ragusa, in data 12/4/2011, con la conseguenza che il termine di quaranta giorni per la proposizione del ricorso incidentale scadeva il 22/5/2011.
Il ricorso incidentale risulta invece consegnato per la notifica solo in data 30.5.2011 e, dunque, tardivamente, con conseguente sua inammissibilità.
In conclusione, va accolto il secondo motivo del ricorso principale, respinti i restanti motivi, e va dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.
La sentenza deve essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, per il riesame in ordine alle censure accolte, oltre che per la liquidazione delle spese di legittimità
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso principale e rigetta i restanti motivi; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione Tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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